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La Genealogia della morale Letture e interpretazioni a cura di Bruna Giacomini, Pietro Gori, Fabio Grigenti Edizioni ETS www.edizioniets.com Il volume è stato realizzato con il contributo del Dipartimento di Filosofia, Sociologia, Pedagogia e Psicologia Applicata (FISPPA) dell’Università degli Studi di Padova, pubblicato nell’ambito del progetto di Ateneo 2013 – CPDA139424 dal titolo: «Umani e oltre. La categoria di “Umanismo” nel pensiero europeo del Novecento» © Copyright 2015 EDIZIONI ETS Piazza Carrara, 16-19, I-56126 Pisa info@edizioniets.com www.edizioniets.com Distribuzione Messaggerie Libri SPA Sede legale: via G. Verdi 8 - 20090 Assago (MI) Promozione PDE PROMOZIONE SRL via Zago 2/2 - 40128 Bologna ISBN 978-884674265-0 ISSN 1970-6138 Porre in questione il valore della verità Riflessioni sul compito della tarda filosofia di Nietzsche a partire da GM III 24-27 Pietro Gori I paragrafi conclusivi della terza dissertazione della Genealogia della morale hanno una funzione rilevante nell’economia dell’intera opera. Essi di fatto fungono da chiusura non solo della sezione, ma di tutto il libro, e possono essere letti come vero e proprio “snodo” del pensiero maturo di Nietzsche. Nelle ultime pagine della Genealogia, infatti, Nietzsche tira le fila di una riflessione svolta in particolare dopo la pubblicazione dello Zarathustra e legata per molti aspetti alla revisione delle sue opere giovanili in vista della loro seconda edizione (La nascita della tragedia, i due volumi di Umano, troppo umano, Aurora e la Gaia scienza). Questa riflessione viene poi indirizzata da Nietzsche verso il progetto editoriale e filosofico che sfocerà nel trittico di testi composti nel 1888 (Anticristo, Crepuscolo degli idoli e Ecce homo). Il nucleo concettuale attorno al quale tutto questo ruota è in particolare la questione della verità, o meglio della «volontà di verità», che Nietzsche individua come fondamento della cultura europea e della sua morale – a suo avviso responsabile principale «del fatto che una in sé possibile suprema istanza e magnificenza del tipo uomo non è mai stata raggiunta» (GM, Prefazione 6) –, alla cui disamina e critica la Genealogia è complessivamente dedicata. Il presente contributo si concentrerà sull’idea che il contenuto dei paragrafi conclusivi della Genealogia rappresenti il centro di una rete di concetti che costituisce l’intelaiatura della tarda filosofia di Nietzsche. Se letta nel contesto della sua produzione nel periodo 1886-18881, la problematizzazione della verità an1 Per una contestualizzazione della Genealogia negli scritti maturi di Nietzsche cfr. Stegmaier 1994: cap. 3. 268 Pietro Gori nunciata in particolare in GM III 24 e 27 dimostra la propria rilevanza e centralità, in quanto passaggio fondamentale per portare a maturazione le istanze critiche del pensiero di Nietzsche e permettere la realizzazione della «filosofia dell’avvenire» di cui Al di là del bene e del male doveva costituire il preludio. 1. Ideale ascetico e volontà di verità La questione della verità emerge al termine della disamina che Nietzsche compie dell’ideale ascetico. Dopo essersi occupato delle sue manifestazioni religiose e artistiche, Nietzsche chiama in causa il terzo elemento che, con arte e religione, completa l’orizzonte culturale Europeo: la scienza moderna. In quanto «filosofia della realtà [che] crede soltanto a se stessa, possiede il coraggio di sé, la volontà di sé e sino a oggi s’è cavata d’impaccio abbastanza bene senza Dio, trascendenza e virtù negatrici», la scienza si presenta come il «contrapposto» dell’ideale ascetico, e di essa si è comunemente portati a pensare che «già in tutto quanto è più importante si [sia] imposta» su quest’ultimo (GM III 23). Ma questa è una visione falsata, secondo Nietzsche, in quanto la scienza moderna non solo «non costituisce l’antitesi di quell’ideale ascetico, ma [ne è] piuttosto la sua stessa forma più recente e più nobile» (ibid.)2. Scienza e ideale ascetico non sono infatti che manifestazioni di un principio fondamentale, che Nietzsche individua quale radice della cultura europea nel suo complesso e al quale dà il nome di “volontà di verità”. In GM III 25 leggiamo infatti che «scienza e ideale ascetico riposano invero sullo stesso suolo (…): sull’identica sopravvalutazione della verità (più esattamente: sull’identica fede nella insuscettibilità di valutazione e critica da parte della verità)». Secondo quanto Nietzsche aveva già sostenuto in FW 344 (appartenente al quinto libro della Gaia scienza e quindi coevo alla 2 Sul rapporto tra scienza e ideale ascetico si veda anche il contributo di Helmut Heit in questo volume. Porre in questione il valore della verità 269 Genealogia), non esiste «una scienza “scevra di presupposti”», e anche «la scienza riposa su una fede» nel momento in cui non abbandona «la convinzione che “niente è più necessario della verità, e che in rapporto a essa tutto il resto ha soltanto un valore di secondo piano”». Nella Genealogia, Nietzsche recupera l’idea che la scienza – e in generale la nostra conoscenza – riposi su di una «fede metafisica»3 e, attraverso una citazione dello stesso FW 344, fa emergere la questione relativa alla volontà di verità. È proprio su quest’ultima, infatti, sulla «fede in un valore metafisico, in un valore in sé della verità», che la scienza fonda le proprie basi, così come qualsiasi altra forma di descrizione e interpretazione del mondo (GM III 24). Il principio è esattamente quello posto dall’ideale ascetico, l’identificazione della verità col divino, l’idea che essa sia per noi l’istanza suprema, incondizionata e incontestabile. Un aspetto, questo, che secondo Nietzsche nessuna filosofia ha finora mai saputo e voluto affrontare, dal momento che proprio «l’ideale ascetico è stato fino a oggi padrone di ogni filosofia», e quindi non vi erano i presupposti perché si guardasse criticamente alla verità, «non era in alcun modo lecito alla verità essere problema» (ibid.). Questa «lacuna» propria delle filosofie passate costituisce il terreno sul quale Nietzsche intende costruire il suo pensiero maturo. In quanto aspetto che, nell’epoca dominata dalla metafisica platonica e cristiana, non poteva essere messo in alcun modo in discussione, la fede nella verità è il principale elemento destinato a crollare nel momento in cui si affermi la morte di Dio. Nella parte di FW 344 citata in GM III 24, infatti, Nietzsche invita a riflettere sulle conseguenze di tale evento, su cosa rimanga della 3 La posizione di Nietzsche rispetto al sapere scientifico va contestualizzata per essere adeguatamente compresa. Molto sinteticamente si può dire che, contrariamente a quanto si pensa, il suo atteggiamento non è in principio avverso alla scienza in generale. Quello che egli critica è infatti in particolare l’orientamento meccanicistico delle scienze naturali della propria epoca, che nasconde una metafisica sostanzialistica non diversa da quella individuabile in ambito religioso. Come si dirà tra breve, questa critica è in particolare in linea con quanto sostenuto in ambito scientifico da alcuni autori contemporanei a Nietzsche, tra i quali risalta in particolare Ernst Mach, di cui si è certi che Nietzsche abbia conosciuto l’opera per lo meno dopo il 1886. Cfr. su questo, tra gli altri, Gori 2009 e 2014. 