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Il lavoro si interroga principalmente sul significato di «verità effettuale della cosa». Dopo aver esaminato la nozione di vero da un punto di vista semantico e gnoseologico – nel primo senso, è vero, secondo Machiavelli, il discorso che riscontra le cose, nel secondo, il discorso che si fonda sull’esperienza, intesa come esperienza sia diretta (vissuta e osservata) che mediata (letta e ascoltata) –, giunge a definire la «verità effettuale della cosa» come «il discorso storicamente e empiricamente verificabile negli effetti, o nei fatti, che concerne la cosa in oggetto, ossia lo stato». A questo si contrappone «l’immaginazione della cosa», il discorso che, mancando del riscontro delle cose e di esperienza dello stato, non può che ricorrere all’immaginazione, la quale svolge pertanto la funzione di un surrogato. Ma l’immaginazione non è solo fonte di inganni, in un altro senso svolge un ruolo altamente positivo: l’immaginazione che muove dal riscontro permette di individuare un «rimedio» possibile per «questo guasto mondo»; e consente al principe, nella situazione contingente, di agire e apparire anche contro i dettami di una certa mortale, se necessario. L’individuazione di un rimedio possibile e l’attuazione di un agire necessario, contrapposti al pericolo incombente della rovina, richiedono la conoscenza delle regole e leggi dell’agire politico. La verità come coerenza, coerenza del discorso che risulta dall’esame dell’agire storico e politico, ossia coerenza delle argomentazioni machiavelliane che traducono in proposizioni l’agire politico, nella fattispecie, quello del principe, è condizione necessaria, anche se non sufficiente, per preservarsi dalla rovina e mantenere uno stato.
Conferenza in occasione della festa medievale De Bello Canepiciano – 1339 Volpiano (Torino), 11 – 12 settembre 2021
L’ESERCITO DEL PRETE GIANNI: ATTESE E ILLUSIONI DELL’OCCIDENTE TRA IL XII E IL XV SECOLO2021 •
Il contributo prende le mosse dall’ipotesi di riconoscere al meccanismo dell’ironia della finzione «una portata transitiva»: «puntare il dito in modo consapevole sulla finzione (creata dal testo) equivale a ricordare che esiste una dimensione (fuori dal testo) che non è finzione: la dimensione del reale». Dopo aver analizzato il sistema dei tre livelli testuali a cavallo dei quali agiscono i riferimenti alla realtà (passata e presente, sebbene sia quest’ultima a rappresentare il vero fulcro del discorso), alla tradizione letteraria e alla finzione poetica, si propone una tipologia delle molteplici referenze al reale riscontrabili nel poema, fornendo per ogni singola categoria una definizione e una sintetica analisi corredata da esempi testuali, e mettendo in rilievo la complessità delle relazioni sistemiche reciproche tra le varie categorie.
Boletín de la Real Academia de Buenas Letras de …
Il Vero Storico e il Vero della Lingua. Due essempi di lettura de" La Regenta2002 •
in "Schifanoia", 34-35, pp. 225-231
"All'apparir del vero": il proemio come sguardo 'effettuale' e satirico sul realeL'intera vicenda della congiura di Catilina, anche al di là delle accuse di falsificazione rivolte dai contemporanei al console Cicerone, può essere letta come una battaglia tra testimonianze, autentiche o false; non a caso, nel 59 a.C., Cesare ritenne fondamentale rendere pubblici gli 'acta senatus'.
2019 •
The present article wants to deepen the relationship between the «will of truth» and the relegation in the philosophy of Xavier Zubiri, in a diachronic and synchronic perspective, in an analysis of the problem of the concept of «power of the real» in the personal way of the philosopher, in mode to determine what is the space that man has to free himself from its fundamentality: agnosticism, indifference and atheism. KEy wORDS: Xavier Zubiri; religation; power of the real; agnosticism; indifferentism; atheism. «Re-legazione al potere del reale, adesione intellettiva a Dio nella volontà di verità, esperienza tensiva di Dio: ecco i tre concetti che esprimono i tre momenti di un solo fenomeno, di una sola struttura, la cui unità intrinseca e formale costituisce la dimensione teologale dell'uomo, dell'uomo come co-stituzione dell'atto nel quale si afferma come relativamente assoluto nel seno della realtà, vale a dire, del suo Io» 1. Così si esprimeva Xavier Zubiri nel corso tenuto nell'Università Gregoriana a Roma nel 1973: tutta la questione del rapporto tra Dio e l'uomo è racchiusa nello sviluppo sistemico e integrale di questi tre concetti «filosofici». Il problema teologale dell'uomo, infatti, costituisce per il filosofo basco uno dei problemi fondamentali di tutto il pensiero filosofico occidentale, giungendo a mostrare la re-legazione come un «fatto» totale, integrale e naturale. Del resto, come più tardi scriverà in un appunto redatto a metà settembre del 1983: «siamo spinti dalle cose reali, in virtù della re-legazione, alla ri cerca della realtà divina. Farsi persona è continuare a ricercare la realtà divina. La versione dell'uomo al pro-blema di Dio è costitutiva della persona uma na. Chiamerò versione teologale tale versione al problema di Dio in quanto problema» 2. La re-legazione, da questo 1
Il contributo, dopo aver esaminato il rapporto tra novellieri e pubblico in alcune opere del XIV secolo (Decameron, Trecentonovelle, Pecorone, Novelle di Sercambi e Sermini), si sofferma sulle raccolte del tardo Quattrocento di Masuccio Salernitano e di Giovanni Sabadino degli Arienti. I due scrittori trovano un pubblico definito nelle rispettive corti di appartenenza di Napoli e di Bologna. Tuttavia, dialogano con i lettori in modo diverso, tanto che le strategie comunicative, le pratiche discorsive e i presupposti ideologici messi in campo sembrano speculari: se Masuccio nel Novellino (1476) cerca di istruire nel presente l’aristocrazia regnante, di nobilitarla e di difenderla contrapponendosi alle classi subalterne, Degli Arienti ne Le Porretane (1492 circa) si incarica di celebrare e fissare un modello di decoro e magnificenza perfetto e imperturbabile raggiunto nel recente passato dal suo pubblico di riferimento.
Tesi di baccellierato in Teologia sulla cristologia di Massimo il Confessore. Il lavoro si propone di ritrovare la categoria di libertà filiale quale fulcro di rivelazione salvifica di Dio, dell'uomo e del cosmo. Nel confronto con la teologia contemporanea, l'opera del Confessore si rivela ancora gravida di suggerimenti di ricerca che oltrepassano il contesto della sua riflessione.
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