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INDICE INTRODUZIONE 11 PARTE I LE BASI DEL PROGRAMMA INFERENZIALISTA 1. UNA CONCEZIONE INFERENZIALISTA DEL LINGUAGGIO E DEL PENSIERO 25 1.1 Una semantica inferenziale 25 1.2 Motivazioni teoriche di base 32 1.3 Significato e uso: giudizio, asserzione e inferenza 44 1.4 Inferenzialismo e olismo semantico 49 1.5 Inferenza e percezione 53 2. UN GIOCO LINGUISTICO PRIVILEGIATO: “DARE E RICHIEDERE RAGIONI” 61 2.1 Semantica e pragmatica (parte I) 61 2.2 Linguaggio e pratica sociale: pragmatismo e antiplatonismo 64 2.3 Impegni, autorizzazioni e “deontic scorekeeping” 76 2.4 Semantica e pragmatica (parte II). La semantica deve rispondere alla pragmatica 82 2.5 Struttura fine della razionalità discorsiva 84 3. RAPPRESENTAZIONE E RIFERIMENTO IN UN QUADRO INFERENZIALISTA 89 3.1 L’espressivismo come alternativa al rappresentazionalismo 89 3.2 Ascrizioni de re di atteggiamenti proposizionali 96 3.3 Riferimento e pratiche argomentative. Sugli usi delle ascrizioni de re 104 3.4 Una controversia sulle ascrizioni de re 108 3.5 Inferenza, sostituzione, anafora 110 PARTE II ALCUNE SFIDE CHIAVE PER L’INFERENZIALISMO 4. DEFLAZIONISMO ALETICO (E SEMANTICO) 123 4.1 Deflazionismo, ridondanza e primitivismo 123 4.2 Una versione “anaforica” della teoria proenunciativa di “vero” 129 5. OLISMO SEMANTICO E INFERENZIALISMO 145 5.1 La sfida dell’olismo semantico per l’inferenzialismo 145 5.2 I problemi dell’olismo semantico radicale 149 5.3 Osservazioni sull’afferrare concetti: una prospettiva anti-individualista 152 5.4 Inferenze controfattualmente robuste: prospettive teoriche alternative sulle inferenze costitutive 156 5.5 Inferenze escluse per via controfattuale: una versione modesta della proposta di Sellars e le inferenze non costitutive 166 5.5a Perché le inferenze escluse per via controfattuale non sono costitutive? 167 5.5b L’argomento dell’analiticità e la sfida olistica su nuove basi 170 6. INFERENZIALISMO E COMPOSIZIONALITÀ: LA PROPOSTA DI BRANDOM E I SUOI SVILUPPI 177 6.1 Composizionalità: gli argomenti standard 177 6.2 Composizionalità: le prospettive iniziali dell’inferenzialismo 179 6.3 Nuove prospettive su inferenzialismo e composizionalità 184 7. INFERENZIALISMO E OGGETTIVITÀ 191 7.1 Inferenzialismo e oggettività: le due dimensioni fondamentali 191 7.2 Colmare il divario. Prospettive individuali in una pratica sociale 195 7.3 Prassi discorsiva e oggettività: risorse ulteriori per il modello di Brandom 198 7.4 La portata delle pratiche aggiuntive per la valutazione di asserti e inferenze 202 7.5 La struttura sociale della conoscenza e le due dimensioni dell’oggettività 204 BIBLIOGRAFIA 209 INDICE ANALITICO 219 INTRODUZIONE Questo lavo o si p opo e di p ese ta e e dis ute e al u i degli aspetti più ileva ti dell’i fe e zialis o semantico: la teoria secondo cui il contenuto dei pensieri che elaboriamo e intratteniamo, e il significato degli enunciati che ascoltiamo e proferia o, so o i dividuati g azie ad u a se ie d’i fe e ze e, più i ge e ale, dalle nostre abilità inferenziali e dalle pratiche sociali basate su tali abilità. Ricoprono un ruolo determinante e centrale, in questo contesto, le tesi del filosofo statunitense Robert Brandom, il più autorevole sostenitore di u a p ospettiva i fe e zialista ell’odie o di attito filosofi o1. Brandom è un autore che svolge il proprio lavoro in un contesto fortemente permeato dallo stile e dai metodi di lavoro della tradizione analitica, ma, o e il suo aest o Wilf id “ella s, è pa ti ola e te se si ile all’i flue za delle tesi p i ipali degli auto i di primissimo piano della filosofia classica tedesca, specialmente Kant e Hegel2. Un altro contesto teorico di rilievo che gioca un ruolo importante nello sviluppo delle tesi di Brandom è quello del pragmatismo statu ite se, i pa te a he g azie all’i flue za del suo supervisor di Princeton Richard Rorty – autore che è stato fondamentale per il recupero e la ridefinizione di un filone genuinamente pragmatista in alcuni settori della filosofia analitica statunitense contemporanea3. Una prima caratteristica rilevante della