270 Pietro Gori verità, prima identificata con Dio, nel momento in cui quest’ultimo «si rivela come la nostra più lunga menzogna»4. E continua affermando che a partire dall’istante in cui la fede nel Dio dell’ideale ascetico è negata, esiste anche un nuovo problema: quello del valore della verità. – La volontà di verità ha bisogno di una critica – con ciò determiniamo il nostro proprio compito –, in via sperimentale deve porsi una volta in questione il valore della verità… (GM III 24) Per comprendere adeguatamente la connessione tra critica della verità e morte di Dio occorre fermarsi un momento a riflettere su quest’ultimo concetto, che può essere inteso nel senso forse meno poetico ma altrettanto efficace come un disincanto post-positivistico nei confronti della descrizione del mondo. Non bisogna infatti dimenticare che Nietzsche vive nell’epoca in cui la scienza si affranca dai principi del meccanicismo newtoniano e prende la strada che porterà, tra gli altri, al convenzionalismo di Poincarè e al relativismo di Einstein. Come è stato oramai ampiamente dimostrato dagli studi sulle fonti del suo pensiero, Nietzsche si interessa al dibattito in corso e, stimolato prima di tutto dalla Storia del materialismo di Friedrich Lange, legge testi scientifici di varia natura, dalla chimica alla biologia, dalla teoria della conoscenza all’astronomia (cfr. Heit/Heller 2014). In particolare, seppur indirettamente, Nietzsche condivide le posizioni antimetafisiche di Ernst Mach, che grande parte ebbe ad esempio nello svolgimento della psicologia scientifica e che contribuì a mettere in questione le potenzialità esplicative della scienza, influendo profondamente sulle prospettive della filosofia scientifica del primo Novecento5. Sulla base dei numerosi spunti che Nietzsche raccoglie da quel dibattito, egli arriva a formulare un’epistemologia prospettivistica 4 Werner Stegmaier (1994: 49 ss.) mostra bene come in FW 344 la messa in questione della verità conseguente alla caduta di Dio, suo garante supremo, si estenda al piano della morale. In generale, Stegmaier osserva che negli aforismi di apertura di FW V Nietzsche espone alcune delle tematiche principali sulle quali si concentrerà in GM e che seguono dall’evento europeo della morte di Dio (cfr. in particolare FW 343). 5 Per un confronto tra le posizioni di Nietzsche e Mach in epistemologia e psicologia si vedano Hussain 2004 e Gori 2015, 2012 e 2009. Porre in questione il valore della verità 271 che insiste prima di tutto sul carattere relativo e funzionale – o addirittura pragmatico – della verità, e quindi contesta che a essa venga attribuito un valore assoluto. In altre parole, Nietzsche respinge il «pregiudizio morale» per cui «la verità abbia maggior valore dell’apparenza» (JGB 34). All’epistemologia di Nietzsche è dedicato il paragrafo successivo del presente contributo, che permetterà di rendere conto di quale fosse il percorso di riflessione che Nietzsche aveva alle spalle nel momento in cui in GM III 24 egli annuncia di aver individuato nella volontà di verità un luogo cruciale per il pensiero occidentale – riprendendo quanto affermato in apertura di Al di là del bene e del male, quando scrive che «il problema del valore della verità ci si è fatto innanzi. (…) E si potrebbe mai credere all’impressione, nata, in definitiva, in noi, che il problema non sia stato finora mai posto – che siamo stati noi per primi ad averlo intravisto, preso di mira, osato?» (JGB 1)6. Prima di passare a questo, è però opportuno un chiarimento sul rapporto tra epistemologia e assiologia in Nietzsche. Nel sottolineare la centralità della riflessione epistemologica di Nietzsche per la sua filosofia matura, non si vuole negare l’importanza che per lui ha sempre avuto la questione morale. La stessa lettura della morte di Dio come posizione conseguente alla messa in questione del potere esplicativo della conoscenza (umana in generale e scientifica in particolare) non vuole certo circoscrivere quel concetto entro la sola sfera teoretica. È nostra intenzione, piuttosto, mettere in luce come Nietzsche trovi nelle questioni epistemologiche un fondamento solido per la propria critica della morale europea, e sviluppi quindi sul piano teoretico gli strumenti critici che gli serviranno per operare un «contromovimento» in grado di annullare gli effetti che quella morale 6 Si può ricordare, qui, che nelle intenzioni di Nietzsche la Genealogia doveva fungere da «integrazione e chiarimento» di Al di là del bene e del male (Lettera a C. G. Naumann, 8.11.1887). Questo spiega il motivo per cui in essa ritornino temi presenti in JGB, che vede tra i propri contenuti principali la questione del carattere prospettico della vita e della verità. Ciononostante, resta quantomeno singolare che la Genealogia di fatto si chiuda con il medesimo annuncio che apre Al di là del bene e del male. 272 Pietro Gori ha avuto sull’uomo (cfr. NF 1887-88, 11[411] e JGB 203). Porre in questione il valore della verità significa quindi per Nietzsche andare alla radice della morale, in quanto nella volontà di verità egli individua il fondamento stesso della metafisica occidentale, il principio logico “puro” che si trova alla base di qualsiasi attribuzione di valore. Questo è comunque comprensibile dal modo in cui Nietzsche introduce la questione nella Genealogia, che occupa un posto privilegiato, di particolare risalto, comparendo in chiusura dell’opera. Il problema del valore della verità emerge infatti nel contesto generale di una critica genealogica della morale e in quello particolare di una riflessione sull’ideale ascetico, e a esso si arriva solo al termine di una disamina delle varie forme in cui quest’ultimo si è storicamente presentato. Solo dopo aver preso in considerazione e rigettato religione, arte e scienza come manifestazioni dell’ideale ascetico si raggiunge infatti il nucleo più profondo e inesplorato di questo ideale (il suo «nocciolo» (Kern), GM III 27), e si varca la soglia di quell’antro labirintico nel quale neppure gli spiriti «europei, cristiani» che vogliono dirsi liberi hanno il coraggio di smarrirsi (GM III 24). 2. L’epistemologia di Nietzsche L’epistemologia di Nietzsche si fonda prevalentemente sull’idea che l’uomo svolga un ruolo attivo nel processo conoscitivo. Attraverso i suoi organi di senso e il suo intelletto questi arriva infatti a creare qualcosa, anziché semplicemente replicare uno stato di cose7. La nostra conoscenza del mondo non rispetta quindi per Nietzsche i principi della adaequatio rei (cfr. Müller-Lauter 1999: 61), o, per usare una terminologia contemporanea, essa non si conforma alla “teoria della corrispondenza” che, secondo William JaLa teoria della conoscenza di Nietzsche è stata ampiamente studiata. Si veda ad esempio Grimm 1977 e Clark 1990. La posizione di Nietzsche fu notevolmente influenzata dagli studi di fisiologia della percezione svolti nel corso dell’Ottocento, e che egli conobbe a partire dalla lettura della Storia del materialismo di Lange (cfr. Gori 2009: cap. 1, § 3.4 e Stack 1983: cap. 5). 