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Analisi della dicotomia apparenza-realtà: realismo entro i sistemi di riferimento

Luca Taddio
p. 215-224

Abstract

This essay investigates the dichotomy between appearance and reality. We will look into some emblematic examples, like the Müller-Lyer optical illusion and the Gelb effect, in order to show how a careful phenomenological analysis overcomes all forms of dualism about the experience of the external world. The aforementioned phenomenological approach is based on immediate experience and, more broadly, contributes to the methodology of experimental phenomenology.

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Testo integrale

1. L’illusione è un fatto

1Il linguaggio comune e il lessico da laboratorio sono solidali nell’indurci a cadere nell’ambiguità del dualismo: quando si dice per esempio “mi sembra che…” o “appare che…”, si crea uno scarto tra le cose “come stanno” e le cose per “come appaiono”. Il dualismo tra apparenza e realtà nasce dall’esigenza umana di operare misurazioni nel mondo al fine di cogliere la realtà. Prendiamo in esame il classico esempio dell’illusione di Müller-Lyer: se misuriamo i segmenti che la compongono constatando che la loro lunghezza è identica, introduciamo un concetto metrico e non solo percettivo di distanza. L’illusione di Müller-Lyer appartiene all’ordine delle cose osservabili: l’apparire dell’illusione permane anche operando sul fenomeno con diversi sistemi di misurazione, sempre più precisi. I due segmenti sono di lunghezza diversa, poiché sono percepiti di lunghezza differente a prescindere dal dato di misurazione.

2L’evidenza che ricaviamo appoggiando un foglio di carta alla figura o scandagliandola al laser rimane, rispetto al piano dell’esperienza immediata, immutata. L’esperienza immediata costituisce il sistema di riferimento attraverso cui incontriamo il mondo. I modi di datità di tale incontro costituiscono il nostro primo grado di conoscenza della realtà. Chiamiamo questo primo grado “mondo”. L’esperienza fenomenica o immediata prescinde dal perfezionamento degli strumenti fisici di misura, dato che il mondo dell’esperienza diretta è dominato da soglie “assolute” e “differenziali”: oltrepassare la soglia significa uscire dall’esperienza e iniziare a costruire un’immagine della realtà.

3Applicando all’illusione di Müller-Lyer uno strumento di misura estrapoliamo un’informazione dalla realtà dell’oggetto che, nella sua complessità e interezza, permane quello che è. L’illusione di Müller-Lyer in quanto fenomeno complesso che ci appare in tutta la sua forza espressiva non è di fatto colto dallo strumento di misura applicato ai due segmenti deprivati delle appendici. L’operazione di misura del fenomeno determina una semplificazione della cosa osservata, un’astrazione di una parte al fine di ridurre la presunta soggettività del fenomeno osservato a qualcosa di oggettivo.

4L’illusione disegnata alla lavagna, dimostra forse che la percezione è soggettiva? L’illusione è un fatto che possiede due requisiti epistemologici: 1) è ripetibile; 2) è interosservabile. Questi due requisiti garantiscono, dentro la cornice della scienza, l’attribuzione di oggettività. La consuetudine linguistica ci riporterà al canonico dualismo per il quale i due segmenti “appaiono” di diversa lunghezza quando “in realtà” sono uguali. La realtà scientifica opera attraverso un altro sistema di riferimento, costituito dai sistemi di misura.

  • 1  L’esse est percipi, nella lettura di Paolo Bozzi, se applicato metodologicamente, è una guida che (...)

5Il linguaggio ci depista affermando il prevalere di un sistema di riferimento rispetto a un altro, ovvero, in questo caso dicendo che la cosa denominata “illusione di Müller-Lyer”, se misurata, possiede “in realtà” la stessa lunghezza nei due segmenti. Di fatto però abbiamo misurato non la cosa “illusione-di-Müller-Lyer” bensì due segmenti: sulla base di questa misura attribuiamo l’illusorietà a una parte del mondo-ambiente che abitiamo assolutizzando il sistema di riferimento metrico. Assolutizzare il sistema di riferimento conduce da un lato al paradosso per il quale non esiste un mondo fisico transfenomenico, dall’altro a negare l’oggettività dell’illusione inscritta nell’ambiente che ci circonda1.

  • 2  Il presente saggio riprende e sviluppa un paragrafo contenuto in Taddio 2011 che è la rielaborazio (...)