teoria di Brandom, e che aiuta a coglierne la portata in via preliminare, è la capacità di collocare lo studio del li guaggio, e i ge e ale del siste a o ettuale u a o, all’i te o di un quadro teorico più vasto, dove vengono coinvolte tutte le strutture di base della vita associata: uno strato primitivo di pratiche sociali e abilità di base che determinano una serie di norme e vocabolari. Il linguaggio e il sistema concettuale appaiono, da questo punto di vista, come una specie di realtà istituzionale, dotata di un particolare statuto ontologico, e di determinate implicazioni deontiche, in modo analogo a come alcuni teorici spiegano la natura del denaro4. U aspetto e t ale di uesta p ospettiva è l’i po ta za he essa o fe is e a u a o side azio e p ag ati a del li guaggio: si t atta di u a o ezio e pe ui il li guaggio viene concepito come una vasta e complessa pratica sociale, governata da norme, divieti e criteri impliciti di valutazione delle performances che i parlanti svolgono nei contesti comunicativi. In tale pratica, come già John Austin e John Searle hanno bene illustrato, ogni dire è anche un fare: il significato di un enunciato, ad ese pio, può o t i ui e a ostitui e u atto li guisti o d’asse zio e5. Un secondo aspetto rilevante di questo modello teorico consiste nel considerare la semantica e la pragmatica come due cardini su cui è imperniata una più vasta teo ia esp essiva, so iale e o u i ativa della azio alità u a a. L’idea di B a do è he le norme della corretta espressione, e della comprensione, dei contenuti semantici di pensieri ed enunciati, e degli atti linguistici che questi contribuiscono a permettere, siano, infatti, delle norme razionali implicite nelle pratiche sociali umane. La valutazione e lo studio di questa vasta teoria di Brandom costituiscono, di per sé, un lavoro immane, apa e di dispe de e l’i peg o e l’atte zio e dello studioso in un intrico disordinato di traiettorie. La selezio e di al u e te ati he spe ifi he, e di al u i a iti d’i dagi e p ivilegiati, è gio ofo za u a e essità operativa ineludibile, soprattutto quando, come nel mio caso, si nutre la convinzione che i dettagli in filosofia 1 Molti altri autori hanno sostenuto, e/o sostengono, tesi in vario modo coinvolte con un ruolo delle abilità, e delle pratiche, inferenziali nella spiegazione del significato, del pensiero, della comunicazione e della competenza semantica in senso ampio. Si vedano ad esempio Sellars 1948, 1953, 1974, 1997(1956); Quine 1953; Putnam 1975; Loar 1981; Harman 1982, 1987; Block 1986; Boghossian 1989, 1994, 1994a, 2000, 2001, 2003, 2012; Horwich 1990, 1998, 2005; Peacocke 1992; Marconi 1997; Peregrin 2006, 2008. Pe u ’i t oduzio e ge e ale si veda Whiti g 2006. 2 Si vedano, ad esempio, Brandom 2009, 2015. 3 Anche se i rapporti tra pragmatismo e filosofia analitica sono stati per tutto il ventesimo secolo, e continuano ad esserlo anche oggi, controversi e spesso attraversati da fasi di contrapposizione anche diretta. Mentre alcuni autori analitici quali ad esempio Putnam e Quine hanno concepito la propria attività in una sorta di continuità con alcune tesi pragmatiste, altri autori hanno spinto il recupero del pragmatismo in una chiave esplicitamente ostile al predominio della filosofia a aliti a ell’a ade ia statu ite se, o e ad ese pio Ri ha d Be stei , e su asi si ili, pe u uo periodo, anche Richard Rorty. Per queste vicende si vedano Restaino 1991 e Rorty 1982. Per una ricostruzione meno legata a queste polemiche, e più interessata a una continuità teorica dei pragmatisti contemporanei con i pragmatisti classici si veda Putnam 1992. 4 Si veda, per uno sviluppo di questo parallelo, Peregrin 2008, p. 1218. 