7 Porre in questione il valore della verità 273 mes, caratterizza il senso comune e in base alla quale «un’idea vera deve copiare la sua realtà», restituendola quindi per come essa è (James 1907/2011: 93). Al contrario, Nietzsche pensa che non sia per noi fisiologicamente possibile un rapporto oggettivo e incondizionato con il reale, e ritiene pertanto che non si possa dare alcuna «conoscenza in sé» (cfr. NF 1881, 15[9]). Seguendo la terminologia tradizionale – che Nietzsche cerca di superare modificando il significato dei termini in uso, ma senza con questo abbandonarli –, la nostra conoscenza del mondo può essere quindi definita solo come una descrizione erronea e falsificatrice della realtà8. Tutti questi elementi sono ben evidenti in quanto Nietzsche scrive in JGB 34, in cui, come anticipato, egli mette in discussione la plausibilità della tradizionale attribuzione di valore alla verità. Posto che «l’erroneità del mondo, in cui crediamo di vivere, [sia] l’aspetto più sicuro e più saldo di cui possono ancora impadronirsi i nostri occhi», e che quindi l’ambito della nostra conoscenza del mondo sia esclusivamente quel «mondo apparente» che la metafisica tradizionale circoscrive a partire da una contrapposizione con il «mondo “vero”» delle forme immutabili e assolute9, Nietzsche osserva l’impossibilità di uscire da quella dimensione, e commenta: Che la verità abbia maggior valore dell’apparenza, non è più che un pregiudizio morale; è persino l’ammissione peggio dimostrata che ci sia al mondo. Si voglia dunque confessare a se stessi quanto segue: che non ci sarebbe assolutamente vita, se non sulla base di valutazioni e illusioni prospettiche; e se si volesse (…) togliere completamente di mezzo il «mondo apparente», ebbene, posto che voi possiate far questo, – anche della vostra «verità», almeno in questo caso, non rimarrebbe più nulla! Sì, che cosa ci costringe soprattutto ad ammettere che esista una sostanziale antitesi di «vero» e «falso»? Non basta forse riconoscere 8 Per una recente discussione del “falsificazionismo” di Nietzsche, cfr. Riccardi 2011. Del rapporto tra mondo “vero” e mondo “apparente” Nietzsche parla in particolare in GD, La “Ragione” nella filosofia e Come il “mondo vero” finì per diventare favola. In quest’ultima sezione, in particolare, egli ripropone la logica di annullamento di entrambi questi piani conoscitivi che espone in JGB 34. Cfr. su questo il commento di Gori e Piazzesi a queste sezioni del Crepuscolo degli idoli in Nietzsche 1889/2012: 160 ss. 9 274 Pietro Gori diversi gradi di illusorietà, nonché, per così dire, ombre e tonalità complessive, più chiare e più oscure, dell’apparenza? (…) Per quale ragione mai il mondo, che in qualche maniera ci concerne, – non potrebbe essere una finzione? (JGB 34) L’interrogativo che anima il compito esposto in GM III 24 e 27, la questione morale del perché si attribuisca alla verità un valore superiore rispetto all’apparenza, si fonda su di un’epistemologia in base alla quale non è possibile parlare di “verità” in senso assoluto, come accesso incondizionato al piano della realtà, mentre quello che ci è dato conoscere – il “mondo” come risultato della nostra esperienza conoscitiva – non è altro che un insieme di «valutazioni e illusioni prospettiche». Ancora di più, Nietzsche ammette che proprio queste falsificazioni e interpretazioni del mondo possiedano un reale valore per l’uomo, in quanto si sono dimostrate funzionali alla conservazione della vita. La visione evolutiva della conoscenza è una caratteristica dell’epistemologia di Nietzsche fin dalla sua prima, embrionale formulazione nello scritto pubblicato postumo Su verità e menzogna in senso extramorale (1873). In questo testo Nietzsche connette le posizioni schopenhaueriane sulla conoscenza umana come «mezzo di conservazione dell’individuo e della specie» (Il mondo come volontà e rappresentazione, I, § 27) con la teoria di Gustav Gerber, ricavandone la ben nota definizione dell’attività intellettiva come produzione di «metafore» (WL)10. L’idea di fondo è che l’uomo intervenga sul mondo in maniera creativa e che la conoscenza sia un’operazione artistica, estetica, di produzione di forme a partire da un materiale caotico che richiede di essere ordinato per poter essere gestito. Nell’ambito del suo agire comunicativo, l’uomo si serve dunque di un’“interpretazione” della realtà percepita, un’“illusione” di verità, che però, in ragione del suo valore fondamentale per la vita, viene scambiata con quest’ultima11. 10 Il testo di Gerber letto da Nietzsche è Die Sprache als Kunst (2 voll., 1871-1872). Sull’influsso di Gerber sulla teoria del linguaggio del giovane Nietzsche si veda, tra gli altri, Meijers 1988. 11 Da qui la celebre definizione secondo cui «le verità sono illusioni di cui si è dimenticata la natura illusoria» (WL). Porre in questione il valore della verità 275 La lettura della Storia del materialismo di Friedrich Lange, che conteneva una trattazione della fisiologia della percezione che insiste sull’attività di selezione propria degli organi di senso rispetto agli stimoli provenienti dal mondo esterno, permise a Nietzsche di formulare in maniera più compiuta questa sua prima intuizione, muovendo verso la teoria della conoscenza esposta in Umano, troppo umano, dove il carattere metaforico della descrizione linguistica del mondo lascia il posto alla sua costituiva “erroneità”. Presupponendo un intervento attivo degli organi percettivi sulla realtà, Nietzsche arriva a considerare ogni atto conoscitivo come una fondamentale falsificazione del mondo, e il mondo fenomenico come una «rappresentazione del mondo fabbricata con errori intellettuali e tramandatici in eredità»: Ciò che noi ora chiamiamo il mondo è il risultato di una quantità di errori e fantasie che sono sorti a poco a poco nell’evoluzione complessiva degli esseri organici, e che sono cresciuti intrecciandosi gli uni alle altre e ci vengono ora trasmessi in eredità come tesoro accumulato in tutto il passato – come tesoro: perché il valore della nostra umanità riposa su di esso. (MA 16) Questa concezione evolutiva della conoscenza, che attribuisce valore alla dimensione fenomenica in quanto essa si è dimostrata funzionale alla conservazione della specie, viene sviluppata da Nietzsche negli anni seguenti e costituisce un elemento distintivo della sua epistemologia prospettivistica. Nel riflettere sui caratteri della nostra esperienza del mondo, Nietzsche osserva in particolare il fatto che non si dia alcuna conoscenza in sé, dal momento che ogni rapporto con la realtà è per noi mediato dall’attività semplificatrice e organizzatrice dei nostri organi di senso e del nostro intelletto. Per questo motivo Nietzsche osserva che lo stesso concetto di “conoscenza” andrebbe inteso in un senso diverso, per rendere conto di un’attività che egli descrive nei termini di una «deduzione, che si accresce da millenni, da tutta una serie di errori ottici – necessari, posto che in generale vogliamo vivere –, errori, nel caso che tutte le leggi della prospettiva debbano essere errori in sé» (NF 1881, 15[9]). In questa 276 Pietro Gori nota postuma Nietzsche ribadisce il valore della falsificazione del mondo operata dai nostri organi di senso e dal nostro intelletto di cui aveva parlato in MA 16, sottolineando il fatto che gli “errori” siano necessari ai fini della conservazione della specie, e che quindi debbano essere considerati un «tesoro» per il genere umano. Ma il luogo in cui la considerazione evolutiva della conoscenza di Nietzsche è delineata con maggiore chiarezza è probabilmente l’aforisma 110 della Gaia scienza, intitolato Origine della conoscenza. In questa sezione Nietzsche osserva prima di tutto che alcune concezioni proprie del senso comune relative all’esistenza di entità sostanziali, del libero volere e di un bene valido universalmente e in sé non sono che «erronei articoli di fede» tramandati nel corso della storia evolutiva dell’uomo in ragione della loro utilità per la vita. «Per immensi periodi di tempo – scrive Nietzsche – l’intelletto non ha prodotto