6Prendiamo un altro esempio. Come noto la temperatura di ebollizione dell’acqua varia a seconda dell’altitudine: la misurazione indicata dal termometro è indipendente dal fenomeno che possiamo constatare. Ipotizziamo che si tratti di un’illusione e affermiamo che il bollire dell’acqua è un’apparenza. Il procedimento per constatare l’esistenza dell’illusione è inverso a quello applicato alla Müller-Lyer, dove la misurazione dei segmenti ci indica che essi sono uguali, mentre la nostra esperienza ci mostra che sono diversi. Nel caso della temperatura di ebollizione constatiamo che ci troviamo di fronte al medesimo fenomeno sia che esso avvenga per esempio in montagna sia al mare2. Lo strumento di misurazione invece ci fornirà due esiti diversi. Dalla fisica apprendiamo che nel fenomeno di ebollizione non interviene solo la temperatura, ma vi è un’altra variabile: la pressione. Quest’ultima non viene misurata dal termometro che, come altri strumenti di misura, coglie un unico parametro del mondo esterno, fornendo un dato presente nel fenomeno che acquista significato in base a una scala numerica. Emergono all’interno della fisica asimmetrie che si verificano in conseguenza dell’utilizzo di strumenti di misurazione, per esempio quando si constata che due fenomeni sono diversi, mentre lo status fisico osservabile ne decreta l’uguaglianza. Tali incongruenze le riscontriamo anche all’interno della psicologia ogniqualvolta l’uguaglianza tra due fenomeni è assicurata dal criterio operazionale, mentre la disuguaglianza lo è dall’osservazione diretta.

7L’utilizzo delle cose nella pratica quotidiana porta a ritenere vera la misurazione e falso ciò che deriva dall’osservazione. Lo strumento applicato alla cosa considerata non indica la realtà del mondo, bensì un’integrazione cognitiva: un attributo non rilevabile mediante osservazione. Le integrazioni cognitive non sono ascrivibili direttamente alle cose. Il colore, per esempio, ha proprietà direttamente osservabili indipendenti dalle misurazioni, tanto da poter subire variazioni profonde e indipendenti dalla lunghezza d’onda che lo strumento registra. Similmente all’esempio del termometro – costruito al fine di cogliere una parte del reale isolando alcuni parametri ed escludendone altri – il righello è utilizzato per misurare la realtà. Esso coglie l’uguaglianza dei due segmenti nell’illusione di Müller-Lyer misurando come abbiamo detto non l’illusione, che rimane tale e quale rispetto all’esperienza, ma una parte della cosa che chiamiamo, nella sua interezza, “illusione di Müller-Lyer”. Ciò che in essa indichiamo come apparenza, non è qualcosa che di per sé è contrapponibile (o riducibile) a qualcosa di reale. L’apparenza stessa è una porzione della realtà del mondo esterno.

2. Come non fare ontologia alla lavagna

8Gli strumenti di misura sono costruiti per ricavare informazioni dal mondo esterno, spogliando il fenomeno da ciò che è ritenuto superfluo rispetto a tale fine. Per gli scopi di un pittore, invece, l’illusione è più reale di ciò che è colto attraverso il righello. Tuttavia, in entrambe le circostanze, non usciamo mai dagli osservabili in atto: osserviamo il righello così come osserviamo l’illusione. È il giudizio che porta a distinguere l’apparenza dalla realtà.

  • 3  Cfr. Bozzi 1989: 28.

9Tracciamo uno schema alla lavagna che rappresenti le diverse tappe delle elaborazioni dei processi psicofisiologici. I segni alla lavagna rappresentano la percezione: in essa possiamo collocare, secondo un certo criterio, qualunque elemento. La percezione stessa indicata come un gruppo di segni può venir messa in relazione con qualunque altro segno e significato. La lavagna costituisce una mappa ideale degli eventi che accadono al di fuori di essa, rispetto ai quali si pone come un piano ontologico. Sulla sua superficie possiamo operare qualunque congettura che ci ricondurrà presso gli osservabili in atto per poter operare le necessarie verifiche3.

