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Roberto Franzini Tibaldeo* «QUAESTIO MIHI FACTUS SUM.» L’IMMAGINE DELL’ESSERE UMANO NELLA FILOSOFIA DI HANS JONAS 1. Introduzione Da sempre l’impiego della tecnologia è volto al contenimento dell’esposizione dell’essere umano ai rischi e alla vulnerabilità della propria condizione esistenziale. Solo di recente, però, l’incredibile sviluppo bioscientifico e biotecnologico ha offerto la possibilità di radicalizzare il precedente assunto, facendo sì che concetti quali rischio, vulnerabilità e addirittura mortalità possano venire disgiunti dall’esperienza umana in quanto tale e da ultimo sconfitti grazie all’impiego della tecnologia.1 Già a partire dagli anni Settanta del secolo scorso Hans Jonas aveva evidenziato queste possibilità e le relative problematiche, collocandole nel più ampio contesto dello sviluppo tecnologico occidentale. A suo avviso, novità moderne quali il «progresso potenzialmente infinito», il «dinamismo incessante»2 e la scoperta della «fondamentale storicità dell’uo* roberto.franzini@uclouvain.be, Université catholique de Louvain. 1 Si veda per esempio il dibattito circa il cosiddetto «human enhancement» e le posizioni più radicali di Stelarc, Prosthetics, Robotics and Remote Existence: Postevolutionary Strategies, in «Leonardo» 24, 5 (1991), pp. 591-595; R. Kurzweil e T. Grossman, Fantastic Voyage. Live Long Enough to Live Forever, Rodale, Emmaus (PA), 2004; I. Persson e J. Savulescu, The Perils of Cognitive Enhancement and the Urgent Imperative to Enhance the Moral Character of Humanity, in «Journal of Applied Philosophy» 25, 3 (2008), pp. 162-177; R. Kurzweil, La singolarità è vicina, Apogeo, Milano, 2010. Cfr. anche N. Agar, Liberal Eugenics: In Defence of Human Enhancement, Blackwell, Malden, 2004; Human Enhancement, a cura di J. Savulescu e N. Bostrom, Oxford University Press, Oxford, 2009. Per un inquadramento critico della questione, cfr. M. Hauskeller, Better Humans? Understanding the Enhancement Project, Acumen, Durham, 2013; M. Hauskeller, Mythologies of Transhumanism, Palgrave Macmillan, Cham, 2016. 2 H. Jonas, The Phenomenon of Life. Toward a Philosophical Biology, Harper & Row, New York, ediz. ted. con variazioni Organismus und Freiheit. Ansätze zu einer philosophischen Biologie, Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen, 1973, poi riedita senza ulteriori modifiche con il titolo Das Prinzip Leben. Ansätze zu einer philosophischen Biologie, Insel, Frankfurt am Main-Leipzig, 1994 e poi Suhrkamp, Frankfurt am Main, 1997, ora in Kritische Gesamtausgabe der Werke von Hans Jonas, vol. I.1, a cura di H. Gronke, Rombach, Freiburg-Berlin-Wien, 2010, pp. 1-359, trad. it. Organismo e libertà. Verso una biologia filosofica, a cura di P. Becchi, Einaudi, Torino, 437 ROBERTO FRANZINI TIBALDEO mo»3 – aspetti che ispirano tra l’altro l’attuale modus operandi tecnicoscientifico ed economico, e la sottostante visione filosofica – producono una sostanziale modifica del precedente Weltbild, al punto da non poter essere semplicemente rigettate,4 benché siano certamente aspetti che devono venire analizzati e discussi criticamente, anche alla luce delle conseguenze problematiche che ne possono derivare. Tra gli aspetti più interessanti e attuali della riflessione jonasiana, si annovera proprio questa intenzione di riconsiderare il nostro presente tecnologico alla luce di un’esperienza e un principio ritenuti invero fondamentali, vale a dire il carattere profondamente ambivalente e ambiguo della libertà umana – aspetti evidenziati fin dagli anni Sessanta, allorché l’autore scriveva: «Nell’abisso che è stato aperto in questo confronto del sé con se stesso, e nell’esercizio del rapporto che deve in un modo o nell’altro sempre colmarlo, trovano posto le più alte elevazioni e le più basse afflizioni dell’esperienza umana. Non diversamente dai dati dei suoi sensi esterni i risultati della sua riflessione sono solo la materia prima per la continua sintesi e integrazione in un’immagine totale. Questo lavoro prosegue sin tanto che l’uomo è in vita in quanto uomo. Quaestio mihi factus sum, “sono diventato una domanda a me stesso”: religione, etica e metafisica sono tentativi mai portati a termine di affrontare e fornire una risposta a questa domanda nell’orizzonte di un’interpretazione dell’intero essere».5 Quel che vorrei evidenziare in questo contributo è come il pensiero jonasiano offra preziose indicazioni per valutare i mutamenti impressi dallo sviluppo tecnologico odierno sull’ambiente e sulla natura umana, e per poter così discernere le opportunità offerte dai rischi a esso connessi. Come peraltro accennato nella precedente citazione, è proprio l’immagine totale che l’essere umano ha di se stesso (in quanto individuo e in quanto soggetto collettivo) a costituire la lente critica attraverso cui valutare i mutamenti in corso. 1999, p. 259 [ing. p. 207; ted. p. 337]. Le citazioni dal tedesco sono riprese da Prinzip Leben (1997) anziché dalla Gesamtausgabe, in quanto quest’ultima omette alcuni capitoli che Jonas stesso aveva scelto di includere in The Phenomenon of Life e in Organismus und Freiheit, nonostante fossero stati precedentemente pubblicati come articoli autonomi. 3 Ibidem, p. 290 [ing. p. 267; ted. p. 381]. 4 Cfr. ivi; Id., Das Prinzip Verantwortung. Versuch einer Ethik für die technologische Zivilisation, Insel, Frankfurt am Main, 1979, poi Suhrkamp, Frankfurt am Main, 1984, ora in Kritische Gesamtausgabe der Werke von Hans Jonas, vol. I.2, a cura di D. Böhler, B. Herrmann, Rombach, Freiburg-Berlin-Wien, 2015, pp. 1-420, trad. it. Il principio responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica, a cura di P.P. Portinaro, Einaudi, Torino, 1990, pp. 149, 172-173 [ted. p. 233]; H. Scodel, An Interview with Professor Hans Jonas, in «Social Research» 70, 2 (2003), pp. 339-368, in particolare pp. 358-362. 5 H. Jonas, Organismo e libertà, cit., p. 237 [ing. p. 187; ted. p. 309]. 438 «QUAESTIO MIHI FACTUS SUM». L’IMMAGINE DELL’ESSERE UMANO NELLA FILOSOFIA DI HANS JONAS 2. In cammino verso l’immagine umana L’«immagine dell’uomo» è l’espressione con cui Jonas sintetizza lo specifico umano.6 Egli dettaglia questa proposta antropologica nell’ambito della propria indagine biologico-filosofica, i cui obiettivi di fondo sono i seguenti: 1) reperire un’interpretazione del vivente che eviti, da un lato, il monismo riduzionistico e, dall’altro, il dualismo delle sostanze, e che insieme non si precluda la possibilità di effettuare ulteriori supposizioni metafisiche; 2) cercare di comprendere lo specifico umano nella sua continuità e discontinuità rispetto al vivente; 3) affrontare in chiave critico-riflessiva le problematiche etiche connesse con la scienza e la tecnica odierne.7 Relativamente ai primi due obiettivi, si può citare il seguente passo di Organismus und Freiheit, in cui Jonas sintetizza il proprio punto di vista: «Sin dai tempi antichi nelle immagini dell’essere viene accentuato il “fra” dell’uomo: fra animale e angelo, fra passato e futuro, fra dannazione e redenzione, ecc. Platone vedeva il divenire come una via di mezzo fra il non essere e l’essere, che partecipava a entrambi, e l’anima immersa nel divenire come aperta all’essere eterno nel sapere della ragione. Il divenire divenuto invadente, isolato dall’essere eterno e razionale, ha consegnato l’io all’imbroglio [Schwindel] della sua libertà e ha fatto diventare l’incontro con l’essere l’incontro con il nulla. Il nichilismo moderno, di cui Nietzsche ha seguito le tracce, obbliga a porre in modo nuovo la questione dell’essere nell’epoca postplatonica. Essa deve ricercare storicamente i motivi dell’esperienza nichilistica; deve cercare di determinare ontologicamente l’essenza della libertà umana in relazione al restante mondo della vita, anzi all’intera natura; e trova nell’interna trascendenza di quella libertà l’indicazione per tastare metafisicamente un nuovo senso di trascendenza ed eternità».8 Prima di approfondire la relazione esistente tra specifico umano e questione etica (cfr. il terzo obiettivo summenzionato), vorrei analizzare come la biologia filosofica jonasiana cerchi di conseguire i primi due obiettivi esposti e, così facendo, ponga di fatto le premesse per raggiungere anche il terzo. Vediamo dunque – seppure in modo sommario – in che modo Jonas, presentando il proprio resoconto biologico-filosofico, argomenti a favore della sua valenza ontologica e in che modo, a suo avviso, lo specifico umano emerga dal vivente, distinguendosi al tempo stesso da quest’ultimo. 6 Ibidem, p. 235 [ing. p. 186; ted. p. 308]; Id., Il principio responsabilità, cit., p. XXVII [ted. p. 15]. 7 Jonas avverte l’urgenza di questa problematica fin dagli anni Cinquanta (cfr. specialmente The Practical Uses of Theory, in «Social Research», 26 (1959), pp. 127-150, poi in H. Jonas, Organismo e libertà, cit., pp. 239-262 [ing. pp. 188-210; ted. pp. 311-341]). 8 H. Jonas, Organismo e libertà, cit., pp. 237-238 [ted. p. 310]. 