altro che errori: alcuni di questi si dimostrarono utili e atti alla conservazione della specie», e sulla base di questa utilità si cominciò a valutare “vero” e “non vero”. L’incorporazione di questi «primordiali errori di fondo», inoltre, è intervenuta secondo Nietzsche sino al livello sensoriale, tanto che non è possibile per noi accedere a un livello conoscitivo “im-mediato”. La conclusione di questo ragionamento è pertanto che «la forza delle conoscenze non sta nel loro grado di verità, bensì nella loro età, nel loro essere incorporate, nel loro carattere di condizione di vita». Vale a dire, una conoscenza è valida non tanto se offre un accesso alla realtà delle cose, quanto se si dimostra vantaggiosa per il nostro orientamento nel mondo. Nietzsche ribadirà questa posizione in uno dei suoi ultimi quaderni, in cui scriverà che la «logica e le categorie di ragione» sono solamente «dei mezzi per accomodare il mondo a fini utilitari (…per un’utile falsificazione)», e il «criterio della verità» che i filosofi individuano in loro non è altro che «l’utilità biologica di un tale sistema della falsificazione per principio» (NF 1888, 14[153]). Per quanto le nozioni logiche non siano quindi di per se stesse un «criterio della verità, ovvero della realtà», esse restano comunque il nostro più efficace strumento per descrivere il mondo, ed è legittimo che a esse si continui ad attribuire un Porre in questione il valore della verità 277 valore di verità, in ragione però solamente della loro utilità per la conservazione della specie (ibid.). Non occorre procedere ulteriormente in questa disamina per svolgere le osservazioni che ci interessano in questa sede. Da quanto detto è già di per sé evidente che la teoria della conoscenza cui Nietzsche fa riferimento metta in discussione la tradizionale concezione della verità e imponga un cambiamento sostanziale del significato da attribuire a tale nozione. Fondamentalmente, secondo Nietzsche, non è più possibile pensare alla verità come al «prendere coscienza di qualcosa che sia “in sé” fisso e determinato». Al contrario, «la verità non è qualcosa che esista e che sia da trovare, da scoprire, – ma qualcosa che è da creare e che dà il nome a un processo» (NF 1887, 9[91])12. “Vero” è pertanto solo il nome che si dà alle forme logiche prodotte dal nostro intelletto che maggiormente promuovono la vita e che permettono all’uomo di intervenire sul mondo prima di tutto orientandosi in esso, per poi dominarlo attraverso il calcolo e la misura. Ciò che noi chiamiamo “conoscenza del mondo” non è quindi altro che un intervento su di esso, un suo condizionamento, laddove non è possibile alcun tipo di rapporto non mediato e incondizionato con la realtà. Da questo segue che i termini “vero” e “falso” non possono più valere quali sinonimi di “incondizionato” e “condizionato”. Anzi, l’intera dimensione della conoscenza rientra nel secondo caso e la verità può essere giudicata solamente a partire da una valutazione relativa (e pragmatica) tra le molteplici determinazioni erronee (che, secondo il principio di corrispondenza, sarebbero state definite “false”). Detto sinteticamente: «La verità non significa il contrario dell’errore, bensì la posizione di taluni errori rispetto a taluni altri» (NF 1885, 34[247]). Questa considerazione conclusiva ci riporta alla questione che Nietzsche pone in JGB 34, in cui egli affronta il «pregiudizio mo12 Questa osservazione di Nietzsche dà sostanza a un possibile confronto tra la concezione nietzscheana della verità e quella di William James (cfr. Gori 2013, in particolare p. 82). Sulla nuova nozione di verità di Nietzsche come espressione della «volontà di potenza» e principio dinamico antitetico alla determinazione di una «cosa in sé» cfr. Stegmaier 1985: 83 s. 278 Pietro Gori rale» secondo cui la verità ha maggior valore dell’apparenza. «Il problema del valore della verità» (JGB 1 e GM III 24) consiste in particolare nel rendere conto della nostra volontà di perseguire il “vero” anziché il “non vero”, una volontà di fatto immotivata, nel momento in cui questa stessa distinzione è un prodotto dell’interpretazione metafisica tradizionale e non sussiste in sé (cfr. JGB 2). Ancora in Al di là del bene e del male, Nietzsche osserva come la considerazione che siano stati «i giudizi più falsi, (…) le finzioni logiche» a promuovere e conservare la vita, e che quindi occorra «ammettere la non verità come condizione della vita», determinerebbe un progresso per la filosofia, che si porrebbe, «già soltanto per ciò, al di là del bene e del male» (JGB 4). Far cadere la distinzione tra “vero” e “falso” significa in particolare attribuire valore al “mondo apparente”, in quanto piano delle «valutazioni e illusioni prospettiche» senza le quali «non ci sarebbe assolutamente vita» (JGB 34). Il progresso della filosofia passa quindi per l’accettazione della tarda epistemologia di Nietzsche, nota col nome di prospettivismo, da lui espressamente definita come l’idea per cui il mondo di cui possiamo avere coscienza è solo un mondo di superfici e di segni, un mondo generalizzato, volgarizzato (…); a ogni farsi della coscienza è collegata una grande fondamentale alterazione, falsificazione, riduzione alla superficialità e generalizzazione. (…) Non abbiamo nessun organo per il conoscere, per la «verità»: noi «sappiamo» (o crediamo, o c’immaginiamo) precisamente tanto quanto può essere vantaggioso sapere nell’interesse del gregge umano, della specie. (FW 354)13 Da quanto si è visto si può dire che la teoria della conoscenza che Nietzsche elabora comporti la necessità di riferirsi a una nuova nozione di verità, la quale ammetta il condizionamento come suo principio fondamentale. La presa di coscienza del carattere mediato della nostra conoscenza del mondo non porta quindi Nietzsche alla negazione assoluta di qualsiasi principio 13 Sulla connessione tra il “mondo apparente” e l’elemento prospettico inerente alla nostra conoscenza del mondo cfr. anche NF 1886-1887, 6[23] e 1888, 14[184]. Per un approfondimento sul prospettivismo di Nietzsche cfr. Gori/Stellino 2014, Gori 2010, Cox 1997 e Gerhard 1989. Porre in questione il valore della verità 279 veritativo (posizione che potremmo chiamare “nichilismo epistemologico”), ma diviene per lui lo stimolo per la creazione di nuovi criteri di valutazione, per la definizione di nuovi principi veritativi. Una volta rifiutato il carattere assoluto della verità, inoltre, l’attenzione si sposta dall’oggetto – non più “conoscibile” nel senso tradizionale – al soggetto che impone la propria interpretazione su ciò che conosce e che si deve confrontare con gli altri soggetti che avanzano istanze in linea di principio egualmente valide14. L’apertura di questo orizzonte rappresenta il passaggio più rilevante della tarda filosofia di Nietzsche, il cui prospettivismo negatore del valore in sé della verità si pone in contrasto con l’intera dimensione culturale europea fondata sull’ideale ascetico. Il prospettivismo si contrappone in particolare alla volontà di verità che anima questo ideale e che «rifiuta di attribuire valore a quel tipo di verità che possiamo effettivamente conseguire nel mondo in cui viviamo» (Leiter 2002: 278). A partire dalle quattro proposizioni poste in chiusura di GD, “Ragione” 6, Brian Leiter (2002: 279) sostiene conclusivamente che: La volontà di una conoscenza non-prospettica della verità è ascetica o negatrice della vita perché priva di valore il mondo in cui viviamo e che conosciamo, liquidandolo come pura «apparenza»; essa pone come «vere» tutte le caratteristiche che «contraddicono» la nostra vita; e può persino (vedi la «terza proposizione») farsi sostenitrice di una motivazione ostile alla vita. Questi rilievi [di Nietzsche] hanno di certo un carattere speculativo e in qualche modo metaforico, ma rappresentano almeno in parte la base delle considerazioni che portano Nietzsche a giudicare la volontà di verità come ascetica. 