10Per lo scienziato, la lavagna è il luogo ideale per spiegare la percezione: lo schema è rappresentato come se esso incarnasse il reale. Nello schema si tracciano i dati ottenuti dalle misurazioni compiute sulla realtà: l’immagine retinica della cosa non designa la retina in quanto tale, rappresenta invece il luogo delle misurazioni effettuate sulla retina. Alla lavagna sono sistemati i dati ricavati da porzioni di realtà che nel mondo esterno cogliamo attraverso strumenti di misura che adoperiamo sulle cose direttamente esperite. In tal modo si cerca di raffigurare la relazione tra soggetto e oggetto, senza considerare che da una parte troviamo l’“esperienza immediata” degli eventi e dall’altra la “riproduzione alla lavagna” delle misurazioni operate sugli eventi osservati. Questa riproduzione sintetizza, mediante la struttura logica propria della “catena causale”, l’insieme degli eventi indirettamente osservati. Dalla sinistra alla destra dello schema passiamo dall’immagine dell’oggetto fisico fino all’estremo opposto, che sta per l’oggetto fenomenico, passando attraverso: misurazioni della luce, dello stimolo prossimale e di quello retinico, fino alle attività neuronali.

  • 4Ibidem.

11La nostra esperienza immediata dovrà trovare posto da qualche parte sulla lavagna. Il simbolo Φ, per esempio, può rappresentare l’esperienza immediata, la “cosa” posta al di fuori della lavagna percepita direttamente, ma con quale diritto poniamo Φ sullo schema? Abbiamo ricavato tutti i dati per costruirlo dal nostro ambiente, muovendoci in esso e compiendo osservazioni dirette. Se tracciamo tutti questi segni o simboli su una lavagna, dovremo in seguito ripercorrere il nostro ragionamento indicando come a ciascuno dei segni tracciati corrisponda un elemento del discorso. I segni sono una raffigurazione, un’immagine della percezione e non la percezione in quanto tale: la parola percezione comprenderebbe infatti tutti i segni, più la lavagna, più l’edificio in cui è contenuta la lavagna ecc.4.

3. L’induzione cromatica

  • 5Ivi: 55.

12Analizziamo un altro caso classico: l’induzione cromatica. Prendiamo un quadrato grigio di 2 centimetri quadrati, collocato al centro di un quadrato blu di 15 centimetri quadrati. Osserviamo il blu indurre sul quadrato grigio il giallo: «Il giallo è funzione del blu circostante»5. Ora complichiamo un po’ il fenomeno: prendiamo un disco metà nero e metà bianco, e facciamolo ruotare a velocità di fusione. Il disco appare grigio: esse est percipi il disco è grigio. Ricaviamo un foro di 2 cm al centro del quadrato blu. Applicando il quadrato forato sul disco grigio appare la venatura di giallo nel foro: esse est percipi il foro è giallo. Il termine “appare” indica ciò che si vede. L’“apparenza” non va posta in contrapposizione alla “realtà”: la realtà è l’apparire della cosa determinata dal foro giallo e dal disco grigio come risultato dell’agire «di una proprietà fenomenica su un’altra proprietà fenomenica».

13Questo esempio mostra come sia fuorviante porsi la domanda “che cos’è la realtà?” in contrapposizione all’apparire fenomenico. Piuttosto dovremmo chiederci dove, e non che cosa, sia la realtà rispetto all’apparenza. Ogniqualvolta localizziamo la realtà, incontriamo il fenomeno e mai la realtà stessa. Il disco bianco e nero non è la realtà rispetto al disco grigio in movimento, poiché il disco bianco e nero in movimento è grigio. Similmente, il film che guardiamo al cinema è reale, ossia non lo consideriamo come il risultato della somma del movimento di fotogrammi o pixel.

  • 6 Cfr. ivi: 29 ss.

14Come abbiamo sottolineato, il quadrato grigio inscritto nella cornice blu diventa giallo; se si diminuisce la dimensione della cornice blu il giallo indotto dal blu diviene più chiaro: si dice allora che l’intensità del giallo è funzione del blu. C’è un punto in cui la cornice blu diminuisce e il giallo scompare divenendo un quadrato grigio. Ciò viene giustificato con una formulazione linguistica del tipo «il colore apparente è troppo debole per apparire», mentre bisognerebbe riconoscere che nel mondo vi sono indipendenze: il blu e il giallo divengono indipendenti. Questo tipo di considerazioni consentono una prima presa di distanza di stampo fenomenologico da affermazioni che asseriscono la necessità che «tutto sia in relazione con tutto». Ancora una volta, dobbiamo precisare il sistema di riferimento a cui questa affermazione appartiene. Sul piano fenomenologico non è vero che ogni cosa è in relazione a ogni altra: all’interno di uno stato di cose, ci sono relazioni che, se alterate, modificano la cosa osservata; altre invece che la lasciano indifferente6.