439 ROBERTO FRANZINI TIBALDEO Ad avviso di Jonas, un’interpretazione filosofica della vita comporta l’analisi di uno specifico oggetto di ricerca – l’individuo vivente – e ciò allo scopo di chiarirne il senso. A differenza di come viene tradizionalmente inteso il concetto di «individuo», vale a dire – da un lato – la prospettiva dall’esterno, secondo cui i principia individuationis vengono a coincidere con la materia e lo spazio-tempo, e dall’altro lato l’idea che richiama la centralità della forma o essenza dell’individuo, Jonas sceglie di affrontare la questione dal punto di vista dell’interiorità stessa del vivente, cioè «chiedendo che cosa significhi essere un individuo per l’individuo stesso».9 La risposta è che l’individuo evidenzia una specifica modalità di esistenza che si esprime attraverso un’attività incessante e in certo modo dialettica.10 Questa modalità di esistenza caratterizza in quanto tali tutti gli organismi viventi e li distingue dalla materia inanimata.11 Jonas esplicita ulteriormente il senso ontologico di queste riflessioni. A suo avviso, ogni essere vivente è contraddistinto da una «libertà bisognosa verso la materia».12 E aggiunge: «l’esercizio di libertà di cui la cosa vivente gode, è piuttosto una rigida necessità. Questa necessità, che chiamiamo “bisogno”, si presenta soltanto dove l’esistenza è incerta e l’identità un compito continuo».13 In altre parole, l’individuo (organico) è quella libertà che abbisogna del mondo per esistere.14 Questo significa che l’essere dell’individuo, «sospeso nella possibilità, deve realizzarsi mediante l’uso del mondo».15 A ciò si aggiunge un risultato ontologico di portata perfino maggiore: il metabolismo, che esprime la dinamica basilare dell’individuo organico, esprime chiaramente come il senso dell’essere organico si esprima attraverso una «polarità di essere e non essere, di sé e mondo, di libertà e necessità»16 – cioè attraverso una dinamica polare e dialettica di soggettivazione e oggettivazione, che sottolinea la coesistenza e coimplicazione dialettica di due processi contrari: a) quello tramite cui l’individuo vivente conquista la propria soggettività distanziandosi dalla contiguità spaziotemporale della realtà circostante, e b) quello per cui l’individuo vivente 9 Id., Philosophical Essays. From Ancient Creed to Technological Man, Prentice-Hall, Englewood Cliffs, 1974, poi University of Chicago Press, Chicago, 1980, trad. it. Dalla fede antica all’umo tecnologico. Saggi filosofici, a cura di A. Dal Lago, il Mulino, Bologna, 1991, p. 279 [ing. pp. 186-187]. 10 Cfr. ivi. Come si vedrà, la distinzione qui sottolineata da Jonas tra forma o essenza, intese in senso statico, ed esistenza, intesa in senso dinamico e dialettico, si rivelerà di fondamentale importanza per comprendere la specificità dell’homo pictor. 11 Cfr. H. Jonas, Dalla fede antica all’uomo tecnologico, cit., p. 280 [ing. pp. 187-188]. 12 Id., Organismo e libertà, cit., p. 111 [ing. p. 80; ted. p. 150]. 13 Id., Dalla fede antica all’uomo tecnologico, cit., p. 284 [ing. p. 191]. 14 Cfr. ibidem, pp. 288-289 [ing. p. 195]. 15 Ibidem, p. 290 [ing. p. 196]. 16 Ivi. 440 «QUAESTIO MIHI FACTUS SUM». L’IMMAGINE DELL’ESSERE UMANO NELLA FILOSOFIA DI HANS JONAS dipende comunque da quest’ultima (che si trova dunque a essere in qualche modo istituita come «mondo») e deve sempre e comunque sforzarsi di mantenere un rapporto e trovare una mediazione con essa. In secondo luogo, il processo dialettico di individuazione organica – vale a dire, della vita – evidenzia più della sola tendenza all’auto-conservazione ed esprime un aspetto teleologico. Afferma Jonas in Organismus und Freiheit: «Se contasse solo l’assicurazione della durata, allora la vita non avrebbe dovuto nemmeno cominciare [...]. Qui la questione non è la durata in quanto tale, ma “la durata di che cosa?”».17 La domanda decisiva è dunque quella che riguarda le forme e le realizzazioni prodotte dalla vita. E che cosa scopriamo a questo riguardo? Jonas non ha dubbi: scopriamo che la sfera del vivente (la cui omogeneità è assicurata dalla libertà e «trascendenza» della forma organica rispetto alla materia)18 è solcata da differenze e discontinuità qualitative, che emergono dal carattere evolutivo del fenomeno della vita, inteso da Jonas nei termini di «una successione ascendente di gradi che va dal “primitivo” all’“evoluto”».19 La libertà fondamentale del vivente, che Jonas – sulla scorta di Aristotele20 – non esita a definire «tendenza allo scopo»,21 si articola dunque in forme specifiche di libertà, che si differenziano a seconda del grado di complessità dell’organismo che le manifesta. Infatti, forme organiche più complesse sono caratterizzate da una dinamica di individuazione più accentuata che, allontanando l’organismo dalla prossimità del «mondo», richiede modalità aggiuntive e più raffinate per mediare questa distanza e poter così sopravvivere.22 Questo significa che i vari «“mezzi” di sopravvivenza», quali metabolismo e – nel caso del vivente animale – percezione, motilità e sentimento «non vanno mai giudicati solamente in quanto mezzi, bensì anche come qualità della vita stessa che va conservata e quindi come aspetti del fine della conservazione. È uno dei paradossi della vita che essa usi mezzi che modificano il fine divenendo essi stessi parti del medesimo».23 A breve vedremo in che H. Jonas, Organismo e libertà, p. 147 [ing. p. 106; ted. p. 193]. Cfr. ibidem, pp. 111-112 e 118-120 [ing. p. 80, 84; ted. pp. 151, 159-160]. Ibidem, p. 8 [ing. p. 2; ted. p. 16]. La prospettiva ontologica jonasiana intende smarcarsi sia da prospettive monistico-darwiniane sia da quelle dualistiche (cfr. ibidem, pp. 15-35 [ing. pp. 7-26; ted. pp. 23-49]; Id., Materie, Geist und Schöpfung. Kosmologischer Befund und kosmogonische Vermutung, Suhrkamp, Frankfurt am Main, 1988, trad. it. Materia, spirito e creazione. Reperto cosmologico e supposizione cosmogonica, a cura di P. Becchi e R. Franzini Tibaldeo, Morcelliana, Brescia, 2012, §§ 1-2). 20 Cfr. H. Jonas, Organismo e libertà, cit., p. 122 [ing. p. 86; ted. p. 163]. 21 Ibidem, p. 127 [ing. pp. 90-91; ted. pp. 168-169]. 22 Cfr. H. Jonas, Dalla fede antica all’uomo tecnologico, cit., p. 301 [ing. p. 204]. 23 Id., Organismo e libertà, cit., p. 147 [ing. p. 106; ted. p. 193]. Cfr. anche Id., Dalla fede antica all’uomo tecnologico, cit., p. 290 [ing. p. 196] e Id., Organismo e libertà, cit., pp. 126-127 [ing. pp. 90-91; ted. pp. 168-169]. 17 18 19 441 ROBERTO FRANZINI TIBALDEO modo il discorso relativo a specificità umane quali immaginazione, capacità raffigurativa e riflessione si articoli in rapporto a questa dinamica della vita. Per il momento è importante richiamare i seguenti aspetti: 1) l’esistenza dell’individuo organico è in quanto tale accompagnata da uno specifico modo d’essere o esser-così,24 che evidenzia una tendenza allo scopo o teleologia, la cui pienezza di significato deve essere difesa di contro a interpretazioni inadeguate e riduttive;25 2) lo specifico modo d’essere organico non è però univoco, ma si manifesta in una pluralità di significati e differenze qualitative, vale a dire in un grado maggiore o minore di individualità, e ciò a seconda di come gli organismi articolano la propria discontinuità rispetto al mondo inorganico mediante i rispettivi mezzi di sopravvivenza; 3) la dinamica di individuazione del vivente è pertanto caratterizzata al tempo stesso da continuità (= ogni individuo organico è caratterizzato da un processo dialettico di individuazione) e discontinuità (= esistono differenze qualitative relative ai diversi livelli di individualità); 4) nel suo complesso, la vita presenta infine un aspetto storico-evolutivo orientato teleologicamente e aperto al futuro.26 Veniamo così all’essere umano, la cui specificità può essere spiegata utilizzando la medesima chiave interpretativa: come tutti gli organismi, anche l’essere umano è caratterizzato da un dinamismo dialettico di individuazione (scissione e distanza tra sé e mondo – cioè tra soggetto e oggetto27 – mezzi di sopravvivenza e mediazione in grado di oltrepassare la scissione, ecc.); tuttavia, a differenza degli altri organismi, il processo di individuazione umana evidenzia un’originalità dotata addirittura di valenza «metafisica».28 Il resoconto jonasiano della specificità umana è duplice: a) egli evidenzia come la «facoltà figurativa» umana sia un «ulteriore grado di mediatezza [Mittelbarkeit]»29 che distingue l’essere umano dagli altri esse- 24 In Das Prinzip Verantwortung Jonas, richiamando questa dualità ed esplicitandola a proposito dell’essere umano, si avvarrà non a caso dei termini «Dasein» e «Sosein» (cfr. sezione 3 del presente articolo). 25 Tali interpretazioni riduttive si caratterizzano per la propria incapacità di riconoscere che, poiché la vita è un movimento dialettico «che va costantemente al di là dello stato di cose dato», la «sua continuazione è sempre più della mera preservazione» (H. Jonas, Dalla fede antica all’uomo tecnologico, cit., p. 291 [ing. p. 197]). 26 Cfr. H. Jonas, Organismo e libertà, cit., pp. 7-13 [ing. pp. 1-6; ted. pp. 13-22]; Id., Evolution und Freiheit, in «Scheidewege» 13 (1983-4), pp. 85-102, trad. it. Evoluzione e libertà, in Natura senza fine. Il naturalismo moderno e le sue forme, a cura di P. Costa e F. Michelini, EDB, Bologna, 2006, pp. 335-354. 27 Cfr. H. Jonas, Dalla fede antica all’uomo tecnologico, cit., pp. 300-301 [ing. pp. 204-205]. 28 Jonas non esita ad affermare che tra il vivente e l’umano esiste uno «iato metafisico» (H. Jonas, Organismo e libertà, cit., p. 223 [ing. p. 175; ted. p. 291]). 