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Recensione di Claudio Paolucci, Persona

Milano, Bompiani, 2020
Guido Bitossi
Bibliographical reference

Claudio Paolucci, Persona, Milano, Bompiani, 2020, pp.368

Full text

  • 1 Per una panoramica sul tema dell’identità nella storia della filosofia e nella filosofia della ment (...)

1Il tema del soggetto e dell’identità è uno dei più importanti della filosofia moderna e la destrutturazione di esso il tratto tipico di molta filosofia europea di fine ’800 e inizio ’900. Si pensi alla scuola del sospetto, come la definì Paul Ricœur, ovvero a Nietzsche, la psicanalisi ed al marxismo, ma anche, più recentemente, al post-strutturalismo. Successivamente l’argomento, dalla fine del postmoderno in poi, è stato trattato sempre meno in ambito continentale. È invece diventato sempre più importante in ambito analitico, in particolare nella filosofia della mente e nella filosofia delle scienze cognitive. Si vedano, per rimanere circoscritti al panorama italiano, testi come L’io e i suoi sé (1998) di Michele Di Francesco o il più recente Sentirsi esistere. Inconscio, coscienza, autocoscienza (2013) di Massimo Marraffa e Alfredo Paternoster.1 Il limite di trattare tematiche come queste con gli strumenti delle scienze cognitive è quello di proporre prevalentemente una concezione psicologistica dell’io, facendo passare così in secondo piano la natura linguistica e culturale dei nostri (fragili) processi di autocoscienza. Ed è proprio questa natura linguistica che Claudio Paolucci con Persona (2020), uscito per la casa editrice Bompiani, riporta al centro del dibattito. Paolucci lo fa ripensando la tradizione semiotica della sua formazione (l’autore è stato allievo di Umberto Eco), privilegiando il piano semiotico interno alla lingua, piuttosto che quello semantico dell’esecuzione linguistica concreta. Si tratta di un punto di vista meno usuale in un panorama filosofico in cui la svolta linguistica è quasi sempre rappresentata da autori anglo-americani, ma che Paolucci, alla luce anche degli importanti cambiamenti da lui compiuti nella trattazione, mostra essere ancora molto attuale.

2La persona è il centro del libro, pur essendo proprio lo spostamento di focus da essa alla categoria di enunciazione una delle mosse principali dell’opera. Non c’è persona senza linguaggio per Paolucci, perché solo il linguaggio rende possibile uno sdoppiamento tra la prima persona e la terza persona, in modo tale da permettere all’individuo di vedere l’io come l’egli, ovvero di porre se stesso come oggetto. L’atto di enunciazione invece secondo l’autore è ciò che richiede a chi è fuori dal linguaggio di assumere il ruolo di soggetto enunciante. Basandosi su numerose fonti (Peirce, Tesnière, la logica stoica) Paolucci spiega come, in opposizione alla logica aristotelica in cui il sistema è fondato sulla categoria di sostanza, per lui sia invece l’evento la categoria al centro della proposizione predicativa, a partire dal quale solo secondariamente si definisce il soggetto. Così l’atto di enunciazione, ci spiega l’autore, è l’evento impersonale che genera assieme due termini relativi: l’enunciato da un lato e dall’altro la persona. Quest’ultimo è un posto vacante occupabile da un attante proveniente fuori dal linguaggio, un posto che qualora assunto rende possibile, tramite il filtro del linguaggio, la persona stessa.

3L’atto di enunciazione di Paolucci, di cui la persona nella sua teoria non è che una propaggine, non ha nulla a che fare quindi con, ad esempio, l’atto linguistico della filosofia oxoniana del linguaggio ordinario. Il paragone con questa nozione potrebbe esserci utile però per introdurre il concetto di cui si parla. L’atto linguistico di Austin (1975) appartiene al piano semantico: ha il suo posto solo nella situazione concreta di proferimento. L’atto di enunciazione di Paolucci invece media ed interagisce semioticamente con ulteriori modi di esistenza linguistici e non (schema, norma, uso ecc.). Inoltre grazie a questa mediazione l’enunciazione crea e dà vita non solo all’enunciato, ma anche alla persona, laddove Austin presuppone all’atto linguistico dei parlanti individuali già dati, pervenendo così a quello che Paolucci chiama una teoria dell’emittente. Infine, dove la causa dell’atto linguistico austiniano è da rintracciarsi nell’individuo singolo (nella parole detto diversamente), l’atto di enunciazione ha invece la sua causa in numerose istanze enuncianti (differenti modi di esistenza) ben più numerose della semplice soggettività.

4Ma la vera contrapposizione, sulla quale si gioca il primo capitolo, è con la teoria della persona di Benveniste. In Benveniste la persona è fondata sull’ io, sulla prima persona. Paolucci, al contrario, per fondare una teoria dell’enunciazione che poggi sull’evento ed una teoria dell’autocoscienza basata sulla terza persona, cerca di porre al centro del libro la terza persona, egli. La teoria dell’enunciazione di Paolucci si definisce allora come evenemenziale, nel senso che privilegia l’evento al soggetto, ed impersonale, poiché si fonda sulla categoria del SI, che sola giustifica il fatto che il soggetto si veda primariamente nell’autocoscienza come un egli.

