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nuove teorie dell'immaginazione

Immaginazione, attenzione e raffigurazione

Cain Todd
p. 89-108

Abstract

Philosophers have long been interested in the various similarities and differences between perception and imagination. One of the most interesting purported differences is the relationship that attention bears to each. Colin McGinn (2004), especially, has provided a comprehensive discussion of these relations, pointing out that imagery, unlike perceptual experiences (percepts), essentially requires attention, presents no equivalent of the visual field for attention to explore, lacks saturation, and cannot provide new information about what is imagined. Moreover, McGinn and others have also maintained that images, like percepts, are transparent. In this paper I will examine all of these claims, arguing first that there are few good reasons to accept the differences between imagery and perceptual experiences in respect of the role that attention is supposed to play in each, and secondly, that in any case the transparency claim is in tension with the other claims made about imagery. I conclude that the most salient difference between imagination and perception consists in the non-attributive phenomenology of the former. Finally, I turn briefly to some implications of this characteristic of imagining for the nature of pictorial depiction, arguing against the plausibility of accounts that attempt to explain it by appealing to the imagination.

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Note dell’autore

Traduzione dall’inglese a c. di Daniela Tagliafico.

Testo integrale

1. Introduzione

  • 1  D’ora in avanti il termine imagery sarà tradotto con “immaginazione sensoriale” o anche soltanto “ (...)
  • 2  McGinn 2004.
  • 3  Si vedano per esempio Hopkins 2010; Martin 2002; O’Shaughnessy 2003.

1I filosofi si sono da sempre interessati alle somiglianze e differenze esistenti tra percezione e immaginazione, intendendo con il secondo termine tutte le forme di immaginazione sensoriale (imagery)1, come per esempio la visualizzazione. Una delle differenze più interessanti che sono state evidenziate consiste nella diversa relazione che queste due facoltà avrebbero con l’attenzione. In particolare, Colin McGinn2 ha discusso ampiamente questa diversità, sottolineando come l’immaginazione sensoriale, a differenza delle esperienze percettive (i percetti), richieda in modo essenziale l’attenzione, ma non possieda qualcosa di equivalente al campo visivo, che l’attenzione dovrebbe esplorare; inoltre, secondo McGinn, l’immaginazione non è mai saturata e non può fornire nuove informazioni riguardo a ciò che viene immaginato. McGinn e altri filosofi hanno anche sostenuto che le immagini, a differenza dei percetti, sono trasparenti. Ciò significa che, quando prestiamo attenzione ai nostri percetti o alle nostre immagini, non c’è una “cosa” interna di cui siamo consapevoli, ma ci sono soltanto gli oggetti rappresentati per mezzo dell’immaginazione o della percezione. In questo McGinn riprende Sartre e Wittgenstein, ma anche altri filosofi hanno sostenuto almeno alcune di queste tesi3.

2In questo saggio esaminerò tutte queste tesi, sostenendo innanzitutto che ci sono alcune buone ragioni per accettare che esistano differenze tra le esperienze percettive e l’immaginazione sensoriale rispetto al ruolo che l’attenzione ha in ciascuna di esse; in secondo luogo, sosterrò che la tesi della trasparenza è in tensione con altre tesi riguardo all’immaginazione sensoriale. Dopo aver esplorato la relazione tra attenzione, immaginazione e trasparenza concluderò che la differenza più importante tra immaginazione e percezione consiste nella fenomenologia non-attributiva della prima. Infine, considererò brevemente alcune implicazioni che questa caratteristica dell’immaginazione ha per la natura della raffigurazione pittorica, argomentando contro la plausibilità di quelle teorie che tentano di spiegarla facendo appello all’immaginazione.

2. La dipendenza dell’immaginazione sensoriale dall’attenzione

  • 4  McGinn 2004: 26.

3Il modo più semplice per cominciare la nostra discussione è quello di partire dalle osservazioni svolte da Colin McGinn su questo tema. Benché per alcuni aspetti le idee di McGinn si ritrovino in molti filosofi che hanno scritto prima e dopo di lui, la sua discussione costituisce la difesa più completa, sistematica e argomentata della tesi secondo cui l’immaginare – e dunque anche l’immaginazione sensoriale – dipende in modo essenziale dall’attenzione. McGinn sostiene che «i percetti e le immagini si relazionano in modo molto differente alla facoltà dell’attenzione. Io posso prestare attenzione a ciò che sto vedendo, o posso non essere in grado di farlo, ma non ho questa scelta nel caso delle immagini: affinché io possa immaginare, devo necessariamente prestare attenzione»4. A ciò si aggiungono alcune altre tesi, che dovremo discutere:

  • 5Ivi: 22.