5 Austin 1962; Searle 1969. spesso possono fare la differenza: essi possono essere decisivi nel dirimere o elucidare le dispute argomentative e nello sciogliere i nodi delle questioni filosofiche. Tra i tanti ambiti d’i dagi e possi ili, ho scelto di dedicare la mia attenzione ad alcuni aspetti che hanno un ruolo, per certi versi, fondazionale e cruciale nella vasta costruzione teorica messa in piedi da Brandom. Si tratta in generale della sua versione di semantica del uolo i fe e ziale e di al u e delle sue p o le ati he spe ifi he i te e, he s’i t e ia o bene con alcune considerazioni pragmatiche relative alle nostre pratiche sociali. Gli studi che presento in questo volume sono preceduti da una lunga introduzione dove provo a ricostruire, el odo più eve e di etto possi ile, le a atte isti he teo i he p i ipali dell’i fe e zialis o e alcuni dei problemi teorici tuttora aperti. In questo quadro ho cercato, per quanto possibile, non solo di ricostruire le tesi fo da e tali dell’i fe e zialis o di B a do , a a he di e fatizza e al u i aspetti iti i he, nel corso degli anni, hanno suscitato diverse discussioni. La ricostruzione di questi aspetti mira, nel complesso, a conferire al linguaggio, alla comuni azio e, e alle p ati he li guisti he, u ’i agi e pe ulia e he e e ge dal modello inferenzialista: un insieme di pratiche governato da una struttura normativa centrale e razionale, il osiddetto gio o del da e e i hiede e agio i . Le i te azio i li guistiche andrebbero comprese come p ati he gove ate da u odello se o do ui la ossa di ase è l’asse zio e, e dove l’i te lo uto e ha a disposizione un certo numero di risorse per sfidare gli asserti che non si conformano al proprio punto di vista inferenziale. Le prospettive degli interlocutori, sostiene Brandom, determinano di per sé una serie di norme che sono implicite nella prassi dei parlanti di una qualsiasi lingua naturale: tali norme possono, in linea di principio, rendersi disponibili in modo esplicito mediante le risorse espressive delle nostre pratiche discorsive e dei nostri vocabolari. I temi di questa introduzione sono numerosi, spesso intrecciati tra loro, e spaziano su va i f o ti: u a i ost uzio e delle idee p i ipali dell’i fe e zialismo e delle sue motivazioni teoriche di base; u a disa i a dei appo ti he i uesto odello i te o o o t a se a ti a e p ag ati a; u ’esplo azio e delle caratteristiche olistiche della teoria; una presentazione del peculiare (e discusso) approccio, per certi ve si disposizio alista , o ui l’i fe e zialis o e a di spiega e gli stati e i p o essi pe ettivi; u ’i t oduzio e alla o ezio e p ag ati a della o atività o ettuale; la p ese tazio e degli aspetti di primo piano della pratica del dare e richiedere ragioni, con le loro implicazioni deontiche ed epistemiche; u ’a pia sezio e dedi ata alla di e sio e i te zio ale delle p ati he dis o sive, o epita da B a do grazie allo sviluppo di un originale trattamento delle ascrizioni de re di atteggiamenti proposizionali; una sezione, infine, dedicata alla dimensione referenziale relativa agli scambi comunicativi dei parlanti, spiegata da B a do pe ezzo delle ozio i hiave di sostituzio e e a afo a . “ opo di uesta i t oduzio e è quello fornire le basi per una lettura teoricamente più consapevole degli studi che seguono e delle loro implicazioni generali. La seconda parte comprende quattro studi che si occupano di temi più specifici relativi all’inferenzialismo. Il primo riguarda il trattamento speciale che Brandom dedica alla nozione di verità. In particolare, mi concentro sullo sviluppo che Brandom ha impresso alla teoria proenunciativa della verità, realizzata in principio negli anni settanta del secolo scorso da Dorothy Grover, Joseph Camp e Nuel Belnap. Si tratta di un resoconto che spiega l’uso di esp essio i uali è ve o o e fu zio a ti i u odo a alogo a dei p o o i. Ad ese pio, possiamo vedere una chiara relazione tra enunciati quali Giova i è stato o vo ato e lui è stato o vo ato , e el uale il p o o e lui e edita i uesto o testo il ife i e to del o e Giova i . I odo a alogo, pot e o di e he l’e u iato, profferito da Alberto, il i ist o è a ivato el suo studio intrattiene una relazione simile con il (pro)e u iato (ciò) è vero o ui ad ese pio Gia o o può rispondere ad esso in uno scambio comunicativo. Il primo è un enunciato in senso tradizionale, mentre il secondo è un proenunciato, vale a dire una locuzione che sta per un enunciato nello stesso modo in cui un pronome sta per un nome. In questo caso enunciato e proenunciato