29 Ibidem, p. 234 [ing. p. 184; ted. p. 306]. Ai fini dell’analisi Jonas privilegia il «raffigurare» rispetto ad altre manifestazioni della specificità umana (tra cui utensili, tombe, focolari e il linguaggio) per la sua semplicità e riconoscibilità dall’esterno (ibidem, p. 205 [ing. p. 158; ted. p. 268]; cfr. 442 «QUAESTIO MIHI FACTUS SUM». L’IMMAGINE DELL’ESSERE UMANO NELLA FILOSOFIA DI HANS JONAS ri viventi e in particolare dagli animali; b) in secondo luogo, Jonas individua la «soglia di un’ulteriore mediazione [Vermittlung]», che viene conseguita grazie alla riflessione.30 Sia la facoltà figurativa sia la riflessione sono intese attraverso la lente del processo di individuazione poc’anzi illustrato. Ecco quanto Jonas afferma a proposito della facoltà figurativa: «Questo nuovo grado consiste nell’estensione ideativa della percezione […]. La nuova mediatezza [Mittelbarkeit] consiste nell’interpolazione dell’eidos astratto e spiritualmente manipolabile fra la percezione e l’oggetto attuale, in modo simile a quello in cui a livello della mediatezza animale la percezione di oggetti si interponeva tra l’organismo e il suo primario rapporto con l’ambiente. Con il suo raffigurare e verbalizzare l’uomo smette di vedere le cose direttamente: le vede attraverso la grata delle rappresentazioni che possiede dal precedente rapporto con le cose e che vengono evocate dall’attuale contenuto percettivo per lasciarsi pervadere dalla loro carica simbolica e aggiungervi dal canto proprio qualcosa. Il loro ruolo maggiore esse lo svolgono tuttavia negli intervalli fra le esperienze attuali, quando l’oggetto non è presente per la diretta percezione: allora le immagini astratte, sulle quali il soggetto comanda, offrono in se stesse il materiale per un’“esperienza” da una nuova distanza; un’esperienza simbolica, in cui il soggetto ottiene il potere sul mondo, senza che questo gli imponga la sua presenza».31 Tuttavia, l’«uomo in senso pieno»32 compare solo grazie alla riflessione, la quale imprime una svolta radicale nella dinamica di individuazione (quella cioè che si svolge tra i poli della soggettivazione e dell’oggettivazione), che – come si è visto – caratterizza in quanto tale la vita: «La fatale libertà dell’oggettivazione, che contrappone al sé il potenziale tutto dell’“altro”, il “mondo”, come campo indefinito per il possibile comprendere e agire, può e alla fine deve, con il suo peso della mediatezza, ritornare al soggetto stesso e renderlo da parte sua oggetto di un rapporto che prende a sua volta la indiretta via dell’eidos. La “forma” che si presenta qui è per tipo diversa dalle forme dell’intero regno dell’esteriorità, in quanto riguarda la relazione del sé con tutta l’esteriorità. Si sviluppa la nuova dimensione della riflessione, in cui il soggetto di tutto l’oggettivare appare a se stesso in quanto tale e diviene a sua volta oggetto per un tipo di relazione nuovo e sempre più automediante. Ponendo per la prima volta la domanda “Che cos’è dell’uomo, qual è anche H. Jonas, Philosophische Untersuchungen und metaphysische Vermutungen, Insel, Frankfurt am Main, 1992, poi Suhrkamp, Frankfurt am Main, 1994, trad. it. Ricerche filosofiche e ipotesi metafisiche, a cura di A. Campo, Mimesis, Milano-Udine, 2011, pp. 53-67 [ted. pp. 34-49]). Tuttavia, come confermato anche dalla citazione seguente che menziona l’endiadi «raffigurare e verbalizzare», Jonas è altresì consapevole del fatto che non è possibile distinguere e separare nettamente le molteplici sfaccettature con cui si manifesta lo specifico umano. 30 H. Jonas, Organismo e libertà, cit., p. 235 [ing. p. 185; ted. p. 307]. 31 Ibidem, pp. 234-235 [ing. pp. 184-185; ted. pp. 306-307]. 32 Ibidem, p. 235 [ing. p. 185; ted. p. 307]. 443 ROBERTO FRANZINI TIBALDEO il mio posto e la mia parte nel progetto delle cose?” il sé viene trascinato nella distanza, in cui tutte le cose vengono da lui tenute e da cui vanno prese in atti di intenzionalità eidetica».33 È a questo proposito che Jonas osserva come l’essere umano si caratterizzi per la propria capacità di interrogarsi rispetto a se stesso («Quaestio mihi factus sum», afferma Jonas citando Agostino)34 e al senso complessivo dell’essere. Come già le altre forme viventi, anche la specificità umana viene dunque spiegata mediante il processo di individuazione e la relativa dialettica di soggettivazione e oggettivazione. Eppure, essa presenta una qualità unica, vale a dire la riflessione, che apre a possibilità inedite (linguaggio, cultura, tecnologia, ecc.)35 e simultaneamente si caratterizza per una singolare e ineliminabile «ambiguità»,36 prefigurata dal già citato «imbroglio [Schwindel] della libertà» – un carattere che evidenzia come nel proprio esercizio la libertà umana sia costantemente tentata di troncare la continuità della dialettica di soggettivazione e oggettivazione, giungendo in tal modo ad alterare o rescindere il proprio rapporto con il mondo.37 Quel che mi sembra importante richiamare è che l’ambiguità che caratterizza la dinamica figurativo-riflessiva umana si fonda sul peculiare ruolo 33 Ivi. Ibidem, p. 237 [ing. p. 187; ted. p. 309]. Altrove Jonas insiste sull’irriducibile diversità di questi caratteri dalla sola percezione, che le facoltà umane di fatto trascenderebbero, pur rimanendo costitutivamente legate a essa (cfr. H. Jonas, Dalla fede antica all’uomo tecnologico, cit., pp. 327-342 [ing. pp. 224-236]). 36 Ibidem, p. 474 [ing. p. 342]; Id., Materia, spirito e creazione, cit., p. 54 [ted. p. 29]. 37 Cfr. H. Jonas, Dalla fede antica all’uomo tecnologico, cit., pp. 475-478 [ing. pp. 343-346]. Si può osservare come questa dinamica della libertà e della volontà umana sia già stata da Jonas incontrata ed esplorata a suo tempo negli studi sulla gnosi tardo-antica e sul cristianesimo delle origini (cfr. Id., Augustin und das paulinische Freiheitsproblem. Ein philosophischer Beitrag zur Genesis der christlich-abendländischen Freiheitsidee, Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen, 1930, seconda edizione riveduta e ampliata con il titolo Augustin und das paulinische Freiheitsproblem. Eine philosophische Studie zum pelagianischen Streit, con un’introduzione di J.M. Robinson, Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen, 1965, ora in Kritische Gesamtausgabe der Werke von Hans Jonas, vol. III.1, a cura di M. Bongardt, U. Lenzig e W.E. Müller, Rombach, FreiburgBerlin-Wien, 2014, pp. 57-174, trad. it. Agostino e il problema paolino della libertà. Studio filosofico sulla disputa pelagiana, a cura di C. Bonaldi, Morcelliana, Brescia, 2007; Id., Gnosis und spätantiker Geist, vol. I [Die mythologische Gnosis. Mit einer Einleitung “Zur Geschichte und Methodologie der Forschung”], Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen, 1934, 19884, vol. II, parte prima [Von der Mythologie zur mystischen Philosophie], Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen, 1954, 19933 [la terza edizione, curata da K. Rudolph, contiene anche la parte seconda del volume], trad. it. Gnosi e spirito tardoantico, a cura di C. Bonaldi, Bompiani, Milano, 2010). Cfr. C. Bonaldi, Introduzione, in H. Jonas, Agostino e il problema paolino della libertà, cit., pp. 5-17; N. Frogneux, L’imposture du moi idéal: Une lecture de Paul par Hans Jonas, in L’invention chrétienne du péché, a cura di B. Bourgine, Cerf, Paris, 2008, pp. 69-84; C. Bonaldi, Introduzione, in H. Jonas, Gnosi e spirito tardoantico, cit., pp. V-LVI; M. Bongardt, God in the World of Man: Hans Jonas’ Philosophy of Religion, in Global Ethics and Moral Responsibility: Hans Jonas and his Critics, a cura di J.-S. Gordon e H. Burckhart, Ashgate, Farnham, 2014, pp. 105-126; N. Frogneux, Présentation. «La Gnose comme esprit de l’Antiquité tardive», in H. Jonas, La Gnose et l’esprit de l’Antiquité tardive. «Histoire et méthodologie de la recherche», Mimesis, Milano-Udine, 2017, pp. 9-152. 34 35 444 «QUAESTIO MIHI FACTUS SUM». L’IMMAGINE DELL’ESSERE UMANO NELLA FILOSOFIA DI HANS JONAS simbolico giocato dall’immagine ed è resa possibile dall’ambivalente dualità di quest’ultima.38 Tale dualità può forse chiarirsi grazie all’impiego di categorie interpretative quali forma e dinamismo. Dal punto di vista della forma, l’immagine evidenzia determinate proprietà che spiegano la sua «differenza ontologica» rispetto ad altri oggetti.39 Va da sé che, per Jonas, le immagini devono essere sempre considerate come il prodotto causale di un’intenzionalità (nel senso che deve pur esserci qualcuno che ha materialmente dipinto o disegnato l’immagine) che si riferisce in qualche modo al mondo. Tuttavia, è altrettanto vero che, in quanto tali, le immagini tendono a neutralizzare la loro relazione dinamico-dialettica rispetto alla materia, cioè rispetto al «veicolo fisico»40 che conferisce visibilità all’immagine stes38 In ciò Jonas mostra evidenti punti di contatto, che meriterebbero invero uno studio approfondito, con altri autori e autrici della tradizione filosofica novecentesca, in particolare quella fenomenologica e filosofico-antropologica (cfr. tra gli altri A. Gehlen, H. Plessner, E. Straus, H. Arendt, M. Merleau-Ponty). Di particolare interesse è l’influsso esercitato su questi aspetti del pensiero jonasiano da parte di E. Cassirer (Philosophie der symbolischen Formen, 3 voll., Bruno Cassirer, Berlin, 1923-1929 ora in Id., Gesammelte Werke, voll. 11-13, Meiner, Hamburg, 2001-2002, trad. it. Filosofia delle forme simboliche, La Nuova Italia, Firenze, 1988; Id., An Essay on Man. An Introduction to a Philosophy of Human Culture, Yale University Press, New Haven, 1944, trad. it. Saggio sull’uomo. Introduzione a una filosofia della cultura umana, Armando, Roma, 2009), citato per esempio in H. Jonas, Organism and Freedom. An Essay in Philosophical Biology (in Kritische Gesamtausgabe der Werke von Hans Jonas, appendice al vol. I.1, a cura di J.O. Beckers e F. Preußger, Rombach, Freiburg-Berlin-Wien, 2016, disponibile on line: http:// hans-jonas-edition.de/wp-content/uploads/2016/10/KGA_Hans-Jonas-Kontext-Bd.-I1-Organism-and-Freedom.pdf [consultato 2 febbraio 2018], cap. 5, pp. 36-37) e già ai tempi degli studi sulla gnosi (H. Jonas, Gnosi e spirito tardoantico, cit., pp. 603, 606 [ted. vol. 2, parte prima, pp. 5, 8]). Cfr. per esempio D. Böhler, Hans Jonas – Stationen, Einsichten und Herausforderungen eines Denklebens, in Ethik für die Zukunft: im Diskurs mit Hans Jonas, a cura di D. Böhler, Beck, München, 1994, p. 56; N. Russo, La biologia filosofica di Hans Jonas, Guida, Napoli, 2004, pp. 118-119; C. Bonaldi, Hans Jonas e il mito, Mercurio, Vercelli, 2007, pp. 32-33; S.M. Wasserstrom, Hans Jonas in Marburg – 1928, in The Legacy of Hans Jonas. Judaism and the Phenomenon of Life, a cura di H. Tirosh-Samuelson e Ch. Wiese, Brill, Leiden-Boston, 2008, pp. 3972, in particolare pp. 46-49; J. Fischer, Philosophische Anthropologie. Eine Denkrichtung des 20. Jahrhunderts, Alber, Freiburg-München, 2008; R. Franzini Tibaldeo, La rivoluzione ontologica di Hans Jonas. Uno studio sulla genesi e il significato di «Organismo e libertà», Mimesis, MilanoUdine, 2009, p. 259. Sulla teoria jonasiana dell’immagine, cfr. soprattutto L. Wiesing, Artifizielle Präsenz. Studien zur Philosophie des Bildes, Suhrkamp, Frankfurt a.M., 2005 cap. 2; J. Schirra e K. Sachs-Hombach, Homo Pictor and the Linguistic Turn: Revisiting Hans Jonas’ Picture Anthropology, in «Linguistic and Philosophical Investigations» 9 (2010), pp. 144-181; Ead., Kontextbildung als anthropologischer Zweck von Bildkompetenz, in «Image» 14 (2011), pp. 28-62; M. Halawa, Editorial. «Homo pictor» und «animal symbolicum». Zu den Möglichkeiten und Grenzen einer philosophischen Bildanthropologie, in «Image» 14 (2011), pp. 2-10; T. Hildebrandt, Bild, Geste und Hand. Leroi-Gourhans paläontologische Bildtheorie, in «Image» 14 (2011), pp. 76-88; N. Ulama, Von Bildfreiheit und Geschichtsverlust: Zu Hans Jonas’ homo pictor, in «Image» 16 (2012), pp. 10-17; R. Rubio, Hans Jonas como teórico de la imagen. Análisis crítico de la recepción de Jonas en el marco de la «Bildwissenschaft», in «Alter» 22 (2014), pp. 63-77; F. Fossa, Vision, Image and Symbol. Homo Pictor and Animal Symbolicum in Hans Jonas’ Anthropology, in «Aisthesis» 8, 2 (2015), pp. 165-182. Cfr. anche H. Belting, Bild-Anthropologie. Entwürfe für eine Bildwissenschaft, Fink, München, 2001, trad. it. Antropologia delle immagini, Carocci, Roma, 2011. 