  • 7  Cfr. ivi: 55.

15Riprendiamo l’esempio del piccolo quadrato grigio all’interno di un quadrato blu più grande. Il blu induce la vena di giallo come nel caso appena descritto. Aumentando progressivamente le dimensioni del quadrato grigio e, di conseguenza, diminuendo la superficie del quadrato blu, a un certo punto il giallo scompare. Pur non essendo l’area blu inducente uguale a zero, applicando esse est percipi, affermiamo che il giallo non sussiste e quindi cessa di esistere. Affermare che il giallo esiste ma non si vede poiché, essendo una funzione data dall’area inducente sull’area indotta, è sotto la soglia di percepibilità, significa compiere l’errore dello stimolo. L’idea che le sensazioni sotto la soglia di percezione decrescano seguendo la curva della funzione percepita al di sopra della soglia è incongrua al piano di realtà fenomenico: dovrebbe essere possibile produrre un giallo apparente ma invisibile, il che è una contraddizione in termini7. Infatti una percezione non avvertita è un concetto di per sé contraddittorio.

  • 8Ivi: 57.

16Immaginiamo una scala graduata in cui sotto una certa soglia un aspetto della cosa non viene più avvertito, ma continua a sussistere secondo una certa funzione come all’interno dello spettro visibile. Questa è un’ipotesi, una rappresentazione della realtà, ma non è la realtà del mondo che appare nell’esperienza immediata. In base a cosa si afferma l’esistenza dell’azione inducente se l’azione inducente stessa si definisce ed esiste solo quando si osserva che qualcosa agisce su qualcosa? L’attestazione della presenza del giallo è di fatto sinonimo di azione inducente ma, se non si osserva più il giallo, parlare di azione inducente diventa insensato. Modificando le aree dei quadrati, sussiste la relazione visibile tra due stati di cose, mentre l’azione o il presunto influsso inducente diventa un’immagine, un oggetto, operazionalmente trattabile, fornito dalla fisica o da discipline affini. «Il sistema dell’esperienza in atto è caratterizzato da indipendenze assolute: tutte le volte che un osservabile non è avvertibilmente interessato da modificazioni mentre altri osservabili mutano il loro stato, esso è assolutamente indipendente da quelli»8.

4. L’effetto Gelb: scoprire il mondo nella realtà

  • 9  Agostini 1999: 474 ss. (cfr. Gelb 1929: 594-678 e Kardos 1934).
  • 10  Cfr. Gelb 1929. Per un’analisi dettagliata delle interpretazioni dell’esperimento di Gelb, rinviam (...)

17Sempre in merito al dualismo apparenza-realtà, soffermiamoci sull’effetto scoperto da Gelb. Appendiamo un disco di colore nero sulla soglia tra due ambienti poco luminosi e illuminiamolo con un proiettore, in modo tale che l’ombra del disco cada in una posizione invisibile per l’osservatore. Il disco nero viene visto come bianco e poco illuminato: «la scissione fenomenica tra illuminato e illuminante non interviene ad assicurare la costanza del colore dell’oggetto, ma sembra dipendere unicamente dall’intensità della luce riflessa dall’oggetto stesso»9. Introduciamo un pezzo di carta bianca vicino al disco nero nello stesso cono di luce, «il disco viene percepito nero o quasi: pertanto si ha la scissione e quindi la costanza». Si potrebbe supporre che la causa dell’effetto originale sia l’ignoranza da parte dell’osservatore delle condizioni di illuminazione del disco. Tuttavia questa ipotesi si dimostra falsa poiché se allontaniamo il pezzo di carta bianca che permette di comprendere la reale situazione di illuminazione, l’osservatore ritorna a percepire il disco come bianco10.

  • 11  Cfr. Agostini 1999: 475.