3. Prospettivismo e trasvalutazione: il compito di Nietzsche Il percorso teoretico svolto da Nietzsche ha quindi come esito finale la messa in questione del valore della verità annunciata in 14 In GM III 12 Nietzsche osserva che «esiste soltanto un vedere prospettico, soltanto un “conoscere” prospettico», e lega l’idea di «oggettività» e «completezza» nella creazione di nozioni e concetti all’accumulo di quante più posizioni possibili. 280 Pietro Gori GM III 24 e l’affermazione di quell’interrogativo – esistenziale oltre che epistemologico (cfr. FW 357 e GM III 27-28) – conseguente alla presa di coscienza del fatto che «niente più si rivela divino salvo l’errore, la cecità, la menzogna, [e] Dio stesso si rivela come la nostra più lunga menzogna» (FW 344 e GM III 24). Il prospettivismo di Nietzsche permette in particolare di abbandonare la «fede metafisica» che anima il pensiero occidentale, «quella fede cristiana che era anche la fede di Platone» (ibid.); nel far questo, esso fa vacillare l’intero sistema culturale europeo, manifestando oltretutto il proprio ruolo nel processo di critica della morale cristiana che Nietzsche ha messo in atto sin da Umano, troppo umano (cfr. GM, Prefazione 2). In GM III 27 Nietzsche riprende la questione della volontà di verità, evidenziando questa volta il suo ruolo “epocale” e connettendola al progetto editoriale e filosofico che portava avanti in quegli anni (la Trasvalutazione dei valori, qui ancora annunciata sotto il titolo di Volontà di potenza)15. In questo paragrafo, Nietzsche insiste in particolare sul fatto che l’ideale ascetico rechi in sé i germi della propria distruzione, del proprio annichilimento, in quanto la «bimillenaria costrizione educativa alla verità, che finisce per proibirsi la menzogna della fede in Dio» e conduce quindi all’ateismo, non è che «una delle ultime fasi di sviluppo» di quell’ideale (GM III 27). La cultura europea, che fonda le proprie radici nell’ideale ascetico, è quindi destinata a collassare in ragione della propria logica interna, ed è per questo che Nietzsche parla di un «autosuperamento dell’Europa», al termine del quale si assisterà al crollo del «cristianesimo come morale»16. Ancor più rilevante è però che in ragione dell’avvenu15 Per un’analisi critica del susseguirsi dei progetti editoriali di un’opera intitolata Volontà di potenza, che Nietzsche elaborò nei suoi quaderni a partire dal 1885, si veda Montinari 1982: cap. 8 (Nietzsches Nachlaß von 1885 bis 1888 oder Textkritik und Wille zur Macht). 16 L’Europa in Nietzsche deve essere intesa primariamente come spazio culturale e spirituale. Carlo Gentili (2014: 121) definisce in particolare l’Europa come «il continente spirituale creato dal cristianesimo» e, per questo motivo, osserva che la morte di Dio è per Nietzsche il momento conclusivo di quel sistema culturale: «Posto che il Dio di cui si proclama la morte è il Dio del cristianesimo, e che il cristianesimo ha dato alla civilizza- Porre in questione il valore della verità 281 ta morte di Dio e del conseguente fatto che l’interrogativo relativo alla volontà di verità sia finalmente stato posto, Nietzsche ritenga che si sia giunti alla soglia di questo avvenimento, e che sia quindi possibile compiere il passo decisivo per aprire una nuova fase di pensiero: Avendo la veracità cristiana tratto una conclusione dopo l’altra, trae infine la sua più drastica conclusione, la sua conclusione contro se stessa; ma questo avviene quand’essa pone la questione «che cosa significa ogni volontà di verità?»… E a questo punto tocco ancora il mio problema (…): che senso avrebbe tutto il nostro essere, se non quello espresso dal fatto che in noi codesta volontà di verità sarebbe diventata cosciente a se stessa come problema? … Per questa progressiva autocoscienza della volontà di verità, a partire da questo momento – non v’è alcun dubbio – va crollando la morale: un grande spettacolo in cento atti, che viene riservato ai due prossimi secoli europei, il più tremendo, il più problematico e forse anche il più ricco di speranza tra tutti gli spettacoli… (GM III 27) In questo paragrafo, ancor più che in GM III 24, Nietzsche insiste sull’importanza della questione della volontà di verità, che ha per lui un vero e proprio ruolo cruciale nella storia europea, e si fa carico di portare a compimento un processo di sviluppo e liberazione spirituale che proprio nella critica al valore in sé della verità trova la sua arma più devastante. Il tono del discorso di Nietzsche, inoltre, manifesta la convinzione che si stia facendo strada una nuova consapevolezza rispetto alla cultura tradizionale, una coscienza antimetafisica conseguente alla messa in questione degli antichi principi e che permette di predisporre lo spazio entro cui operare quel «contromovimento» che prende il nome di trasvalutazione dei valori (NF 1887-88, 11[411]). Tutto questo riprende e in parte sviluppa quanto Nietzsche aveva scritto nella prefazione di Al di là del bene e del male. Anche in quella sede Nietzsche tirava le fila di un obiettivo che dava zione europea la sua forma più propria, la “morte di Dio” rappresenta il compimento di questa civilizzazione» (Gentili 2014: 119). Sul concetto di Europa in Nietzsche cfr. anche Witzler 2001. 282 Pietro Gori per raggiunto dal pensiero occidentale e, guardando oltre tale traguardo, delineava i contorni di una «filosofia dell’avvenire». L’attenzione di Nietzsche si concentra in particolare sul «platonismo in Europa», a suo dire una «caricatura» dogmatica della riflessione sul problema della verità. Platone, osserva Nietzsche, ha compiuto «il peggiore e il più ostinato e pericoloso di tutti gli errori» con l’«invenzione del puro spirito e del bene in sé», ma ora che esso è superato, ora che l’Europa, liberata da questo incubo, riprende fiato e per lo meno può godere un sonno più sano, siamo noi, il cui compito è precisamente quello di vegliare, gli eredi di tutta quella forza che è stata allevata e ingrandita dalla lotta contro questo errore. Significherebbe davvero capovolgere la verità e negare il carattere prospettico, la condizione fondamentale di ogni vita, se si parlasse dello spirito e del bene, come ha fatto Platone. (…) La lotta contro Platone o, per esprimerci in modo più accessibile e adatto al «popolo», la lotta contro la secolare oppressione cristiano-ecclesiastica – giacché il cristianesimo è un platonismo per il «popolo» – ha creato in Europa una splendida tensione dello spirito come ancora non si era avuta sulla terra: con un arco teso a tal punto si può ormai prendere a bersaglio le mete più lontane. (…) Noi, che non siamo né gesuiti, né democratici, e neppure abbastanza tedeschi, noi buoni europei e spiriti liberi, assai liberi – noi la sentiamo ancora, tutta la pena dello spirito e la tensione del suo arco! E forse anche la freccia, il compito, e chissà? la meta… Alla luce di quanto osservato sopra, ciò che prima di tutto emerge da questo passo è la contrapposizione tra dogmatismo e prospettivismo, e il conseguente ruolo giocato da quest’ultimo. La