39 Cfr. H. Jonas, Organismo e libertà, cit., pp. 205-212 [ing. pp. 159-165; ted. pp. 269-277]. 40 Ibidem, p. 212 [ing. p. 164; ted. p. 276]. 445 ROBERTO FRANZINI TIBALDEO sa: «un’immagine non è un segno dei movimenti del pittore, bensì dell’oggetto raffigurato e dell’intenzione figurativa che la concerne. Nell’immagine il nesso causale è tagliato. Essa è libera di rappresentare qualsiasi situazione causale, compresa quella del dipingere un’immagine: persino in questo caso essa non rappresenta la causalità del proprio divenire».41 Questa tendenziale equivocità è all’origine della prevalente ermeneutica dell’immagine in termini formali: ne risulta che quest’ultima viene considerata esclusivamente nella propria compiuta trascendenza e distacco rispetto alla materia e pertanto risulta essere un’entità fissa, statica e immutabile. Tuttavia, Jonas ritiene che la comprensione dell’immagine debba in realtà avvenire in termini dinamici, nel senso che per un verso l’immagine dipende pur sempre dal proprio rapporto con la tangibilità del mondo, mentre per altro verso evidenzia una tendenza a trascendere la materia, riuscendo a conseguire un’effettiva differenza ontologica rispetto agli enti naturali. Per Jonas lo specifico dell’immagine sta nel dinamico coimplicarsi di dipendenza dal mondo e tendenza a trascenderlo.42 Il legame tra immagine ed essere umano evidenzia poi un secondo aspetto, vale a dire il fatto che, grazie alla riflessione, l’immagine umana diventa immagine dell’essere umano: la capacità specificamente umana di percepire e produrre immagini come risultato della dinamica di soggettivazione e oggettivazione subisce una peculiare torsione riflessiva in virtù di cui a diventare oggetto dell’immagine è lo stesso soggetto umano, il suo stesso pensare, agire, sentire, sperare, ecc. Quel che è degno di nota è che, ad avviso di Jonas, quest’immagine possiede una rilevanza al contempo individuale e sociale (si tratta non solo dell’immagine che io ho di me stesso, ma anche di quella pubblica che condivido con gli esseri umani di una determinata epoca storica). Inoltre, coerentemente con la propria essenza duale (un carattere che indubbiamente qualifica ogni aspetto della vita), l’immagine evidenzia un paradosso, i cui sviluppi saranno rilevanti per l’etica jonasiana, che non può pertanto essere interpretata in termini meramente «essenzialistici»: benché nell’immagine vi sia indubbiamente qualche cosa che tende a rimanere immutato, è però altresì vero che sia l’immagine individuale dell’essere umano sia quella pubblica sono soggette a mutamento nel corso del tempo.43 Ad avviso di Jonas, solo un’interpretazione in chiave dinamica (interpretazione che – si è visto – sottolinea l’inevitabile coimplicarsi dei due lati del paradosso) è in grado di farci comprendere che cos’è un’immagine. In ogni caso, il nesso tra immagine e specificità umana è esplicitamente tematizzato da Jonas: è infatti l’immagine complessiva dell’essere umano a te41 42 43 Ibidem, p. 211 [ing. p. 164; ted. p. 275]. Come si è già visto, questo dinamico coimplicarsi accomuna il vivente in generale e l’umano. Cfr. H. Jonas, Organismo e libertà, cit., p. 236 [ing. p. 186; ted. p. 308]. 446 «QUAESTIO MIHI FACTUS SUM». L’IMMAGINE DELL’ESSERE UMANO NELLA FILOSOFIA DI HANS JONAS stimoniare l’avvento, nel cosmo in evoluzione, dell’«uomo in senso pieno» e a diventare riflessivamente rilevante allorché ciascuno si interroga circa il proprio posto e la propria parte nel «progetto delle cose»: «L’uomo in senso pieno compare, quando egli, che ha dipinto il toro e persino il suo cacciatore, si volge a gettare lo sguardo sull’immagine, che non può venire dipinta, del proprio comportamento e stato d’animo. Attraverso la distanza di questo sguardo di meraviglia, ricerca e paragone si costituisce il nuovo essere “io”. Questa è fra tutte la più grande avventura della mediatezza e dell’oggettivazione. Usiamo la parola “immagine” deliberatamente. L’uomo modella, esperisce e giudica il proprio essere interno e il proprio agire esterno secondo un’immagine di ciò che si addice all’uomo. Volente o nolente egli “vive” l’idea dell’uomo: in accordo o conflitto, con accondiscendenza o opponendovisi, riconoscendola o negandola, in buona o cattiva coscienza. L’immagine dell’uomo non lo abbandona mai, per quanto a volte senta il desiderio di tornare nella felicità dell’animalità. Essere creato a immagine di Dio, significa dover vivere con un’immagine dell’uomo. Questa immagine viene elaborata e mantenuta nella comunicazione verbale della società e così l’individuo la trova già pronta e a lui imposta. Come impara da altri a vedere e discutere cose, così da questa impara a vedere se stesso e a esprimere ciò che vede lì “a immagine e somiglianza” del modello sussistente».44 3. Immagine dell’essere umano ed etica Quando all’inizio di Das Prinzip Verantwortung Jonas espone le ragioni che lo spingono a cercare un’etica per la civilità tecnologica, non è un caso che egli – coerentemente con quanto sostenuto a livello biologico-filosofico – riprenda la centralità dell’«immagine dell’uomo» e ne ipotizzi la rilevanza ai fini di una fondazione ontologica dell’etica: «Soltanto il previsto stravolgimento dell’uomo ci aiuta a cogliere il concetto di umanità che va preservato da quel pericolo. Sappiamo ciò che è in gioco soltanto se sappiamo che esso è in gioco. Poiché qui non si tratta soltanto del destino umano, ma anche dell’immagine dell’uomo, non soltanto di sopravvivenza fisica, ma anche di integrità dell’essere, l’etica che ha la funzione di salvaguardarle entrambe dev’essere, al di là della dimensione della prudenza, quella del rispetto».45 Siamo arrivati a uno snodo fondamentale della riflessione jonasiana. Quel che si tratta infatti di dimostrare è come la specificità dell’essere umano evidenzi un’intrinseca valenza etica, il cui significato non può però es44 45 Ibidem, pp. 235-236 [ing. pp. 185-186; ted. pp. 307-308]. H. Jonas, Il principio responsabilità, cit., pp. XXVII-XXVIII [ted. p. 15]. 447 ROBERTO FRANZINI TIBALDEO sere ridotto al carattere meramente oggettivante e statico di certe tendenze «essenzialistiche».46 A suo avviso, questo obiettivo può essere conseguito proprio tramite una riflessione sull’immagine dell’essere umano. Jonas comincia con il ribadire come l’«immagine dell’uomo» sia soggetta a continue riappropriazioni e trasformazioni: ogni «privata oggettività del sé è [...] in costante rapporto con l’immagine pubblica dell’uomo e contribuisce attraverso la propria esteriorizzazione alla continua trasformazione di essa: il contributo anonimo di ogni sé alla storia di tutti. In completo adeguamento esso può farsi assorbire dal modello generale; in dissidenza sconfitta può ritrarsi nella propria solitudine; in rari casi di grandezza può affermarsi in modo tanto potente da porsi come nuova immagine dell’uomo, imponendosi alla società al posto di quella dominante».47 Nell’immagine dell’essere umano storicamente esistente è però possibile intravedere una dimensione ulteriore ed essenziale, che da ultimo coincide con la libertà, in quanto dotata di rilevanza ontologica e non solo fenomenica: «La ricerca dell’essenza dell’uomo deve però imboccare la sua strada attraverso gli incontri dell’uomo con l’essere. In tali incontri questa essenza non solo appare, ma si realizza decidendosi ogni volta in essi. La facoltà stessa d’incontro è tuttavia l’essenza fondamentale dell’uomo: questa è quindi la libertà e la sua sede è la storia, la quale da parte sua è possibile solo attraverso quella fondamentale essenza transtorica del soggetto. Ogni immagine della realtà che scaturisce da un incontro storico include un’immagine dell’io e conformemente a questa l’uomo esiste, sin tanto che l’immagine è la sua verità. La condizione insita nell’uomo della possibilità della storia – la sua libertà, appunto – non è però essa stessa storica, bensì ontologica; e diviene essa stessa, se scoperta, il fatto centrale nell’evidenza da cui deve attingere ogni dottrina dell’essere».48 In altre parole, ogni mutevole immagine (individuale o collettiva) dell’essere umano che fa la propria comparsa sulla scena storica del mondo vive del rapporto con un’immagine essenziale e transtorica dell’essere umano come sua condizione di possibilità (o trascendentale). Obiettivo di Jonas è di recuperare il senso di quest’essenza che vive in condizioni contingenti, di questa dimensione universale, transtorica e trascendente che si vive in condizioni particolari, storiche e immanenti, e del valore correlato a tale dimensione che è vissuto pienamente nello spazio e nel tempo. All’origine dell’etica jonasiana «della conservazione, della salvaguardia, della prevenzione e 46 Come si vedrà più ampiamente nella nota n. 78, ciò non ha comunque impedito all’etica jonasiana di venire talvolta fraintesa. 47 H. Jonas, Organismo e libertà, cit., p. 236 [ing. p. 186; ted. p. 308]. 48 Ibidem, p. 237 [ted. pp. 309-310]. 