Noi non abbiamo l’esperienza di osservare nuovi oggetti immaginati nel momento in cui orientiamo il nostro occhio interiore in un’altra direzione5.

  • 6Ibidem.

Neppure esiste una distinzione tra il centro dell’immagine e la sua periferia, con l’attenzione che si concentra sul centro; tutta l’immagine è ugualmente centrale6.

  • 7Ivi: 24.

L’immaginazione visiva rappresenta sì in una modalità spaziale, ma non lo fa inserendo la spazialità dei suoi oggetti all’interno del campo visivo costitutivo del percetto visivo7.

  • 8Ivi: 27.

Provate a concentrarvi su una parte di un’immagine mantenendo inalterato tutto il resto: il meglio che potete fare è sostituire la prima immagine con l’immagine di questa parte8.

4Mentre nel campo visivo sembra che noi possiamo prestare attenzione ai diversi oggetti disposti di fronte a noi, spostando e allontanando la nostra attenzione più o meno volontariamente, e gli oggetti a cui non prestiamo attenzione rimangono per noi tali, nell’immaginazione non c’è niente di simile a questi oggetti, e dunque niente di simile, sotto questo aspetto, al campo visivo. Questa caratteristica sorprendente dell’immaginazione ha condotto McGinn a difendere una tesi molto forte, secondo cui un oggetto non può diventare un oggetto dell’immaginazione a meno che non gli si presti attenzione (nel modo immaginativo); formarsi un’immagine, in questo senso, non è altro che l’atto di prestare attenzione nell’immaginazione.

  • 9  Si veda Wright 2005 per una discussione più articolata.

5Una delle principali argomentazioni in favore di queste tesi è il noto esempio del camionista distratto, proposto da David Armstrong – un esempio che fa appello alle nostre intuizioni per rispondere alla questione se ci possano essere degli oggetti di cui siamo consapevoli ma a cui non facciamo attenzione, ossia se possiamo essere coscienti di cose a cui non stiamo prestando attenzione. La mente del camionista è lontana dalla strada su cui sta guidando: egli sta immaginando la cena che mangerà quando arriverà a casa, e quindi non sta facendo attenzione a ciò che sta vedendo; tuttavia, ha una qualche esperienza visiva della strada davanti a lui9. O, se seguiamo Michael Tye,

  • 10  Tye 2000: 36.

[il camionista distratto] è concentrato sulla filosofia mentre guida sull’autostrada. Di conseguenza è inconsapevole del modo in cui la strada gli appare, delle esperienze visive che sta avendo, e tuttavia le esperienze sono lì. Egli guarda la strada che ha di fronte10.

  • 11  McGinn 2004: 27.

6McGinn riprende questo esempio e lo prosegue, supponendo che ora il camionista sposti di nuovo la sua attenzione sulla strada, distogliendola dalla cena immaginata, e si chiede se le immagini della sua cena sopravvivrebbero a questo spostamento. Secondo McGinn non è possibile, perché queste immagini non sono sostenute da nient’altro che dalla sua attenzione. Al contrario, nel caso della strada percepita, c’è il continuo impatto causale della strada sul suo sistema visivo, che si mantiene per tutto il tempo in cui lui immagina11.

  • 12Ivi: 24.
  • 13Ivi: 28.

7Se queste affermazioni sono corrette, sembra giusto concludere anche che non c’è qualcosa di equivalente al campo visivo percettivo nell’immaginazione. Come dice McGinn, non c’è un limite all’immagine, imposto dai vincoli dell’anatomia ottica e retinica, e dunque non abbiamo l’esperienza di trovare nuovi oggetti immaginati quando orientiamo il nostro occhio interiore in un’altra direzione. Inoltre non c’è neppure una distinzione tra il centro dell’immagine e la sua periferia, con l’attenzione concentrata sul centro: l’immagine è tutta indifferentemente centrale. Provate a focalizzarvi, dice McGinn, su una parte dell’immagine, mantenendo inalterato il resto: il meglio che potete fare è rimpiazzare la prima immagine con un’immagine della parte in questione. McGinn conclude che l’immaginazione visiva rappresenti in una modalità spaziale, ma che non inserisca la spazialità dei suoi oggetti all’interno del campo visivo costitutivo del percetto visivo12. «Potremmo dire», dice McGinn, «che l’immagine è creata da un atto di attenzione, mentre il percetto è generato da uno stimolo esterno»13.

  • 14  In realtà non è del tutto chiaro se la tesi della dipendenza dall’attenzione corrobori queste tesi (...)