hanno lo stesso contenuto semantico. B a do spiega tale ide tità i te i i di e edità: l’ide tità se a ti a t a le due espressioni è spiegata dal fatto che il proenunciato eredita il suo contenuto dall’e u iato da ui dipe de. Questa identità semantica pot e e fa pe sa e ad u ’adesio e all’idea della ve ità o e ido da za: al o t a io, B a do se e allo ta a evide zia do o e ad u ’ide tità se a ti a t a p e p è ve o segua o ileva ti differenze pragmatiche/espressive. Questa dipendenza tra un certo enunciato e un proenunciato è spiegata a sua volta g azie alla ozio e di a afo a: l’e u iato da ui dipe de il o te uto del p oe u iato è il suo a te ede te a afo i o; l’e u iato he dipende dal contenuto del suo antecedente è detto dipendente anaforico. Il capitolo ricostruisce il modo in cui Brandom ambisce ad estendere questo genere di spiegazione anche ai casi ua tifi ati e o i alizzati: ad ese pio, tutto iò he di e B a do è ve o pe i asi del p i o tipo, e l’ulti o teo e a di Fe at è ve o pe i asi del se o do6. L’idea di B a do è uella di spiega e tutti uesti casi secondo il modello generale di dipendenza anaforica che sussiste tra una o più occorrenze enunciative e i proenunciati che ne dipendono. Emergono da questa ricostruzione alcune idee piuttosto rilevanti: questo genere di deflazionismo aletico sembra aggirare una serie di problemi tipici di molti approcci affini; esso spiega con semplicità ed eleganza i fenomeni di t aspa e za/ ido da za di ve o ; esso è pie a e te compatibile con alcune intuizioni e alcuni fatti spesso invocati in difesa di tesi primitiviste7; e, infine, in accordo con tutti gli altri aspetti emersi, traccia un quadro metafisicamente sobrio intorno alla nozione di verità, nel senso che si declinano in linea di principio tutti i tentativi di identificarla con una qualche astratta forma di proprietà (di proposizioni). Il secondo tema, cui ho dedicato molto spazio, è quello delle conseguenze olistiche che una semantica i fe e ziale se a e essa ia e te o po ta e. L’idea, se za a da e p eli i a e te t oppo pe il sottile, è la segue te: se il sig ifi ato di u ’esp essio e li guisti a è dete i ato da u e to u e o d’i fe e ze, e segue che per pad o eggia e tale esp essio e io de a pad o eggia e l’uso di u e ose alt e esp essio i. Come emerge dalla letteratura, se questa derivazione olistica rimane vaga e indeterminata, si corre seriamente il rischio che vi sia un rapporto di derivazione tra il significato di una particolare espressione e l’i sie e glo ale delle esta ti esp essio i li guisti he di u e to li guaggio. Questa p olife azio e, o e è stato sottolineato da molti, sarebbe un risultato pote zial e te disast oso pe l’i fe e zialis o, foriero di rilevanti problemi teorici. Queste difficoltà potrebbero compromettere, ad esempio: le possibilità di app e di e to li guisti o; la possi ilità di o u i a e o su esso; l’att i uzio e ge e alizzata di stati psicologici agli altri parlanti; e, infine, di permettere una concezione in qualche modo stabile, nel corso del tempo e tra parlante e parlante, dei nostri contenuti semantici. In questo capitolo provo a discutere i p o le i legati all’olis o se a ti o, te de do p ese te la dettagliata discussione delle opzioni che il dibattito offre per una prospettiva inferenzialista. In particolare, mi concentro sul problema della portata dell’olis o se a ti o oi volto ello sviluppo dell’i fe e zialis o. La p i a possi ilità he si p ese ta consiste nel presentare tale derivazione olistica come appartenente a un genere radicale, per cui il significato di un enunciato finisce per dipendere dal significato di tutte le altre espressioni del linguaggio. Questo genere di olismo semantico radicale pare condurre a esiti che sembrano minare le nostre spiegazioni relative alla comunicazione, al modo in cui afferriamo i pensieri, alle generalizzazioni psicologiche, e alla stabilità temporale e interpersonale dei contenuti concettuali nel sistema linguistico condiviso. La seconda possibilità è i ve e uella di esplo a e l’esiste za di spe iali ite i pe i os ive e la po tata dell’olis o oi volto ello sviluppo