18Accanto all’effetto scoperto da Gelb, vi è quello di Kardos da cui emergono altrettante implicazioni teoriche. Prendiamo una stanza illuminata nella quale collochiamo l’osservatore. Nel vano della porta appendiamo un disco bianco a sua volta illuminato da un proiettore. Tra il proiettore e il disco poniamo uno schermo che proietta la sua ombra sul disco stesso senza dar modo all’osservatore di vedere il cono d’ombra. Se interroghiamo l’osservatore esso ci risponderà che vede un disco nero illuminato. Spostando il cono d’ombra riveleremo il colore precedente del disco, tuttavia anche quando saprà che si tratta di un’ombra, l’osservatore, non appena si ripristinano le condizioni dell’esperimento tornerà a percepire un disco di colore nero11. Ciò dimostra l’indipendenza del fenomeno dall’esperienza e dalla conoscenza del soggetto.

  • 12Ivi: 474.

19Il nucleo teorico che caratterizza l’esperimento è la messa in discussione della dicotomia apparenza-realtà. Sulla stessa linea possiamo collocare, per rafforzare la nostra tesi, anche l’esperimento seguente. La situazione è questa: in fondo a una parete sospendiamo un disco di cartone nero proiettando su di esso un potente fascio circolare di luce, in modo che gli orli del fascio di luce coincidano con gli orli del cartone. Guardando il cartone, l’osservatore dirà di vedere «argento brillante». Successivamente, colui che manovra il fascio di luce, lo fa debordare di poco: l’osservatore vedrà il cartone nero12. Si potrebbe pensare che nell’esperimento, in realtà, lo stimolo sia nero, di un materiale in grado di assorbire tutti i raggi luminosi e di rifletterne pochissimi, ma in apparenza la percezione visiva ci dà l’illusione della brillantezza. Questa tipica descrizione dell’esperimento crea inevitabilmente un dualismo tra la realtà degli stimoli fisici e l’apparenza fenomenica, tra stimoli e percezioni. Un gergo come questo impoverisce la realtà della situazione, introducendo un’inesistente duplicità. Infatti, se smettiamo di considerare l’osservatore come una cavia nelle mani dello sperimentatore, costretto a un’immobilità estranea all’esperienza quotidiana, vedremo che quel che egli farà in presenza del disco di colore argenteo, sarà di avvicinarsi a esso. In questo modo assisteremo a una serie diversa di percezioni, a un itinerario che avrà come punto di partenza quello dell’osservatore e come punto d’arrivo quello dello sperimentatore, dato che possiamo spostare a piacimento il fascio di luce del proiettore. Variando le condizioni di osservazione, varia l’oggetto osservato, e ciò non implica alcuna forma di dualismo. Se consideriamo l’itinerario dall’osservatore all’oggetto osservato, scopriamo che, nel compiere questo itinerario, le condizioni di osservazione variano continuamente. Non ci sarà da meravigliarci se, alla fine del percorso, vedremo un oggetto che siamo costretti a descrivere in modo diverso. In tutti questi esperimenti, quindi, non c’è ombra di dualismo. Per dire che il disco è “in realtà” nero, ma “in apparenza” brillante, dobbiamo presupporre una metafisica dualista. Eppure, il disco è brillante finché ricorrono certe condizioni di osservazione; quando queste sono mutate esso non lo è più. Possiamo affermare lo stesso per il bastone spezzato nell’acqua; il bastone appare visivamente spezzato e appare così ogniqualvolta lo osserveremo nell’acqua: tali sono le proprietà di quelle due cose, bastone e acqua, poste in quella data relazione. Ma cosa significa il tentativo di localizzare la realtà rispetto all’apparenza negli esperimenti di Gelb-Kardos?

20Consideriamo la circostanza in cui il disco di partenza nero sia il risultato di un disco ruotante di Maxwell, composto da porzioni bianche e nere fuse assieme in virtù della rotazione del disco. Secondo quale principio possiamo privilegiare una realtà, e quale? Potremmo dire che è reale il disco fermo rispetto al disco nero in rotazione che illuminato appare bianco; oppure potremmo dire che è reale il disco bianco illuminato; o il disco nero in rotazione che illuminato appare bianco, e che con l’aggiunta di un pezzetto di carta bianca appare nero, ma che in realtà è bianco e nero. Di questo passo, quanti piani di realtà dovremmo individuare? Ogniqualvolta localizziamo una realtà, affermiamo una nuova apparenza, ma per poterlo fare perdiamo la realtà del fenomeno non più direttamente visibile. Se invece osserviamo l’apparenza e affermiamo che vi è una realtà sottostante, ciò che presupponiamo come tale è subordinato all’osservabile, a ciò che appare «così e così» in quel dato momento e in quel dato modo (come nell’effetto Gelb). Se mutiamo le condizioni di osservazione scopriamo una realtà sottostante, o semplicemente vediamo qualcosa di diverso? Ciò che appare differente è anche identificato in modo diverso, secondo il suo apparire in quel dato momento. Quindi, per affermare la realtà del disco nero di contro alla sua apparenza bianca, dobbiamo per esempio inserire un pezzetto di carta bianca, oppure mutare il cono di luce: tutte queste variazioni non determinano alcun dualismo, bensì testimoniano il monismo fenomenico, la realtà del mondo incontrato.