8In ciò che segue prenderò in considerazione tre implicazioni principali per la natura dell’immaginazione sensoriale che McGinn trae da queste tesi circa la dipendenza dell’immaginazione dall’attenzione. Primo, nulla nell’immaginazione sensoriale passa inosservato14. Possono esserci aspetti inosservati di ciò che viene percepito, ma non di ciò che viene immaginato. Dal momento che non presto (e forse non potrei prestare) attenzione a tutto ciò che c’è nel mio campo visivo, ci sono aspetti del modo in cui guardo le cose che mi sfuggono: in altre parole, io vedo molto più di quanto posso riferire o di quanto posso ricordare. Questa è la conclusione a cui si giunge quando si considerino casi di oggetti di cui siamo consapevoli ma a cui non prestiamo attenzione, come nell’esempio del camionista. Al contrario, non ci sono aspetti delle immagini che passino inosservati. Dal momento che dipendono dall’attenzione, le loro proprietà sono colte dalle facoltà attentive e dunque non possono sottrarsi alla scoperta. Non c’è alcun flusso di informazione proveniente dall’oggetto che potrebbe condurci a scoprire nuovi aspetti della nostra immaginazione nello stesso modo in cui, invece, potremmo scoprire aspetti delle nostre esperienze visive che prima avevamo trascurato.

9In secondo luogo, a differenza delle esperienze percettive, le immagini sono prive di ciò che McGinn chiama saturazione. Nella percezione il campo visivo è completamente pieno (filled); ci sono molti dettagli del percetto che non vengono notati, e tuttavia saturano il campo visivo. Al contrario, l’immagine può raggiungere questo livello di dettaglio soltanto quando le si presta attenzione. Dal momento che l’attenzione è più ristretta della percezione, le immagini avranno un contenuto relativamente più povero.

  • 15  McGinn 2004: 32-34.

10In terzo luogo, McGinn sostiene che le immagini siano percettivamente non-occlusive15. Quest’idea viene illustrata attraverso due esempi.

  • 16Ivi: 27.

11Guardate qualcosa di fronte a voi, poi formatevi un’immagine di vostra madre: il vostro percetto sopravvive, anche se non gli state prestando attenzione. Ora spostate l’attenzione di nuovo all’oggetto mentre tentate di mantenere l’immagine di vostra madre: non ci riuscirete16.

  • 17Ibidem.

12Provate a formarvi un’immagine visiva e una uditiva simultaneamente; penso che lo troverete completamente impossibile o comunque capirete che dovete distribuire la vostra attenzione per farlo. Ma questo non è ciò che accade quando si hanno percetti visivi e uditivi allo stesso tempo; non si rende necessaria alcuna distribuzione dell’attenzione per portare a termine quest’impresa – anzi, non si tratta affatto di un’impresa. Non richiede alcuno sforzo, alcuna distribuzione forzata dell’attenzione17.

  • 18Ivi: 32-33.

13Queste osservazioni vengono utilizzate da McGinn per sostenere la tesi secondo cui le immagini sono percettivamente non-occlusive. «Io posso guardare una sedia e formarmi l’immagine di una mela. In questo caso sarebbe decisamente sbagliato dire che la mia immagine interferisce con il mio percetto, benché essa distolga l’attenzione da ciò che sto guardando. Io non sono affatto accecato dalla mia immagine»18. Tuttavia non possiamo formarci un’immagine della cosa che stiamo attualmente percependo, e benché le immagini non occludano i percetti, esse si occludono vicendevolmente, e occludono i pensieri. Non possiamo infatti prestare simultaneamente attenzione a due immagini diverse, o a un’immagine e a un pensiero.

14È importante riflettere sulla forza di questi esempi, che sembrano essere esperimenti mentali fenomenologici. Tutti mirano a mostrare che l’immaginare inteso come formazione di immagini sensoriali è attenzione-dipendente, nel senso che non è sostenuto da nient’altro che dall’attenzione, e questa si suppone sia una differenza cruciale con la percezione. Ancora – e paradossalmente, in un certo senso – è proprio perché le immagini sono dipendenti dall’attenzione nel modo che abbiamo descritto sopra che non possiamo prestare loro attenzione. Tuttavia, non penso che questi esempi mostrino davvero questo, in parte perché credo che nessuna di queste osservazioni fenomenologiche sulle nostre esperienze sia banalmente vera, e in parte perché credo che possano essere spiegate meglio nei termini della nostra abilità di distribuire le risorse attentive e per il fatto che l’attenzione è qualcosa di graduale. Al più, gli esempi di McGinn mostrano che, se noi distogliamo completamente la nostra attenzione dall’immagine, allora l’immagine stessa non sarà più mantenuta, ma questa è una verità decisamente triviale circa la natura dell’attenzione e si applica alla percezione non meno che all’immaginazione. In realtà è importante notare che McGinn stesso sembra avere un atteggiamento ambivalente su questo punto, dal momento che talvolta sembra ammettere la possibilità di un’attenzione distribuita e talvolta parla invece della capacità delle immagini di distogliere l’attenzione da qualcos’altro.