lotta contro il platonismo è infatti corroborata dall’affermazione del «carattere prospettico» dell’esistenza, che si contrappone alla volontà di individuare un qualsiasi assoluto, sia esso il vero o il bene in sé. In quanto il modello metafisico di Platone si trova alla base del cristianesimo e assieme a quest’ultimo costituisce la radice dell’Europa, il prospettivismo di Nietzsche conferma inoltre il proprio ruolo di strumento in grado di minare le basi di un intero sistema culturale e viene a essere il punto di riferimento di quei «buoni europei e spiriti liberi» che – assieme a lui – Nietzsche individua quali promotori del rinnovamento Porre in questione il valore della verità 283 spirituale conseguente alla morte di Dio (di loro si parlerà nella sezione successiva). L’idea che la «lotta contro Platone» e «la secolare oppressione cristiano-ecclesiastica» sia giunta a una fase decisiva e che tutto sia pronto per il necessario crollo del «cristianesimo come morale», attribuisce infine alla questione della volontà di verità un valore significativo e destinale. In quanto quest’ultima costituisce il fondamento di quella morale, non è più possibile procrastinare un compito (Aufgabe) che appartiene agli eredi di questo percorso spirituale e che in GM III 24 Nietzsche fa proprio: «in via sperimentale deve porsi una volta in questione il valore della verità…». Il tema del compito è ricorrente nelle ultime opere di Nietzsche e nel suo epistolario, e si lega in particolare al progetto della Trasvalutazione di tutti i valori17. Esso permette quindi di connettere direttamente la Genealogia tanto alle opere precedenti quando a quelle che seguiranno, le quali non sono che lo sviluppo finale del piano editoriale che in GM III 27 Nietzsche annuncia come in corso di realizzazione. Si prenda ad esempio il Crepuscolo degli idoli, testo redatto col preciso scopo di creare lo spazio teorico all’interno del quale fosse possibile svolgere quel progetto (che, oltretutto, nel 1888 doveva essere stato completato almeno nella sua prima parte. Cfr. la lettera a H. Köselitz, 27.09.1887 e Gori/ Piazzesi 2012: 9-17): nella prefazione al Crepuscolo Nietzsche defi17 In JGB 203, ad esempio, Nietzsche annuncia il «nuovo compito» che permetterà uno sviluppo spirituale dell’uomo e la creazione di «nuovi filosofi (…), spiriti abbastanza forti e originali da poter promuovere opposti apprezzamenti di valore e trasvalutare, capovolgere “valori eterni”», contrastando in questo modo il processo di «degenerazione e immeschinimento dell’uomo» realizzato dalla morale cristiana e dai movimenti democratici. Cfr. anche NF 1885, 35[30] e 1887-88, 11[411]. Ma è nelle lettere di Nietzsche del periodo 1887-88 che si nota meglio quanto peso egli attribuisse al progetto della Trasvalutazione dei valori, considerando non solo l’impatto che avrebbe avuto sulla cultura europea, ma anche il suo valore per la propria vita. In diverse occasioni egli parla infatti di un “destino” che si sta compiendo e considera il completamento della Trasvalutazione come qualcosa dal quale non può esimersi. Cfr. p. es la lettera a F. Overbeck, 12.11.1887: «Ho un compito che non mi permette di pensare molto a me stesso (un compito, un destino, o in qualsiasi modo lo si voglia chiamare). Questo compito mi ha fatto ammalare, ma mi restituirà anche la salute». Cfr. anche, tra le altre, le lettere a M. von Meysenbug, 12.5.1887, a E. Nietzsche, 15.10.1887 e a P. Deussen, 14.9.1888. 284 Pietro Gori nisce la trasvalutazione di tutti i valori come «un compito, che è un destino» (ein Schicksal von Aufgabe) di cui egli intende assumere il peso, e la cui realizzazione passa attraverso un’auscultazione degli «idoli eterni» sui quali si regge il sistema di pensiero Occidentale. Questi idoli – Nietzsche lo rivela in Ecce Homo – non sono che le antiche verità, le credenze consolidatesi nel corso dei secoli sulla base del modello metafisico platonico-cristiano e del dogmatismo a esso intrinseco (EH, Crepuscolo degli idoli 1). Obiettivo di Nietzsche è pertanto rivelare che i concetti comunemente adottati dal senso comune prima e dal pensiero filosofico poi mancano di un contenuto stabile, al contrario di quanto si suppone. Ecco che quindi la Trasvalutazione si collega con l’epistemologia prospettivistica, in quanto la prima si fonda su una critica della verità che mette in luce l’inconsistenza ontologica delle nozioni su cui si regge il sistema culturale dell’Occidente europeo. L’operazione che Nietzsche intende svolgere nel Crepuscolo non è però completamente negativa. O meglio, lo è, ma è al contempo finalizzata non tanto a una distruzione nichilistica del sapere, quanto alla preparazione del terreno per la realizzazione di una nuova cultura. La comprensione di questo aspetto permette di capire meglio anche il contenuto della parte finale della Genealogia e il senso che Nietzsche attribuisce al crollo della morale europea. Questo è possibile, in particolare, attraverso una disamina di due concetti fondamentali per definire in che modo Nietzsche interpreta gli esiti della morte di Dio nel suo periodo maturo di riflessione: Heiterkeit e Heimatlosigkeit. 4. Esiti: la gioiosa serenità per la mancanza di patria L’apertura del Crepuscolo degli idoli pone immediatamente il lettore di fronte alla questione principale che Nietzsche vuole trattare, quella della trasvalutazione dei valori. Nel farlo, Nietzsche manifesta un atteggiamento spirituale che egli ritiene di fondamentale importanza per potersi occupare di tale questione, e osserva: «Mantenere la propria gioiosa serenità [Heiterkeit] Porre in questione il valore della verità 285 in mezzo a una faccenda oscura e di enorme responsabilità non è una piccola prova di bravura: e tuttavia, che cosa sarebbe più necessario di una gioiosa serenità?»18. La nozione di Heiterkeit19 ha un valore significativo per la filosofia matura di Nietzsche, e rimanda al quinto libro della Gaia scienza in generale e al suo aforisma di apertura in particolare. In FW 343, intitolato appunto Quel che significa la nostra serenità, Nietzsche muove proprio dal «più grande avvenimento recente – che “Dio è morto”, che la fede nel Dio cristiano è divenuta inaccettabile» per descrivere l’atteggiamento spirituale che a tale evento deve seguire. Contrariamente alla reazione dell’uomo folle che per la prima volta annuncia la morte di Dio in FW 125 ed esprime la propria preoccupazione per la conseguente condizione di disorientamento epistemico ed esistenziale, i «filosofi e “spiriti liberi”, alla notizia che “il vecchio Dio è morto”, [si sentono] come illuminati dai raggi di una nuova aurora; il [loro] cuore ne straripa di riconoscenza, di meraviglia, di presagio, d’attesa» (FW 343). Per loro, infatti, «il mare (…) sta aperto dinanzi, forse non vi è mai ancora stato un mare così “aperto”» (ibid.), e questo orizzonte libero da impedimenti non li spaventa, ma anzi è da stimolo per un intervento creativo sul mondo. Il passaggio da FW 125 a FW 343 rivela quindi un mutato atteggiamento di Nietzsche nei confronti di questo evento capitale, figlio di una consapevolezza maturata nell’arco di tempo che separa le due edizioni della Gaia scienza. Un periodo, questo, – è bene ricordarlo – in cui Nietzsche pubblica le quattro parti dello Zarathustra, il cui preludio è anticipato proprio nell’aforisma che chiude la prima edizione della Gaia Scienza (FW 342). A Zarathustra Nietzsche affida esplicitamente l’incarico di diffondere il verbo della nuova umanità a venire e i discorsi del profeta persiano rappresentano evidentemente per lui uno spartiacque all’interno della propria produzione. È dopo 18 Qui, come sopra, si è seguita la versione italiana del Crepuscolo a c. di Gori e Piazzesi, in particolare perché si distingue per il modo in cui viene tradotto proprio il termine Heiterkeit (cfr. Nietzsche 1889/2012, p. 125). 