448 «QUAESTIO MIHI FACTUS SUM». L’IMMAGINE DELL’ESSERE UMANO NELLA FILOSOFIA DI HANS JONAS non del progresso e della perfezione»49 vi è dunque la volontà di rinsaldare il rapporto dell’essere umano con la propria essenza, e ciò non in termini oggettivanti o statici, ma dinamici. Ciò è tanto più urgente in un’epoca come la presente, in cui l’impiego massiccio, automatico e acritico della tecnologia rischia proprio di mettere a repentaglio quel rapporto fondamentale: «quel che conta adesso non è perpetuare o produrre una determinata immagine dell’uomo, ma innanzitutto lasciare aperto l’orizzonte delle possibilità che, nel caso dell’uomo, è dato con l’esistenza stessa della specie e che, – se dobbiamo credere alla promessa dell’“imago Dei”50 – è destinato a offrire all’essenza umana sempre nuove opportunità. Quindi il no al non essere – e in primo luogo a quello dell’uomo – è al momento e fino a prova contraria la prima cosa in cui un’etica dell’emergenza per il futuro minacciato deve tradurre in azione collettiva il sì all’essere, reclamato dall’uomo in nome della totalità delle cose».51 Per comprendere appieno il senso di queste righe, occorre affrontare due interrogativi: 1) in virtù di che cosa il rapporto dell’essere umano con la sua essenza e con la totalità delle cose assume rilevanza etica? 2) In che senso lo sviluppo tecnologico attuale rischia di pregiudicare quel rapporto? Cominciamo dalla prima questione. Si è visto come, per Jonas, lo specifico della libertà umana si manifesti nel carattere eidetico, simbolico e riflessivo con cui l’essere umano conduce la propria esistenza, vale a dire alla luce di «un’immagine di ciò che si addice all’uomo».52 Ma per quale motivo all’essere umano non è consentito di ignorare quell’istanza, e di vivere e agire come se nulla fosse? Questa – mi pare – è l’articolata risposta fornita da Jonas: a) l’analisi filosofica della vita ha evidenziato come quest’ultima, nonostante la propria radicale contingenza,53 presenti sia una tendenza all’autopreservazione di se medesima e di determinate qualità sia un carattere teleologico e una dinamica di autotrascendimento che possono essere letti in termini evolutivi; b) queste caratteristiche fanno sì che nel suo complesso la vita possa essere interpretata come «un’avventura originaria della libertà», che si qualifica in senso ontologico e dialettico;54 c) H. Jonas, Il principio responsabilità, cit., p. 178 [ted. p. 269]. Dal punto di vista filosofico, la credenza religiosa secondo cui l’essere umano sarebbe stato «creato a immagine di Dio» mira a distinguere l’essere umano dalla natura circostante, sottolineandone l’unicità e l’irriducibile specificità (H. Jonas, Dalla fede antica all’uomo tecnologico, cit., pp. 272-274 [ing. pp. 180-181]; Id., Problemi di libertà, a cura di E. Spinelli, con la collaborazione di A. Michelis, Aragno, Torino, 2010, p. 339). Per motivi di spazio mi vedo costretto a rinviare a uno scritto successivo l’analisi dell’influsso esercitato sull’antropologia jonasiana dal retroterra ebraico dell’autore. 51 H. Jonas, Il principio responsabilità, cit., p. 179 [ted. p. 270]. 52 Id., Organismo e libertà, cit., p. 235 [ing. p. 185; ted. p. 308]. 53 Cfr. ibidem, p. 302 [ing. p. 279; ted. p. 395]. 54 Cfr. ibidem, pp. 7-13 [ing. pp. 1-6; ted. pp. 13-22]. 49 50 449 ROBERTO FRANZINI TIBALDEO l’essere umano è parte integrante di questo processo, eppure la sua libertà acquisisce altresì la possibilità di sovvertire radicalmente quest’ultimo, arrivando perfino a comprometterne l’esistenza; d) con la realizzazione di questa possibilità, la libertà finirebbe però non solo per tradire se stessa (verrebbero infatti meno sia la sua costituzione dialettica, sia il suo dinamismo teleologico, sia l’originaria apertura di possibilità in cui essa consiste), ma anche per porre fine all’esistenza dell’essere umano, vale a dire di quel vivente la cui libertà è contrassegnata dalla capacità di riconoscere il valore e la dignità oggettivi, benché contingenti, della vita stessa;55 e) occorre pertanto scongiurare che la libertà umana comprometta la vita terrestre e le sue possibilità, e occorre farlo richiamando la responsabilità, in quanto limite richiesto dalla libertà stessa per il suo esercizio e non solamente in quanto istanza eteronoma giustapposta alla libertà.56 Occorre in realtà osservare come il ragionamento jonasiano poggi da ultimo su due assunti, la cui validità non può in questa sede essere discussa in chiave critica. Il primo riguarda il senso conferito da Jonas all’evoluzione della vita, che «non può essere così radicalmente cattiva se ha lasciato in eredità ai suoi attuali possessori la capacità (autoattribuitasi) di giudicare sul bene e sul male».57 La «bontà» dell’evoluzione della vita implica che essa mi si ponga innanzi come un’eredità meritevole di rispetto e di essere preservata.58 Il secondo assunto è l’«assioma ontologico» secondo cui, ad avviso di Jonas, nella «capacità di avere degli scopi in generale» evidenziata dalla vita «possiamo scorgere un bene-in-sé, la cui infinita superiorità rispetto a ogni assenza di scopo dell’essere è intuitivamente certa».59 Il compito di responsabilità nasce dunque da questo sfondo e si precisa in primo luogo come «un dovere verso l’esserci [Dasein] dell’umanità futura» e in secondo luogo come «un dovere verso il suo essere così [Sosein]».60 Cfr. H. Jonas, Il principio responsabilità, cit., p. 97 [ted. pp. 155-156]. Tornano a questo proposito in mente le riflessioni jonasiane sulla libertà in rapporto alla legge (Paolo, Agostino) e quelle sulla nozione di libertà nell’antichità. Cfr. H. Jonas, Dalla fede antica all’uomo tecnologico, cit., pp. 465-481 [ing. pp. 335-348]; Id., Agostino e il problema paolino della libertà, cit.; Id., Problemi di libertà, cit. 57 H. Jonas, Il principio responsabilità, cit., p. 41 [ted. p. 77]. 58 Cfr. ibidem, p. 97 [ted. pp. 155-156]. È, tra l’altro, probabile che il celebre saggio Der Gottesbegriff nach Auschwitz. Eine jüdische Stimme (Suhrkamp, Frankfurt am Main, 1987, versione originaria in lingua inglese in Out of the Whirlwind, a cura di A.H. Friedlander, Union of American Hebrew Congregations, New York, 1968, pp. 465-476, trad. it. Il concetto di Dio dopo Auschwitz. Una voce ebraica, a cura di C. Angelino, il melangolo, Genova, 1989) sia stato scritto da Jonas con l’obiettivo di integrare la fondazione di tale «bontà» con le risorse veritative tipiche del mito. Cfr. N. Frogneux, La souffrance humaine maximisée en Dieu. Une lecture du mythe de Hans Jonas, in «Filosofia» XX (2003), pp. 125-140; C. Bonaldi, Hans Jonas e il mito, cit. 59 H. Jonas, Il principio responsabilità, cit., p. 102 [ted. p. 158]. 60 Ibidem, p. 51 [ted. p. 91]. Per l’utilizzo del termine «Sosein» nella tradizione fenomenologica (a cui Jonas pare implicitamente richiamarsi), cfr. U. Wienbruch, Sosein, in Historisches Wörterbuch der Philosophie, vol. 9, a cura di J. Ritter e K. Gründer, Schwabe, Basel, 1995, pp. 1100-1102. 55 56 450 «QUAESTIO MIHI FACTUS SUM». L’IMMAGINE DELL’ESSERE UMANO NELLA FILOSOFIA DI HANS JONAS In altre parole, l’imperativo jonasiano – l’unico, a suo dire, per cui valga la «determinazione kantiana del categorico»61 – che sancisce il dovere di assicurare «che ci siano degli uomini» («con l’accento posto in egual misura sul che e sul che cosa del dover esistere», aggiunge Jonas)62 implica con ciò stesso che gli individui che la compongono non solo sopravvivano biologicamente, ma siano in grado di esercitare la propria libertà e di assumersi e farsi a loro volta carico della relativa responsabilità.63 Non è un caso che per sottolineare la compresenza di questi aspetti Jonas rievochi la già citata «immagine dell’uomo» e ne dettagli la portata normativa utilizzando la locuzione di idea ontologica dell’essere umano:64 questa nozione evidenzia, da un lato, il radicamento ontologico dell’essere umano entro la dinamica evolutiva della vita (l’essere umano e la sua libertà sono frutto dell’evoluzione della vita) e, dall’altro lato, la specificità trascendentale di quest’ultimo, che tra tutti i viventi è (1) l’unico a correlarsi col mondo per mezzo della propria libertà eidetica e della propria capacità di riflessione;65 grazie a ciò è (2) capace di responsabilità ed è pertanto (3) obbligato a garantire condizioni di vita che non ne provochino la scomparsa dal mondo. È opportuno richiamare come il compito di responsabilità includa anche l’insieme del mondo organico, che costituisce la condizione necessaria dell’esistenza stessa dell’umanità.66 Coerentemente con l’intento di fondare l’etica sull’ontologia, la responsabilità jonasiana si esprime dunque nei termini di un servizio e una cura nei confronti della vulnerabilità del pro- H. Jonas, Il principio responsabilità, cit., p. 55 [ted. pp. 97-98]. Ivi. 63 Afferma infatti Jonas che «non è ammissibile un essere-così dei futuri discendenti del genere umano che contraddica la ragione per cui si rivendica in generale l’esistenza di un’umanità» (ibidem, p. 54 [ted. p. 96]). 64 Ivi. La dettagliata analisi del rapporto tra «immagine dell’uomo» e «idea ontologica dell’uomo» è l’oggetto di una specifica ricerca in corso di realizzazione. Per il momento basti richiamare il fatto che Jonas utilizza i sostantivi «immagine» e «idea» come sinonimi (cfr. il già citato H. Jonas, Organismo e libertà, cit., p. 235 [ing. p. 185; ted. p. 308]). Si vedano però i rilievi critici di J. Ph. Pierron e E. Pommier, Autonomie et vulnérabilité. La bioéthique à la lumière de la biologie philosophique de Hans Jonas, in «Medicina e morale» 6 (2016), pp. 781-796, in particolare pp. 794-795. 65 Il compito di dettagliare la specificità «trascendentale» dell’essere umano è uno degli obiettivi della ricerca in corso e citata nella nota precedente. In sintesi, mutuando la nozione di «trascendentale» dalla tradizione filosofica (Kant, Husserl, Cassirer) e al tempo stesso riappropriandosene con una certa libertà, Jonas la impiega in riferimento alla modalità (a un tempo storica, ontologica, simbolica) con cui l’essere umano correla dinamicamente soggettività e oggettività. Cfr. per esempio H. Jonas, Husserl und die ontologische Frage (1938), in Kritische Gesamtausgabe der Werke von Hans Jonas, vol. III.2, a cura di S. Lalla, F. Preußger e D. Böhler, Rombach, Freiburg-Berlin-Wien, 2013, pp. 183-196; Id., Gnosi e spirito tardoantico, cit., pp. 33-40, 90-109, 598-608 [ted. vol. 1, pp. 12-18 e 58-73, vol. 2, parte prima, pp. 1-9]; Id., Erinnerungen. Nach Gesprächen mit Rachel Salamander, a cura di Ch. Wiese, Insel, Frankfurt am Main-Leipzig, 2003, trad. it. Memorie. Conversazioni con Rachel Salamander, il nuovo melangolo, Genova, 2008, p. 313 [ted. pp. 382-383]. 