di una semantica inferenziale. Trovare un modo per stabilire un qualche criterio in grado di compiere u a hia a est izio e della po tata dell’olis o se a ti o, se a u a p e essa p o ette te pe idis ute e da una posizione meno compromessa tutte le complicazioni che sembrano derivare da esso. Un olismo circoscritto e indebolito sembra intuitivamente in grado di accogliere molte delle nostre intuizioni relative ai problemi sopra elencati. Questo studio costituisce il tentativo di individuare e difendere un criterio teorico utile per circoscrivere la portata di tale olismo, così da evitare la serie di conseguenze spiacevoli che questo sembrerebbe comportare. In questa discussione propongo un criterio, per certi versi negativo: esso è costituito da un insieme di inferenze, di cui si dimostra il carattere non costitutivo di un contenuto concettuale arbitrario C, he è possi ile sott a e dall’i sie e di i fe e ze i ui C è coinvolto. Sottrarre questo insieme non costitutivo dalla totalità di inferenze in cui C è coinvolto restringe in modo rilevante la po tata dell’olis o se a ti o i oggetto (si sott ae u insieme olistico ad un altro insieme olistico). Questo i de oli e to, o la olla o azio e di ulte io i iso se p ag ati he e o u ’oppo tu a o side azio e del modo effettivo in cui afferriamo i concetti, conduce ad una sensibile riconsiderazione delle conseguenze dell’olis o se a ti o. Un terzo problema rilevante che investe qualsiasi semantica inferenziale è quello relativo alla sua capacità di spiega e il fe o e o li guisti o e se a ti o della o posizio alità. Questa è l’idea he il sig ifi ato di u ’esp essio e li guisti a o posta, o e ad ese pio il a ale e u iato il gatto è sul tappetto , è dato interamente dal significato delle espressioni semplici (sintagmi nominali e predicativi) che in esso compaiono, L’ulti o teo e a di Fe at sostie e he an + bn = cn , per n > 2. Come vedremo in seguito, rendere esplicito a cosa ci si ife is e o la o i alizzazio e l’ulti o teo e a di Fe at è u aspetto necessario del trattamento di Brandom per queste locuzioni. 7 L’idea pe ui la ve ità, nel nostro sistema concettuale, è una nozione primitiva e, in quanto tale, indefinibile. 6 vale a di e gatto , tappeto sta e sop a , e dalle egole si tatti he della lo o o posizio e. “e il sig ifi ato dipende da questi ostitue ti, o pa e allo a pote dipe de e, o e vo e e l’i fe e zialis o, da u e to insieme di inferenze. Sulle varie linee argomentative che è possibile sviluppare da questo punto, Jerry Fodor ha imbastito una vera e propria batteria di argomentazioni contro le semantiche inferenziali – in quanto non composizionali8. Fodor illustra bene come la composizionalità costituisca una spiegazione semplice, elegante ed economica per una serie di rilevanti fenomeni linguistico-concettuali (produttività, sistematicità, apprendibilità): se si perde la composizionalità, si perde in toto questa spiegazione privilegiata. L’i fe e zialis o, prima facie in difficoltà con la composizionalità, rischia di precludersi la strada per queste comode spiegazioni. Brandom ha affrontato questo problema con due strategie differenti, che si sono succedute nel corso degli anni: prima ha provato a raccogliere la sfida della composizionalità, e quindi a spiega la ei te i i p op i dell’i fe e zialis o – e questo tentativo non ha riscosso particolari consensi; in seguito si è concentrato sulla valutazione degli argomenti standard a favore della composizionalità, concludendo, grazie allo sviluppo di un controesempio rilevante, che i requisiti vadano ripensati e alleggeriti. L’u i a o posizio alità he o o e, sostie e a uesto pu to B a do , è la i o sività t a livelli di complessità logica degli enunciati: enunciati logicamente complessi devono dipendere da enunciati logicamente semplici. Questa ricorsività, conclude Brandom, è in grado di spiegare in modo agevole la p oduttività, la siste ati ità, e l’app e di ilità, se za tuttavia e essita e il e uisito di o posizio alità rigido difeso da Fodor. E, soprattutto, pare perfettamente compatibile con semantiche olistiche quale quella i fe e ziale. I olt