19 Per una ricognizione della nozione di Heiterkeit in Nietzsche cfr. Stegmaier 2012: 95-101. 286 Pietro Gori il completamento di quell’opera (la cui ultima parte era destinata a pochi, intimi amici ritenuti in grado di comprendere il pensiero di Nietzsche), infatti, che Nietzsche si impegna in una ripubblicazione e prefazione delle proprie opere, ma soprattutto nell’ampliamento della Gaia scienza con una nuova sezione che raccoglie le istanze critiche del proprio pensiero orientandole verso la sua proposta filosofica positiva20. In FW V, inoltre, Nietzsche raccoglie idealmente attorno a sé i propri lettori, gli spiriti a lui affini, coloro che condividono con lui non tanto il sentimento di critica nei confronti della metafisica tradizionale, quanto la capacità di incanalare questa critica in un’azione educatrice che permetta l’elevazione finale della spiritualità europea (da qui l’ampio utilizzo della prima persona plurale fin dal titolo). La Stimmung di tutta questa sezione, significativamente intitolata Noi senza paura, è proprio la Heiterkeit, sentimento che, come si diceva, risponde al timore provato di fronte al disorientamento dovuto alla perdita dei tradizionali punti di riferimento con il coraggio di chi, libero da vincoli, vive con orgoglio la responsabilità di dover percorrere autonomamente la strada che gli si presenta innanzi – ancora di più, di dover di trovare o creare la propria strada, giacché, come insegna Zarathustra, una strada valida per tutti e che esista prima di essere percorsa «non esiste» (Za, Dello spirito di gravità). In quanto reazione alla morte di Dio, la sensazione di gioiosa serenità si lega a un altro concetto che gioca un ruolo importante nella tarda filosofia di Nietzsche per via della particolare ricchezza semantica che lo contraddistingue, quello di Heimatlosigkeit o “mancanza di patria”. La morte di Dio muta infatti completamente l’orizzonte di senso dell’uomo europeo e lo costringe a una condizione apolide, da intendersi prima di tutto come affrancamento dai tradizionali sistemi di riferimento e che Nietzsche interpreta, di nuovo, come valore positivo. L’idea della mancanza di patria può essere certo intesa in un senso letterale come liberazione da una visione nazionalistica che impedisca lo sviluppo culturale di un popolo e rappresenti un vincolo coerci20 Per un’interpretazione contestuale di FW V si veda Stegmaier 2012. Porre in questione il valore della verità 287 tivo per il suo spirito (così Nietzsche presenta le cose, a esempio, in VM 323). Ma la convinzione di Nietzsche che nella propria epoca si stia realizzando l’«ascesa di un tipo umano essenzialmente sovranazionale e nomade» (JGB 242) ha un significato più ampio, in quanto l’apertura culturale non è che l’esito, l’applicazione sul piano pratico di un atteggiamento esistenziale che contrasta ogni forma di assolutismo e non si preclude la ricchezza di un confronto tra posizioni rivali e alternative. Così, in FW 377, Nietzsche attribuisce «in un senso eminente e onorifico» il titolo di «senza patria» a chi si è dimostrato in grado di reggere il peso della morte di Dio ed è riemerso dall’abisso del nichilismo con rinnovata salute. A costoro – tra i quali il più delle volte annovera se stesso – Nietzsche dà il nome di buoni europei21, i «ricchi eredi di un millenario spirito europeo», ostili al cristianesimo «proprio perché è nel cristianesimo che abbiamo le nostre radici» (FW 377). In questo aforisma Nietzsche riprende quanto scritto nella Prefazione di Al di là del bene e del male, l’idea che la lotta contro Platone abbia avviato un processo di elevazione spirituale che solo i «buoni europei e spiriti liberi» continuano a portare avanti. Questo processo consiste in particolare nel progressivo affrancamento dal dogmatismo platonico-cristiano sul quale si fonda l’Europa, e la Heimatlosigkeit di cui parla Nietzsche va quindi interpretata come la capacità di orientarsi nel mondo senza fare riferimento a principi veritativi e valori assoluti22. Essa è quindi strettamente collegata alla questione epistemologica sulla quale Nietzsche riflette con insistenza, e condivide con quest’ultima gli esiti non nichilistici che egli ne trae. Così come la critica del «valore metafisico», del «valore in sé della verità» non si esaurisce in una negazione della possibilità che si diano principi veritativi di qualche tipo (ad esempio condizionati o prospettici), la mancanza di patria costituisce per 21 Per una disamina del buon europeo di Nietzsche cfr. Gori/Stellino 2015 e Venturelli 2010. 22 Sul concetto di Heimatlosigkeit in Nietzsche e la sua oscillazione tra una prospettiva politica e una «sovrapolitica, filosofica», cfr. Stegmaier 2012: 544 ss. 288 Pietro Gori i buoni europei e per i filosofi dell’avvenire un campo di possibilità cui guardare positivamente, per diventare finalmente creatori «di nuove tavole di valori» e «legislatori di se stessi» (FW 335). In quanto soggetti che hanno vissuto la malattia degenerativa del cristianesimo e da essa sono guariti, producendo le misure adatte a realizzare una reazione interna e una conseguente mutazione fisiologica di tipo opposto23, i buoni europei dimostrano di potersi costituire come guida del processo di autosuperamento della morale cristiana e, per questo motivo, possono essere gli affidatari del compito che Nietzsche circoscrive quale principale obiettivo della propria filosofia matura24. In questi termini egli parla di loro anche in FW 357, aforisma che viene ripreso e citato proprio in GM III 27, e che riporta quindi al luogo iniziale del nostro percorso di riflessione. In entrambe queste sezioni Nietzsche sostiene che «l’ateismo assoluto» non è che la «vittoria finale faticosamente conquistata della coscienza europea, in quanto è l’atto più ricco di conseguenze di una bimillenaria educazione alla verità, che nel suo momento conclusivo si proibisce la menzogna della fede in Dio» (FW 357; in GM III 27 Nietzsche espone la cosa con poche varianti), e continua osservando che «la moralità cristiana, il concetto di veracità preso con sempre maggior rigore (…) ha ormai fatto il suo tempo» ed è destinato a crollare a causa della sua stessa logica interna. Si prepara quindi il «più lungo e più valoroso autosuperamento dell’Europa», i cui eredi sono appunto i buoni europei (ibid.). L’affrancamento dalla propria patria che a questi ultimi è possibile, da intendersi nel senso di un rifiuto dei principi sui quali si regge l’Europa come spazio culturale – primo tra tutti l’ideale ascetico con la sua volontà di verità –, permette di affermare che i buoni europei possano dirsi spiriti compiutamente liberi, contrariamente agli «spiriti liberi europei, cristiani» che non sanno 23 Nella prefazione alla seconda edizione di Umano, troppo umano II, Nietzsche definisce i buoni europei «sanissimi» e «fortissimi», individui in grado «di percorrere la via verso una nuova salute». Cfr. Gori/Stellino 2015: § 2.1. 