66 Cfr. H. Jonas, Il principio responsabilità, p. 175 [ted. pp. 263-264]. 61 62 451 ROBERTO FRANZINI TIBALDEO prio «oggetto» (l’umanità, la natura, ecc.), e non nei termini di una dominazione di quest’ultimo: «L’oggetto della responsabilità è il transeunte per definizione; tuttavia, malgrado questo carattere condiviso fra me e lui, la sua alterità è nei miei confronti più radicale di quella di qualsiasi oggetto trascendente dell’etica classica; un’alterità intesa non come sommo bene bensì come semplice differenza oggettiva nel suo diritto originario, che esclude di essere superata mediante un’assimilazione di me a lui o di lui a me. Proprio l’alterità prende possesso della mia responsabilità e non richiede più alcuna appropriazione. Eppure questo oggetto ben lontano dalla “perfezione”, del tutto contingente nella sua fattualità, percepito proprio nella sua transitorietà, indigenza e insicurezza, deve avere la forza di indurmi, grazie alla sua semplice esistenza (e non con le sue qualità particolari), a mettere a disposizione la mia persona, libero da ogni desiderio di appropriazione».67 In altre parole, l’«alterità» dell’oggetto della responsabilità evidenzia che esso è dotato di dignità propria. Questa dote esercita in quanto tale una cogenza sull’essere umano, innanzitutto per il fatto che quest’ultimo condivide le medesime qualità di quell’oggetto,68 che – s’è visto – sono il risultato (pur sempre dinamico) cui è approdato il cammino evolutivo della vita, e in secondo luogo per via della peculiare libertà e capacità riflessiva umana che è in grado di riconoscere tale dignità come valore e di agire responsabilmente. È in questo duplice senso, dunque, che Jonas termina Das Prinzip Verantwortung con un appello a preservare l’integrità dell’essenza dell’essere umano (Integrität des Ebenbildes), dal momento che «qualcosa di sacro» e di «inviolabile in qualsiasi circostanza (il che risulta percepibile persino senza religione positiva)» si manifesta attraverso l’umanità.69 67 Ibidem, p. 111 [ted. pp. 171-172]. Sulla fragilità e vulnerabilità dell’oggetto della responsabilità, cfr. R. Simon, Le fondement ontologique de la responsabilité et de l’éthique du future, in Nature et descendance. Hans Jonas et le principe «Responsabilité», a cura di D. Müller e R. Simon, Labor et Fides, Genève, 1993, pp. 101-107; P. Ricœur, Le concept de responsabilité. Essai d’analyse sémantique, in «Esprit» 206 (1994), pp. 28-48; J. Greisch, L’amour du monde et le principe responsabilité, in La responsabilité. La condition de notre humanité, a cura di M. Vacquin, Autrement, Paris, 1994, pp. 72-89, in particolare pp. 79-82; M. Gensabella Furnari, Vulnerabilità e cura. Bioetica ed esperienza del limite, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2008; E. Pulcini, La cura del mondo. Paura e responsabilità nell’età globale, Bollati Boringhieri, Torino, 2009; C. Larrère, Vulnérabilité et responsabilité: un autre Jonas?, in «Alter» 22 (2014), pp. 181-193; E. Pommier, La responsabilité de la vie: l’autonomie dans la vulnérabilité, in «Alter» 22 (2014), pp. 163179; P. Becchi e R. Franzini Tibaldeo, The Vulnerability of Life in the Philosophy of Hans Jonas, in Human Dignity of the Vulnerable in the Age of Rights, a cura di A. Masferrer e E. García-Sánchez, Springer, Cham, 2016, pp. 81-120. 68 Cfr. H. Jonas, Il principio responsabilità, cit., p. 175 [ted. pp. 263-264]. 69 Ibidem, p. 286 [ted. p. 419]. 452 «QUAESTIO MIHI FACTUS SUM». L’IMMAGINE DELL’ESSERE UMANO NELLA FILOSOFIA DI HANS JONAS 4. Immagine dell’essere umano e tecnica Il richiamo etico jonasiano nasce dalla preoccupazione viva e concreta legata alle incognite e ai rischi dello sviluppo tecnologico e biotecnologico attuale.70 Di contro al trionfalismo e all’unilateralità di coloro che si affidano senza riserve a quest’ultimo come mezzo per realizzare la libertà umana, Jonas richiama invece al dovere supremo dell’umanità di custodire con umiltà l’ambivalente e vulnerabile endiadi di libertà e responsabilità.71 Il compito della responsabilità consiste infatti nell’esercizio di un «potere sul potere»72 e richiede che la libertà sviluppi la propria capacità di auto-limitazione. La promozione della responsabilità va di pari passo con lo sviluppo della capacità di resistere alle seduzioni del potere e «scaturisce dalla volontà in quanto autocontrollo del suo [= dell’essere umano; N.d.R.] potere operante in modo consapevole».73 E, in effetti, la consapevolezza della vulnerabilità e il desiderio di prendersi cura di quest’ultima giocano un ruolo attivo nel duplice compito di limitare gli eccessi della libertà e di promuovere la responsabilità, il cui «cuore – ribadisce Jonas – è la venerazione per l’immagine dell’uomo, diventando apprensione allorquando venga minacciata la sua vulnerabilità».74 In che senso, però, lo sviluppo tecnologico attuale rischia di pregiudicare il rapporto dell’essere umano con la sua essenza e con la totalità delle cose? In che cosa consiste di preciso il pericolo connesso con il suo impiego? In sintesi, si può dire che la tecnica amplifica a dismisura la costitutiva ambiguità umana, non solo in termini di conseguenze (cumulatività, imprevedibilità, magnitudine, ecc.), ma relativamente alla modalità stessa con cui l’essere umano esercita la propria libertà: la tecnologia e il suo processo di crescente automatizzazione creano l’illusione che la libertà possa prescindere dalla propria controparte oggettiva (contesto, limiti, ecc.), in 70 Jonas evidenzia non solo il rischio legato all’applicazione della techne all’ambito non-umano (cfr. per es. la questione ecologica), ma anche il problema per cui «l’uomo stesso è diventato uno degli oggetti della tecnica» (ibidem, p. 24 [ted. p. 51]). Tra le questioni menzionate a questo proposito da Jonas vi sono il prolungamento della vita, il controllo del comportamento e la manipolazione genetica (cfr. ibidem, pp. 24-28 [ted. pp. 51-56]). 71 «La sua [dell’identità umana, cioè dell’immagine dell’uomo; N.d.R.] integrità non è altro che l’apertura verso quella sempre smisurata pretesa – che induce all’umiltà –, rivolta al suo portatore strutturalmente inadeguato. Conservare intatta quell’eredità attraverso i pericoli dei tempi, anzi, contro l’agire stesso dell’uomo, non è un fine utopico, ma il fine non poi così modesto, della responsabilità per il futuro dell’uomo» (ibidem, p. 287 [ted. p. 420]). 72 Ibidem, p. 181 [ted. p. 274]. 73 Ibidem, p. 161 [ted. p. 251]. 74 H. Jonas, The Imperative of Responsibility. In Search of an Ethics for the Technological Age, University of Chicago Press, Chicago, 1984, p. 201. Nell’originale tedesco (e nella corrispondente traduzione italiana) non è presente il riferimento esplicito all’«immagine dell’uomo» [ita. p. 285; ted. p. 418]. 453 ROBERTO FRANZINI TIBALDEO una parola dalla responsabilità.75 Questo è lo sfondo della già citata «etica dell’emergenza»76 jonasiana, così come della tendenza dell’autore a conferire una certa priorità alla «previsione cattiva su quella buona».77 Se l’etica jonasiana fosse riducibile a questi soli caratteri, avrebbero ragione quanti la interpretano in termini puramente «bioconservativi» o «essenzialistici».78 Quel che vorrei però mostrare è che la proposta etica jonasiana è più articolata e complessa. In altre parole, la sua etica non è riducibile a un’etica la cui unica norma sia di rigettare e «dire di no» a qualsivoglia impiego tecnico, anche se certamente Jonas evidenzia una buona dose di preoccupazione dinanzi alla tendenza prevalente dello sviluppo tecnologico odierno. Un’adeguata ricostruzione dell’etica jonasiana deve – credo – insistere almeno su due aspetti: a) evidenziare come l’«etica dell’emergenza» debba essere collocata in un orizzonte etico più ampio; b) sottolineare la duplice caratterizzazione, vale a dire soggettiva e oggettiva, di siffatto orizzonte. Cominciamo dal primo punto e vediamo come esso conduca poi a chiarire il secondo. Trattando in Organismus und Freiheit di quale tipo di vita si addica all’essere umano, Jonas ricorda che occorre sempre avere una visione che vada al di là di specifiche contingenze ed emergenze storiche: «abbiamo bisogno, anche con la pressione delle emergenze alle spalle, di 75 Cfr. H. Jonas, Il principio responsabilità, cit., pp. 3-32 [ted. pp. 21-62]. Questi stessi temi sono al cuore della riflessione – di matrice non jonasiana – proposta più di recente da autori, tra cui B. Stiegler, La société automatique, Fayard, Paris, 2015; Id., Dans la disruption, Les Liens qui Liberent, Paris, 2016. 76 H. Jonas, Il principio responsabilità, cit., p. 179 [ted. p. 270]. 77 Ibidem, pp. 39-43 [ted. pp. 74-80]. 78 È indubbio che nel panorama anglosassone, dominato da posizioni liberal, le riflessioni jonasiane si collochino tendenzialmente sul versante bioconservativo. Tuttavia, erra chi accomuna Jonas a «bioconservatori» come L. Kass e F. Fukuyama, per il solo fatto che questi ultimi si ispirano in qualche modo a lui (cfr. a titolo esemplificativo N. Bostrom, In difesa della dignità postumana, in «Bioetica» 13, 4 [2005], pp. 33-46; L. Vogel, Natural-Law Judaism? The Genesis of Bioethics in Hans Jonas, Leo Strauss, and Leon Kass, in The Legacy of Hans Jonas, cit., pp. 287314; Id., Is Ageing a Gift? Bioconservatism and the Ethics of Gratitude, in Global Ethics and Moral Responsibility, cit., pp. 55-71, in particolare p. 63). Il pensiero jonasiano esprime certamente la volontà di preservare la vita in generale e lo specifico umano in particolare, ma né questo stesso proposito né l’oggetto della preservazione vengono da Jonas intesi nei termini oggettivanti o statici di certo essenzialismo (di diverso avviso sono invece quei commentatori che sono comunque persuasi dell’«essenzialismo» jonasiano: cfr. per es. S. Donnelley, Hans Jonas and Ernst Mayr: On Organic Life and Human Responsibility, in The Legacy of Hans Jonas, cit., pp. 261-285, in particolare pp. 277-278; per la distinzione in campo etico-giuridico tra soggettivismo/nichilismo e normativismo/essenzialismo, cfr. per esempio D. von der Pfordten, Rechtsethik, Beck, München, 2001, pp. 200 ss., 224 ss.). Come si è visto, ciò che consente a Jonas di intendere l’essenza in senso dinamico, aperto e non oggettivante è, per un verso, la reinterpretazione in termini ontologici della dinamica biologica (cfr. sezione 2 del presente articolo) e, per altro verso, il tentativo di esprimere la specificità umana in termini trascendentali (cfr. sezione 3). Con ciò l’etica jonasiana intende porsi al di là di bipartizioni, come autonomia/eteronomia, soggettivismo/ normativismo, nichilismo/essenzialismo. 