5Rifacendosi poi al pensiero di Bruno Latour, Paolucci individua l’istanza dell’enunciazione nella figura dell’occupante senza posto (presente nell’enunciato in quanto perennemente assente). Esso media tramite una rete tra vari modi di esistenza, in parte virtuali ed in parti legati ad una forma intersoggettiva di pragmatica detta prassi enunciativa. Qui si perviene alla conclusione centrale del libro: quella visione della soggettività come agglomerato, o composto, come scrive l’autore, di istanze enunciative, sia linguistiche che non linguistiche. Queste istanze (langue, parole, schema, norma, sperimentazione scientifica, codici del diritto ecc.) hanno la stessa rilevanza sulla costruzione dell’enunciato di quanta ne ha il soggetto in carne ed ossa. La tesi qui esposta, che forse in altri tempi avrebbe avuto numerose implicazioni ideologiche, viene attualizzata da Paolucci con il riferimento, mediato anche da Latour filosofo della scienza, alla pratica scientifica e, nell’ultimo capitolo, all’audiovisivo. Nel primo caso il riferimento è ai big data per esempio in cui entità informatiche, tecnologiche, scientifiche pesano sulle stringhe di dati tanto quanto l’utente, semplice “curatore”. Nel secondo caso invece l’autore si basa sulle teorie di filosofia del cinema di Christian Metz, a partire dalle quali, nell’ultima parte del libro, Paolucci cerca di applicare il discorso semiotico all’audio-visivo. Qui egli cerca di individuare se e quale ruolo hanno gli embrayeurs (altrimenti detti deittici) all’interno dell’enunciazione filmica, con riferimenti cinematografici (come il film Eternal Sunshine of the Spotless Mind), e musicali (Wish you where here dei Pink Floyd).

6Il limite che sembra portare con sé una teoria come quella di Paolucci è in apparenza di sconfinare in un generale annullamento del soggetto. La realtà virtuale e totale della lingua controlla con i suoi meccanismi la posizione che il soggetto assume nel discorso, cioè la maschera che il soggetto deve indossare. Il rischio è che il soggetto faccia la fine di Elisabeth, l’attrice di teatro coprotagonista di Persona, che ritirandosi volontariamente dalla lingua tenta di raggiungere l’obiettivo di una soggettività che vada oltre la parola. Ma la posizione di Paolucci è più complessa di così. Come ci spiega nel capitolo quarto, dove la persona viene identificata con il discorso indiretto libero, egli non intende “riproporre vecchie teorie secondo cui siamo parlati da lingue e da sistemi di segni” (Paolucci 2020: 263). Questo diviene evidente quando si porta l’attenzione alle altre due operazioni semiotiche che costruiscono la soggettività per Paolucci: la prima consistente nella capacità del soggetto di immaginare mondi possibili e la seconda nella facoltà di mentire. Entrambe presuppongono un’iniziativa soggettiva e una pianificazione derivanti dal discorso libero indiretto, che opera una modulazione tra l’istanza enunciativa del soggetto e le altre istanze dell’atto di enunciazione.

7In particolare, concentrandoci ora sulla teoria della persona interna al libro, va notato come le tre operazioni semiotiche indicate da Paolucci assomiglino ad alcune caratteristiche del sé della teoria biosociale della mente di George Herbert Mead (1934). Vi sono tra i due autori delle differenze teoriche molto nette per quanto riguarda la teoria dell’enunciazione, ma le somiglianze riguardo alla concezione della soggettività sono evidenti. Diversamente da Paolucci, e come Benveniste, Mead tratta solo dell’enunciazione concreta ed intersoggettiva. Inoltre dell’enciclopedia, nozione che Paolucci prende da Umberto Eco, Mead vede il piano virtuale della lingua (costituito in Mead dall’universo del discorso) interamente come un derivato di quel che Paolucci chiama la prassi enunciativa. Eppure il filosofo di Chicago perviene a delle conclusioni sulla soggettività in parte simili a quelle contenute nel libro, a partire dall’idea dell’autocoscienza come sdoppiamento tra due voci: l’io e l’egli. Ricordiamo che l’autocoscienza nasce in Paolucci quando la voce di un egli che parla ad io viene riconosciuta come la voce di io stesso, e, contemporaneamente, quando l’io ascolta la sua voce come se fosse quella di un egli.