21Le considerazioni antidualiste sull’esperimento di Gelb sono egualmente valide per molti altri esperimenti di psicologia. Infatti, le condizioni di osservabilità dell’oggetto vengono organizzate dallo sperimentatore in modo tale da poter poi descrivere una “realtà” che lo sperimentatore conosce, e un’“apparenza” che il soggetto subisce. L’osservatore è nella condizione di prendere il posto dello sperimentatore. Il problema non è quello di porre una realtà contro un’apparenza, bensì di considerare un evento osservato in condizioni diverse in un dato sistema di riferimento.

22Torniamo infine all’esempio dell’acqua che bolle in montagna in apparente contrasto con la misurazione fatta col termometro. Se diciamo che l’illusione di Müller-Lyer è un’illusione ottica, dobbiamo anche dire che il vedere l’acqua bollire in montagna è una semplice illusione, e da questo circolo vizioso di argomenti non c’è possibilità di uscita. Sennonché gli oggetti non possiedono alcuna “struttura noumenica” posta al di là dell’apparenza: essi sono così come noi li incontriamo nell’osservazione diretta, pur descrivibili in modi diversi relativamente agli strumenti di misurazione che applichiamo loro. Ciò significa che a rigore il termine “illusione”, contrapposto a “realtà”, non ha valenza ontologica né gnoseologica. Ogni volta che noi diamo una descrizione dell’oggetto fondata non sull’esperienza immediata, bensì sull’applicazione di strumenti di misura, ne diamo una descrizione ridotta, una descrizione che esclude determinati parametri a vantaggio di una più esatta analisi dei parametri presi in esame. Una descrizione ridotta è utile per scopi scientifici, ma va considerata con cautela quando si parla di percezione. Il rischio? La perdita della realtà del mondo che ci circonda. Soggetto e mondo sono inscritti nella realtà, in quella stessa realtà che il sapere scientifico intende portare alla luce.

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Note

1  L’esse est percipi, nella lettura di Paolo Bozzi, se applicato metodologicamente, è una guida che ci consente di non sconfinare inconsapevolmente dal sistema di riferimento fenomenologico, intrecciando piani di fatto distinti (e quindi di evitare l’errore dello stimolo); per esempio, le informazioni tratte dagli strumenti di misura rispetto al mondo così come appare nell’esperienza immediata.

2  Il presente saggio riprende e sviluppa un paragrafo contenuto in Taddio 2011 che è la rielaborazione di appunti dei corsi tenuti da P. Bozzi negli a.a. 1992-93 e 1993-94.

3  Cfr. Bozzi 1989: 28.

4Ibidem.

5Ivi: 55.

6 Cfr. ivi: 29 ss.

7  Cfr. ivi: 55.

8Ivi: 57.

9  Agostini 1999: 474 ss. (cfr. Gelb 1929: 594-678 e Kardos 1934).

10  Cfr. Gelb 1929. Per un’analisi dettagliata delle interpretazioni dell’esperimento di Gelb, rinviamo direttamente ad Agostini 1999.

11  Cfr. Agostini 1999: 475.

12Ivi: 474.

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Per citare questo articolo

Notizia bibliografica

Luca Taddio, «Analisi della dicotomia apparenza-realtà: realismo entro i sistemi di riferimento»Rivista di estetica, 51 | 2012, 215-224.

Notizia bibliografica digitale

Luca Taddio, «Analisi della dicotomia apparenza-realtà: realismo entro i sistemi di riferimento»Rivista di estetica [Online], 51 | 2012, online dal 30 novembre 2015, consultato il 29 mars 2024. URL: http://journals.openedition.org/estetica/1412; DOI: https://doi.org/10.4000/estetica.1412

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Luca Taddio

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