454 «QUAESTIO MIHI FACTUS SUM». L’IMMAGINE DELL’ESSERE UMANO NELLA FILOSOFIA DI HANS JONAS una visione al di là di esse, per potervi ovviare con qualcosa di più dei loro propri punti di vista».79 Jonas è però consapevole di come oggi quest’istanza, per un verso, si trovi minacciata dall’affermarsi del «dinamismo incessante»80 della nostra epoca tecnologica e, per altro verso, non possa rinunciare a valutare il mutamento stesso, e in particolare quelle innovazioni che si propongono di modificare la natura umana. Da questo punto di vista, la proposta jonasiana può venire schematicamente riassunta come segue: 1. Tanto per cominciare, la radicale innovazione del Weltbild moderno per opera di fattori, tra cui la scienza, la tecnologia, la teoria dell’evoluzione e la filosofia dell’esistenza, è un dato di fatto di cui si deve tener conto e che non può venire semplicemente accantonato come fosse un errore storico.81 2. Eppure, malgrado il fatto che la condizione esistenziale odierna sia interamente immersa nel dinamismo storico, gli esseri umani non possono né devono accontentarsi delle conseguenze nichilistiche e relativistiche che ne scaturiscono. Per esempio, abbiamo già visto come per Jonas la libertà (eidetica e di riflessione) garantisca che gli esseri umani, nell’esercizio fondamentale del loro «sforzo [...] verso la verità in riferimento al mondo visibile»,82 conquistino una certa distanza e un certo grado di astrazione dalla realtà. In altre parole, essere dotati di libertà eidetica e riflessiva significa essere in qualche modo destinati a confrontare prospettive differenti e... a valutare eventuali mutamenti. Jonas dettaglia che qualsivoglia atto valutativo è in qualche modo connesso a un’«immagine» o a una «norma» e, in definitiva, a un grado di libertà che trascende ciò che deve essere valutato (= l’oggetto valutato). Così si esprime Jonas riguardo alla valutazione del cambiamento: «Alcuni acclamano l’ondata che li conduce lì e disdegnano di domandare “verso dove?”; salutano il cambiamento per se stesso, l’infinita avanzata della vita nel sempre nuovo, sconosciuto, il dinamismo in sé. Ma perché il cambiamento sia un valore, è sicuramente importante che tipo di cosa cambi (anche non considerando a quale scopo); e questa saggezza che sta alla base deve essere in qualche modo definibile come quella natura dell’“uomo in quanto uomo” che fa apparire l’infinita esecuzione delle sue possibilità nel cambiamento come un’impresa di cui vale la pena. Una qualche immagine è poi nascosta nell’approvazione del cambiamento stesso. Se lo è però un’immagine, allora lo è anche una norma, e se lo è una norma, allora lo è anche la libertà della negazio- H. Jonas, Organismo e libertà, cit., p. 261 [ing. p. 209; ted. p. 339]. Ibidem, p. 259 [ing. p. 207; ted. p. 337]. Cfr. ibidem, p. 290 [ing. pp. 267-268; ted. p. 381]; Id., Il principio responsabilità, cit., pp. 149, 172-173 [ted. p. 233]. 82 H. Jonas, Organismo e libertà, cit., p. 231 [ing. p. 181; ted. p. 300]. Cfr. anche ibidem, p. 227 [ing. p. 177; ted. p. 295]. 79 80 81 455 ROBERTO FRANZINI TIBALDEO ne, non solo la dedizione dell’approvazione, e questa libertà stessa trascende il flusso e indica un altro tipo di teoria».83 3. Questo «altro tipo di teoria», cui è demandato il compito di interrogare criticamente e valutare il cambiamento, è tale per cui deve «riprendere la questione dei fini, che la radicale vaghezza del concetto di “felicità” lascia aperta».84 4. Tuttavia, il problema attuale è che la scienza, la tecnologia e la «meccanica autoregolantesi del gioco alterno di scienza e tecnica»85 sono incapaci di proporre un’adeguata riflessione sui fini. 5. A quale scienza deve dunque spettare il compito di valutare il cambiamento e «affrontare la questione di quale tipo di vita si addica all’uomo»?86 La risposta di Jonas è chiara: a «quell’“altra” teoria, il cui nome è filosofia».87 Eppure, nonostante la propria «alterità» rispetto alla tecnologia, la filosofia condivide con quest’ultima un fattore essenziale, vale a dire il fatto di essere irrimediabilmente coinvolta nell’incessante dinamismo odierno, che è destinato a non arrestarsi affatto: «e qualunque cosa essa [la Filosofia; N.d.R.] consigli, l’uso della teoria scientifica non deve essere fermato, perché fermare il suo uso significa fermare la teoria stessa; e il corso del sapere non deve giungere ad arrestarsi – se non per i suoi vantaggi, allora a dispetto dei suoi costi».88 6. Come giustificare in definitiva l’alterità dello sguardo della filosofia? Come può quest’ultima preservare la propria capacità di valutare il dinamismo incessante dell’essere e della storia senza venire con ciò risucchiata in esso? Ad avviso di Jonas, la risposta a questi interrogativi richiede di evidenziare il carattere 1) ontologico e 2) trascendentale della specificità umana (già evidenziati a proposito dell’«immagine dell’uomo») e della filosofia, che ne è forse la più alta espressione.89 Da un lato, infatti, la filosofia assicura una comprensione dei propri oggetti («scopi», «valori» e «bene») in quanto dotati di rilevanza ontologica (vale a dire, né solamente fenomenologica, né solo storica). Questo è il punto di raccordo tra biologia filosofica e teoria della responsabilità: lo sforzo jonasiano, cioè, di fondare il bene nell’essere e di conseguenza di mostrarne la cogenza per la libertà Ibidem, pp. 259-260 [ing. p. 208; ted. pp. 337-338]. Ibidem, p. 260 [ing. p. 208; ted. p. 338]. Per la critica jonasiana dell’adeguatezza a fornire un orientamento etico da parte della sola nozione di «felicità» a causa del possibile fraintendimento di quest’ultima, specie nella presente epoca di sviluppo tecnologico, cfr. ibidem, pp. 241-244 [ing. pp. 191-193; ted. pp. 316-319] e Id., Il principio responsabilità, cit., pp. 53-54 [ted. pp. 94-96]. 85 H. Jonas, Organismo e libertà, cit., p. 260 [ing. p. 208; ted. p. 338]. 86 Ibidem, p. 261 [ing. p. 209; ted. p. 339]. 87 Ivi. 88 Ivi. 89 Cfr. H. Jonas, Memorie, cit., p. 302 [ted. p. 370]. 83 84 456 «QUAESTIO MIHI FACTUS SUM». L’IMMAGINE DELL’ESSERE UMANO NELLA FILOSOFIA DI HANS JONAS umana.90 Questo è, invero, qualcosa che ha un forte impatto sia sulla questione della valutazione sia in termini etici, poiché – afferma Jonas – «per l’affermazione reale, obbligatoria, è necessario il concetto di bene, che non è identico a quello di valore e che, se si vuole, stabilisce la differenza fra status oggettivo e soggettivo del valore (o per dirla più sinteticamente: tra valore in sé e valutazione da parte di qualcuno)».91 Quanto al versante trascendentale della questione, essa ha a che fare con il fatto che la comparsa dell’essere umano sulla terra non costituisce solo un incremento qualitativo empirico tra gli altri nel già variegato mondo dell’essere, poiché in essa si rivela qualcosa di essenzialmente e metafisicamente diverso: l’essere capace di responsabilità in quanto legato alla comparsa della libertà eidetica e riflessiva umana. In ciò consiste in definitiva la sua costituzione ontologica, che si caratterizza per la propria natura «transanimale» e per un’inedita forma di libertà. Il dover-essere dell’essere è dunque affidato agli esseri umani, perché soltanto essi possono essere soggetti responsabili. Abbiamo così la conferma di quale sia il vero imperativo che sta alla base del principio responsabilità: la capacità di responsabilità che obbliga l’essere umano a garantire condizioni di vita che non provochino la sua scomparsa dal mondo. Il presupposto di un agire responsabile è infatti l’esistenza di un soggetto responsabile. E dunque il primo principio non può che essere la conservazione del «che» e del «che cosa» di quel soggetto, pur con l’inevitabile ambiguità con cui si presenta la sua libertà. L’imperativo originario, «categorico», fonte prima di qualsiasi altro imperativo è pertanto quello veicolato dall’idea ontologica di essere umano, cui si è già fatto riferimento e che non può essere interpretata in termini meramente oggettivanti e statici. 7. In definitiva, il principale criterio di valutazione del mutamento è senz’altro che quest’ultimo non deve mettere in forse il significato a un tempo ontologico e trascendentale della dinamica di soggettivazione e oggettivazione che, comparsa agli albori della vita, si manifesta in modo eminente nel carattere vulnerabile, ambivalente e aperto della libertà eidetica e riflessiva dell’essere umano e nella connessa ricerca dell’«immagine dell’uomo». Tradotto nei termini più specifici di questioni quali la crisi ecologica, l’ingegneria biologica e la manipolazione genetica, di cui Jonas si occupò già a partire dagli anni Sessanta e Settanta del Novecento: è un fatto che grazie alla tecnologia abbiamo acquisito la possibilità di trasformare radicalmente l’ambiente in cui viviamo e di modificare, ricreare o migliorare l’essere umano, ed è un fatto che tali possibilità evidenzino la tensione estrema cui può soggiacere la dinamica umana di soggettivazione e 90 91 Id., Il principio responsabilità, cit., pp. 101-173 [ted. pp. 157-262]. Ibidem, p. 97 [ted. p. 155]. 