e, dato he la tesi di B a do iposa su di u a di ost azio e, l’o e e della p ova pa e gravare, a questo punto, interamente sulle spalle dei soste ito i dell’app o io t adizio ale. Il quarto e ultimo capitolo riguarda l’a izio e, del p og a a teo i o i fe e zialista, di spiega e la correttezza delle nostre applicazioni di concetti in accordo ad una norma di oggettività che trascenda le prospettive individuali dei singoli parlanti. La rappresentazione della pratica discorsiva che ci viene offerta da Brandom, in termini ideali, vuole rispondere al tipo di correttezza, nelle nostre applicazioni di concetti, relativa a come effettivamente stanno le cose e non semplicemente come a noi sembra che esse stiano. Questa sfida pone una serie di interrogativi relativi al genere di oggettività implicito in questo modello. L’a izio e di B a do o siste el vole spiega e tale oggettività sulla semplice base delle prospettive parziali nelle loro interazioni discorsive. Questo proposito, e il modo in cui è stato illustrato e difeso, ha generato numerose discussioni, che hanno segnalato diverse difficoltà teoriche. In questo studio mi concentro in particolare sulle varie caratteristiche della ozio e d’i fe e za (materiale) adoperata da Brandom, e alle varie conseguenze che da questa derivano sia in ambito epistemologico, sia per una prospettiva di pragmatica del linguaggio. In parti ola e, si t atta d’i fe e ze ulti-p e essa , di natura prevalentemente nonmonotonica, che si comportano in maniera deviante rispetto alle classiche inferenze deduttive. In esse la conclusione non segue in maniera automatica dalle premesse, ma può modificarsi in a ie a sosta ziale alla p ese za di e te p e esse o i osta ze spe iali. Quest’aspetto, se o epito ella pienezza delle sue implicazioni, modifica radicalmente la valutazione della prospettiva epistemica dei parlanti (e la comprensione che ne abbiamo). In particolare, provo a indagare quanto la pervasività di questo genere d’i fe e ze, ta to el li guaggio o u e ua to ei ost i li guaggi spe ialisti i, possa i ide e el determinare implicitamente una gamma di opzioni epistemiche rilevanti. In particolar modo, da queste osse vazio i se a dis e de e u ’asi et ia st uttu ale t a le p ospettive dei va i pa la ti. Ne emerge un quadro epistemologico in cui la relazione tra esperti e parlanti comuni diviene costitutiva di molte pratiche sociali che coinvolgono scambi comunicativi. Un altro aspetto decisivo che sembra seguire da queste considerazioni è che la pratica sociale del dare e richiedere ragioni pare necessitare di una definizione migliore della sua relazione con altre pratiche, e in particolare con quelle che esercitano un ruolo epistemico (ad esempio le pratiche specialistiche). Queste implicazioni ci aiutano meglio a chiarire le risorse espressive globali che questa teoria è in grado di dispiegare in ambito di epistemologia sociale, e di elucidare il modo in cui dobbiamo intendere la nozione di oggettività rilevante. Da queste analisi emergono infatti due concezioni fondamentali di oggettività: una relativa ai nostri effettivi conseguimenti epistemici; e una seconda concepita in senso fo te o e t as e de te le ost e p ospettive. L’e e ge e di ueste due ozio i o i te a e te coestensive genera una dialettica peculiare che coinvolge tanto la comprensione quanto la valutazione della proposta di Brandom. La mia proposta in questo contesto consiste, sulla base di diverse ragioni, nel 8 Fodor 1998. Si veda anche Fodor e Lepore 2002. riconoscere una legittimità generale a questa duplice caratterizzazione: da un lato essa evidenzia il lato finito e falli ile delle ost e p ospettive, e t e dall’alt o i di a u ge e e di o ettezza ideale che funge da criterio correttivo permanente per le nostre pratiche e conoscenze. Infine, questa dialettica, che Brandom e molti interpreti leggono come la base di una forma aggiornata – e più o meno plausibile – di hegelismo, può essere intesa anche sulla base di linee guida di chiara matrice neokantiana – e ui di l’idea t as e de te di oggettività può essere concepita come una forma di ideale regolativo.