8La soggettività in Mead è il frutto di una progressiva interiorizzazione di segni. Questa interiorizzazione però inizia dalla produzione, attraverso la conversazione di gesti, del gesto significativo. Quest’ultimo può darsi solo quando l’organismo imita implicitamente la risposta che l’altro dà nella conversazione al suo gesto. Ciò è però possibile, scrive Mead, solo quando l’organismo percepisce il proprio gesto nella prospettiva dell’altro, ovvero dell’egli, percezione senza la quale l’imitazione implicita interna all’organismo non può avvenire. Quel che permette questa imitazione implicita è allora il gesto vocale, perché solo tramite l’apparato fonatorio io posso percepire il gesto eseguito (in questo caso un grido) nello stesso modo in cui lo percepisco quando prodotto dall’altro. Il gesto significativo e l’autocoscienza nascono allora in Mead dall’illusione di stare ascoltando la voce di un altro quando si ascolta invece la propria. Solo così l’organismo, rispondendo al suono come se la voce fosse dell’egli, può comprendere la reazione che il gesto di io suscita e vedere se stesso all’interno di una rete di rapporti sociali. Ma questa è appunto la stessa operazione semiotica di cui parla Paolucci. Quella messa in atto da Dolores in Westworld, di cui parla l’autore nel prologo, che impara a sentire la voce di egli riconoscendo che è io ma che, contemporaneamente, ha autocoscienza di se stessa solo quando ascolta la voce di io come se fosse la voce di egli.

9Questo primo punto si lega strettamente nel libro di Paolucci alle successive due operazioni semiotiche alla base della persona citate sopra (capacità di pianificare in mondi possibili, capacità di mentire). Sia la menzogna che la capacità di immaginare mondi possibili sono in effetti ad esso strettamente legate. Solo grazie alla capacità di sentire la propria voce come quella dell’altro noi possiamo mentire: mentire implica infatti vedere le proprie azioni, la propria voce come una superficie significante prodotta da una terza persona, in modo tale da poter calcolare l’effetto che questa superficie può causare nel comportamento altrui. Inoltre la facoltà di mentire è al centro della nostra capacità di pianificare, visto che il progettare una tattica tramite l’astuzia richiede spesso l’uso della menzogna. Questo insieme di comportamenti (la menzogna ed il ragionamento) sono in Mead rappresentati da quella pianificazione che lui chiama condotta significativa. In essa, esemplificata dal famoso esempio della scherma, il soggetto mette in atto un gesto come una semplice finta. La risposta a quel gesto, prevista precedentemente dall’organismo che l’ha messo in atto, porta poi all’attacco finale. Il tutto al fine del raggiungimento di un obiettivo ultimo, tramite la creazione di nuove strategie dirette ad un fine. Forma elementare di ragionamento ma strettamente ancorata all’autocoscienza, la condotta significativa è quindi una forma di pianificazione tramite l’uso del mentire, assai affine a quella di Paolucci. C’è però un’ultima differenza tra i due autori che forse è giusto sottolineare. L’atto enunciativo di Paolucci è incorporeo, ben distinto dalla corporeità di coloro che occupano le posizioni di soggetto aperte dall’enunciazione. Ciò che interessa all'autore è principalmente la mediazione dell’enunciazione tra modi di esistenza virtuali, pur dando un importante posto alla prassi enunciativa. Mead invece, nell’ottica del naturalismo-culturale meadiano e deweyano, fonda il me, sorta di vocabolario interiorizzato costituente la soggettività, su relazioni gestuali che hanno un fondamento fisico nonché biologico.

10Persona di Claudio Paolucci è un testo che non si può non definire enciclopedico, così che alla fine esso sembra coincidere proprio con uno degli oggetti della sua trattazione. Si intende la nozione di enciclopedia di Umberto Eco, patchwork di brandelli semiotici articolati dall’uso in differenti modi di esistenza, come ci spiega l’autore. Il suo risultato è quindi l’articolazione di questo patchwork. E come l’enciclopedia echiana raccoglie in sé la “bava ed i detriti” di tutta la semiosi precedente, così Paolucci raduna, grazie ad una conoscenza onnivora, intuizioni dai più disparati campi della cultura in un unico sistema tanto appassionante quanto coerente.

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Bibliography

Austin John Langshaw, (1975), How to do Things with Words, Cambridge, Mass., Harvard University Press.

Di Francesco Michele, (1998), L’io e i suoi sé, Milano, Raffaello Cortina Editore.

Di Francesco Michele, Marraffa Massimo & Alfredo Tomasetta, (2017), Filosofia della mente, Roma, Carocci Editore.

Marraffa Massimo & Alfredo Paternoster, (2013), Sentirsi esistere. Inconscio, coscienza, autocoscienza, Bari, Editori Laterza.

Mead George Herbert, (1934), Mind, Self and Society, Chicago, The University of Chicago Press.

Paolucci Claudio, (2020), Persona, Milano, Bompiani.

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Notes

1 Per una panoramica sul tema dell’identità nella storia della filosofia e nella filosofia della mente contemporanea si veda Di Francesco, Marraffa & Tomasetta 2017.

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References

Electronic reference

Guido Bitossi, “Recensione di Claudio Paolucci, PersonaEuropean Journal of Pragmatism and American Philosophy [Online], XIII-1 | 2021, Online since 02 April 2021, connection on 28 March 2024. URL: http://journals.openedition.org/ejpap/2344; DOI: https://doi.org/10.4000/ejpap.2344

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Guido Bitossi

Universita’ di Roma Tre
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