457 ROBERTO FRANZINI TIBALDEO oggettivazione, fino ad arrivare a un possibile punto di rottura. Si domanda però Jonas: secondo «quale immagine» portiamo a compimento questi mutamenti tecnologici, in particolare quelli che investono la nostra stessa costituzione?92 E «in base a quale sapere» li realizziamo?93 Jonas invita alla cautela e giustifica la propria scelta come segue: bisogna evitare che la dinamica di soggettivazione e oggettivazione si laceri e che i due poli vengano intesi come reciprocamente separati ed estranei, come evidenzierebbero appunto la crisi ecologica e alcune tendenze inerenti all’ingegneria genetica contemporanea.94 Il rischio è infatti che nella consunzione senza residui di tale polarità, l’umanità smarrisca il proprio «potenziale trascendente»95 e con ciò la propria specificità. 8. Quanto fin qui espresso non mette però ancora l’etica jonasiana al riparo dal rischio di rimanere praticamente inefficace. Jonas ne è consapevole al punto da dedicare notevole attenzione allo sviluppo e alla mobilitazione a fini etici del «senso di responsabilità» (das Gefühl der Verantwortlichkeit),96 una caratteristica legata ancora una volta alla valenza immaginifica e anticipatrice della nostra libertà eidetica.97 Richiamandosi alla teoria etica tradizionale, Jonas insiste sul fatto che solo il sentimento è in grado di «venire in soccorso alla ragione per consentire al bene oggettivo di esercitare un potere sulla nostra volontà»,98 mettendola così in moto. Tuttavia, a differenza dell’etica tradizionale, i cui oggetti erano per lo più entità atempora- H. Jonas, Dalla fede antica all’uomo tecnologico, cit., p. 227 [ing. p. 146]. Id., Il principio responsabilità, cit., p. 28 [ted. p. 56]. 94 La crisi ecologica potrebbe infatti essere interpretata come la tendenza della soggettività umana di imporsi senza riserve sul mondo oggettivo, che verrebbe eliminato nella sua «alterità» rispetto al soggetto umano e pertanto compromesso in maniera irresponsabile (si veda il famoso poema di Brecht [Esilio, III]: «Segavano i rami sui quali erano seduti / E si scambiavano a gran voce le loro esperienze / Di come segare più in fretta, e precipitarono / Con uno schianto, e quelli che li videro / Scossero la testa segando e / Continuarono a segare»). All’opposto, certe tendenze radicali inerenti allo «human enhancement project» e alla manipolazione genetica potrebbero essere viste come espressione della volontà di ridurre a mera oggettività ciò che è altresì dotato di un intrinseco e irriducibile valore soggettivo, vale a dire il corpo umano. In entrambi i casi quel che è andato perso è la dialettica che tiene dinamicamente uniti il polo della soggettivazione e quello dell’oggettivazione. La conseguenza ulteriore dell’estraneità dei due poli è il fatto che essi verrebbero intesi in modo unilaterale, riduzionistico e in definitiva fuorviante. 95 H. Jonas, Dalla fede antica all’uomo tecnologico, cit., p. 195 [ing. p. 122]. Cfr. anche: «Una cosa diversa è il sogno di qualche nostro pioniere della scienza: la ricreazione genetica dell’uomo secondo un’immagine, o un insieme di immagini, scelta da noi, in realtà decisa dallo scienziato. Tale “immagine” potenzialmente infinita, trascendente, si ridurrebbe a una serie di tabelle contenenti le proprietà desiderate, scelte in base a criteri ideologici (o non sarà per interesse? o per capriccio?), trasformate in progetti da genetisti che si avvalgono dell’aiuto dei calcolatori, autorizzati dal potere politico – infine inserite nella futura evoluzione della specie, dove risulteranno fatidiche, grazie alla tecnologia biologica» (ibidem, p. 272 [ing. pp. 180-181]). 96 Cfr. H. Jonas, Il principio responsabilità, cit., pp. 110-115 [ted. pp. 170-179]. 97 Cfr. ibidem, pp. 33-39 [ted. pp. 63-74]. 98 Ibidem, p. 110 [ted. p. 170]. 92 93 458 «QUAESTIO MIHI FACTUS SUM». L’IMMAGINE DELL’ESSERE UMANO NELLA FILOSOFIA DI HANS JONAS li ed eterne, l’oggetto della responsabilità jonasiana è – come si è visto – «il transeunte per definizione»,99 vale a dire la vita, con le sue differenze qualitative e il suo dinamismo evolutivo aperto al futuro, di cui l’essere umano è parte integrante e in cui gioca un ruolo di primaria importanza e inedita ambiguità. Certo, l’oggetto della responsabilità è dotato di una dignità propria, che può suscitare nell’essere umano un sentimento di rispetto; però – sottolinea Jonas – «per intenso che sia, può rimanere del tutto inoperante».100 Per ovviare a questo problema Jonas insiste pertanto sull’importanza del senso di responsabilità, la cui specificità è di mobilitare l’azione umana rinsaldando al contempo il rapporto tra i due lati (soggettivo e oggettivo) dell’etica: «Soltanto se sopravviene il senso di responsabilità, che vincola questo soggetto a quest’oggetto, agiremo di conseguenza»;101 solo così saremo in grado di realizzare la «coincidenza tra responsabilità oggettiva e senso soggettivo di responsabilità», la cui forma originaria è la «preoccupazione per le generazioni future».102 5. Conclusioni L’etica jonasiana non teme di presentarsi come «eteronoma», anche se essa non rinuncia a prendere in seria considerazione le ragioni opposte del nichilismo e del relativismo contemporanei. A ben vedere però l’oggetto dell’eteronomia non è separato dal soggetto etico, poiché anzi quell’oggetto siamo noi stessi, è la vulnerabilità della nostra stessa condizione esistenziale, in quanto a sua volta dinamicamente radicata nel complessivo fenomeno della vita. Tuttavia, grazie alla nostra libertà, a un tempo eidetica e riflessiva, acquisiamo la capacità di distanziarci dall’immediatezza della vita e ci rendiamo in un certo senso indipendenti dalla nostra base biologica (sezione 2). Nell’apertura di questo divario, mediato dalla duplicità dell’immagine, sta la possibilità della condizione umana che evidenzia, sì, la tendenza a sottrarsi al mutamento biologico, ma non al punto da rescindere il proprio rapporto rispetto a esso. Quel che caratterizza dunque l’essere umano è il dinamismo dialettico – a un tempo ontologico e trascendentale – che congiunge dipendenza e indipendenza, immanenza e trascendenza, mutamento e immutabilità, esistenza ed essenza. Nella dinamica duale di questa apertura stanno però anche l’ambivalenza e l’ambiguità del nostro agire, grazie a cui possiamo vivere in modo conforme al Ibidem, p. 111 [ted. p. 171]. Ibidem, p. 114 [ted. p. 178]. Ivi. 102 Ibidem, p. 115 [ted. pp. 178-179]. 99 100 101 459 ROBERTO FRANZINI TIBALDEO carattere ontologico e trascendentale dell’idea di essere umano o scegliere di rinunciare a essa (sezione 3). La tecnologia odierna alimenta questa ambiguità (e lo fa in modo potenzialmente smisurato), senza però fornirci la conoscenza e le competenze necessarie per gestirla consapevolmente e con ciò esercitare responsabilmente la nostra libertà. Il contributo offerto dalla filosofia e in particolare dall’etica serve, ad avviso di Jonas, a colmare questo vuoto. E ciò in due sensi: a) il potenziale riflessivo della filosofia deve aiutarci a sviluppare la nostra capacità di valutare i mutamenti in corso, specie quelli legati all’impiego della tecnologia, e ciò è appunto possibile evidenziando come la specificità umana non si riduca né a mero mutamento, né alla sola capacità di trascendere quest’ultimo per attingere a essenze ultime e definitive, bensì si caratterizzi per la capacità di tenere dinamicamente congiunte quelle istanze divergenti (ed è per questo motivo che, secondo Jonas, non ha senso parlare in senso assoluto e oggettivante di essenze statiche); b) dal canto suo, l’etica ha il compito di suscitare il nostro sentimento di responsabilità e di mobilitare la nostra volontà, affinché agiamo conseguentemente (sezione 4). Il risultato conseguito da Jonas è in tal senso duplice, poiché la convincente riunificazione di antropologia e ontologia della vita ottenuta mediante la sua meditazione sull’immagine funge da premessa per il successivo ricongiungimento dei due poli (soggettivo e oggettivo) dell’etica. Si può pertanto concludere che l’«imperativo antropologico»103 formulato decenni or sono da Jonas con il preciso obiettivo di oltrepassare i dualismi del passato sia tuttora un ideale capace di orientare l’agire umano nel mondo contemporaneo. Abstract “Quaestio mihi factus sum.” The image of the human being in Hans Jonas’ philosophy The essay focuses on the role played by the «image of the human being» in the philosophy of Hans Jonas. This expression highlights humanity’s distinctiveness: it is indeed thanks to the image that the human being acquires a unique degree of distance and freedom from the world, which then develops into reflective self-awareness. However, thanks to these features, the human being achieves the unprecedented capacity of stretching to the limit the dialectical dynamic of freedom and necessity, autonomy and dependence, self and world, transcendence and immanence, immutability and change, viz. the very dynamic on which hu103 H. Jonas, Memorie, cit., p. 302 [ted. p. 370]. 460 «QUAESTIO MIHI FACTUS SUM». L’IMMAGINE DELL’ESSERE UMANO NELLA FILOSOFIA DI HANS JONAS mans after all rely. In other words, human freedom cherishes the thought of disposing of this dynamic basis, regardless of the fact that this would result in self-negation. It is in order to avert this menace that the image’s second attribute has to be put forward – an attribute which is indeed endowed with normative relevance: the human being – states Jonas – lives and performs his «outward conduct after the image of what is man’s». Thus, apart from distantiating and separating, the image is also capable of connecting. It is thanks to this feature that human freedom recovers its relationship with total reality. Indeed, Jonas’ ethics stems from a bio-anthropological enquiry pivoted on the imageexperience, whose core features and ethical relevance I wish to clarify. Besides, I endeavour to highlight the importance of the «image of the human being» in critically assessing risks related to the current use of technology. Keywords: image of the human being, freedom, reflection, technology. 461