24 Ad essi Nietzsche destina esplicitamente i suoi scritti e il suo pensiero maturo (cfr. MA II, Prefazione e FW 377). Porre in questione il valore della verità 289 invece prendere le distanze «dalla fede nella stessa verità» (GM III 24). Diversamente da loro, i buoni europei hanno il coraggio di affrontare la rinuncia dell’ultimo punto di riferimento che resta all’uomo europeo, e di prendere su di sé il peso della proposizione «nulla è vero, tutto è permesso»25, con le sue «labirintiche conseguenze» (ibid.). Come si è detto, essi infatti portano la morale cristiana alle sue estreme conseguenze, ed è il modo in cui costoro si comportano di fronte all’abisso nichilistico che quella proposizione apre a contraddistinguerli. La posizione degli Assassini non può infatti essere per Nietzsche il punto di arrivo del pensiero, per quanto necessario sia confrontarsi con essa. L’obiet tivo di Nietzsche è infatti creativo, ma, per quanto egli inviti a una nuova creazione di valori, comprende che per realizzarla è necessario liberarsi di tutti i vincoli appartenenti alla precedente visione del mondo. Ecco che allora l’atteggiamento spirituale dei buoni europei, la gioiosa serenità conseguente all’accettazione della propria condizione apolide, esemplifica il modello di filosofo a cui Nietzsche aspira: un individuo in grado di reagire positivamente agli esiti nichilistici del percorso che conduce al superamento della morale europea e di tramutare il vuoto che trova aperto sotto i propri piedi in uno spazio di azione creatrice26. 25 Per una discussione sull’attribuzione di questa proposizione a Nietzsche e sul valore nichilistico che essa reca in sé cfr. Niemeyer 1998. Per una sua connessione col tema del prospettivismo nietzscheano, cfr. Gori/Stellino 2014: 118 ss. 26 Si noti che Nietzsche presenta il percorso di guarigione dalla malattia del nichilismo come un elemento metaforicamente autobiografico. Nella prefazione alla seconda edizione della Gaia scienza egli parla ad esempio dei «saturnali di uno spirito che ha resistito con pazienza a una lunga, orribile oppressione (…) e che ora è invaso dalla speranza di salute, dall’ebbrezza della convalescenza» (FW, Prefazione 1). Ancora, nella coeva Prefazione di Aurora (scritta anch’essa nel 1886), Nietzsche si presenta come un «essere sotterraneo» che è «tornato indietro» da un viaggio nelle tenebre (M, Prefazione 1 e 2). La sua strada era in particolare quella della messa in questione della morale: «Allora, intrapresi qualcosa che non a tutti sarebbe dato di fare: discesi nelle profondità, perforai il fondo, cominciai a sondare e a scalzare un’antica fiducia, sulla quale noi filosofi, da un paio di millenni, eravamo soliti edificare come sul più sicuro fondamento (…): cominciai a scalzare la nostra fiducia nella morale» (M, Prefazione 2). L’esito di questo percorso è una nuova guarigione e uno sviluppo spirituale che permette a Nietzsche di annoverarsi tra gli «uomini della conoscenza», nei quali «giunge a compimento (…) l’autosoppressione della morale» (M, Prefazione 5. Cfr. anche FW, Prefazione 4). Alla Prefazione di Aurora 290 Pietro Gori 5. Conclusioni Da quanto si è detto si possono svolgere alcune considerazioni conclusive sui paragrafi che chiudono la Genealogia della morale di Nietzsche. Il nucleo teorico che essi espongono è chiaramente significativo nell’economia del pensiero maturo di Nietzsche, e la questione della verità che egli pone in particolare in GM III 24 e 27 costituisce il centro di una riflessione che coinvolge per lo meno tutti i suoi scritti posteriori allo Zarathustra. Come si è visto, tale questione si collega a tesi esposte in Al di là del bene e del male e nel quinto libro della Gaia scienza, ma anche a idee che si riferiscono ai contenuti di opere precedenti e di cui Nietzsche offre uno sguardo retrospettivo nelle prefazioni scritte nel 1886 (ne è un esempio la questione della «fiducia nella morale» di cui egli parla nella Prefazione alla seconda edizione di Aurora). Inoltre, il problema della volontà di verità è prima di tutto funzionale allo svolgimento della Trasvalutazione dei valori, e collega pertanto la Genealogia agli scritti del 1888 (in particolare Crepuscolo degli idoli e Anticristo). Tutto questo non è di certo tenuto nascosto da Nietzsche, la cui strategia comunicativa insiste anzi particolarmente sull’intersezione dei temi da lui trattati, che nella “coda” a GM trovano un punto di incontro. Egli infatti cita direttamente aforismi della Gaia scienza (in GM III 24 e 27), rimanda al quinto libro di quest’opera e alla prefazione di Aurora (GM III 24), annuncia di stare approntando un’opera intitolata Volontà di potenza. Saggio di una trasvalutazione di tutti i valori, all’interno della quale comparirà una sezione intitolata Per la storia del nichilismo europeo27 (GM III 27). Le sezioni conclusive della Genealogia sono quindi caratterizzate da questo gioco di rimandi e anticipazioni costruito allo scopo di concentrare l’attenzione del lettore su un unico punto focale, verso il quale convergerebbe Nietzsche rimanda alla fine di GM III 24, per una migliore comprensione del contenuto di quel paragrafo. 27 Questo titolo rimanda alla nota postuma 5[71] del 1887, conosciuta come frammento di Lenzer-Heide, in cui Nietzsche espone sinteticamente ma in maniera ben strutturata una serie di osservazioni sul nichilismo europeo. Cfr. Stegmaier 1994: 49 ss. Porre in questione il valore della verità 291 l’intera produzione di Nietzsche. Quest’ultimo è per l’appunto il «nuovo problema» del «valore della verità», la cui disamina critica costituisce il compito della sua tarda filosofia. Bibliografia Clark, Maudemarie: 1990. Nietzsche on Truth and Philosophy, Cambridge, Cambridge University Press. Cox, Cristoph: 1997. The “Subject” of Nietzsche’s Perspectivism, in: «Journal of the History of Philosophy» 35, pp. 269-291. Gentili, Carlo: 2014. Nietzsche y el Cristianismo, in: Guía Comares de Nietzsche, a c. di J. Conill Sancho e D. Sánchez Meca, Granada, Comares, pp. 93-122. Gerhardt, Volker: 1989. Die Perspektive des Perspektivismus, in: «Nietzsche-Studien» 18, pp. 260-281. Gori, Pietro: 2015. Posizioni ottocentesche sul rapporto corpo-mente. Lange, Mach, Nietzsche, in: «Intersezioni» 1/2015, pp. 63-88. Gori, Pietro: 2013. Nietzsche on Truth: a Pragmatic View?, in: «Nietzscheforschung» 20, pp. 71-89. Gori, Pietro: 2012. 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Indice Prefazione: Humanitas e oltre, di Fabio Grigenti 5 Nota al testo 7 Introduzioni Leggere la Genealogia della morale di Nietzsche, di Bruna Giacomini 11 Verso una «resa dei conti con la morale», di Pietro Gori 21 Letture e interpretazioni Scarlett Marton Genealogia della morale: dalla premura didattica ai fini strategici 27 Alberto Giacomelli La bionda bestia e il prete. Considerazioni su GM I a partire dalle sue Lebensformen 55 Jean-Michel Rey Note su alcune forme incompatibili 85 Barbara Scapolo Credenza, fiducia o conoscenza? Alcune riflessioni a partire da GM II 13 103 316 La Genealogia della morale João Constâncio Libertà e autonomia dell’individuo sovrano in Nietzsche: una lettura non-deflazionista 125 Federica Negri “Faute de mieux” par excellence. L’esito problematico di GM III 153 Giovanni Gurisatti Sull’utilità e il danno dell’ideale ascetico per la filosofia. Ascesi e askesis in GM III 181 Carlo Gentili Prospettiva e ascetismo. Una lettura di GM III 12 211 Helmut Heit Gaia scienza e ideali ascetici (GM III 23-28) 239 Pietro Gori Porre in questione il valore della verità. Riflessioni sul compito 267 della tarda filosofia di Nietzsche a partire da GM III 24-27 Bibliografia 293 Indice dei nomi 307 Gli Autori 311