15Per vedere questo, torniamo innanzitutto all’esempio del camionista distratto, che gioca un ruolo così importante nell’attuale dibattito sulla relazione tra attenzione e coscienza, ossia rispetto alla questione se si debba prestare attenzione a qualcosa per poterne essere coscienti. In realtà le tesi di McGinn discendono da una risposta negativa a questa domanda, presupponendo dunque ciò che potremmo definire una concezione “ricca” o “spessa” (thick) dell’esperienza percettiva cosciente. Questa posizione viene considerata da molti come la visione del senso comune: noi possiamo essere consapevoli di cose che si trovano nella periferia del nostro campo visivo senza prestare attenzione a esse, per esempio quando stiamo focalizzando la nostra attenzione da qualche altra parte. Potrei non notare o non ricordare certi dettagli di una scena visiva, ma chiaramente c’è un senso in cui essi ricadono nel mio campo visivo e io potrei persino essere in grado, a certe condizioni, di richiamarli alla mente.

16Il problema di questa linea di pensiero, al di là del fatto che possa sembrare di senso comune, è che non costituisce, in se stessa, un argomento, e l’interpretazione degli esperimenti mentali in questione, così come dei vari dati empirici a disposizione, è in realtà controversa.

  • 19  Si veda Wright 2005 per una discussione.

17Il primo problema che incontriamo nasce dalla considerazione degli ormai famosi esperimenti sulla cecità attenzionale (inattentional blindness), come quello di Mack e Rock. Un’alta percentuale dei partecipanti a questo esperimento, a cui viene chiesto di guardare un video in cui alcuni giocatori di basket si passano la palla e di contare quanti passaggi vengono effettuati, infatti, non si accorge che una persona con un costume da gorilla cammina sino al centro della scena osservata e si ferma per alcuni secondi proprio al centro di essa, battendosi il petto, prima di riprendere il cammino e uscire di scena. Questo e simili esempi sembrano difficili da spiegare se non supponendo che, quando l’attenzione viene spostata da qualche altra parte, persino le intrusioni più ovvie e vistose nel campo visivo possono passare inosservate. La consapevolezza cosciente sembra dunque richiedere l’attenzione19.

  • 20  Wright 2005; Prinz 2011.

18I sostenitori di questa spiegazione alternativa dell’esperienza cosciente, inoltre, possono fornire un’altra e più plausibile spiegazione di casi come quello del guidatore distratto. Come hanno sottolineato sia Wright sia Prinz20, guidare è un compito particolarmente impegnativo dal punto di vista cognitivo. Un guidatore completamente distratto, che ignori totalmente le sensazioni visive relative alla strada di fronte a lui, non sarebbe in grado di guidare per molto tempo, e sicuramente non per il lungo periodo di tempo che talvolta viene descritto nella presentazione dell’esempio. Il mondo intorno a noi richiede moltissima attenzione, e anche se alcuni ambienti sono meno impegnativi sotto questo punto di vista, non abbiamo nessun indizio che la guida possa essere sicura nella completa assenza di consapevolezza della strada e del proprio comportamento alla guida, indipendentemente dall’ambiente nel quale ci si trova. Dunque, si sostiene, una spiegazione più plausibile del guidatore distratto è che fosse consapevole della scena visiva che aveva davanti a sé almeno per parte del tempo e che usasse le caratteristiche visive a cui prestava attenzione per dirigere il suo comportamento alla guida. Tuttavia, il fatto di aver rivolto la maggior parte delle sue risorse cognitive a qualche altro compito gli ha impedito di memorizzare i dettagli della sua esperienza. Così, a volte, il conducente potrebbe aver prestato attenzione ad alcune caratteristiche della scena che aveva davanti agli occhi e aver assunto il comportamento appropriato sulla base di ciò di cui era (minimamente) consapevole, e tuttavia potrebbe non conservare alcun ricordo di averlo fatto. Questo spiegherebbe in maniera soddisfacente tanto la sua capacità di mantenere il veicolo sulla strada quanto il suo shock quando torna in sé e si rende conto che era distratto.

  • 21  Wright 2005: 60.

19Secondo questa spiegazione alternativa – che potremmo chiamare la “concezione sottile” (thin view) dell’esperienza cosciente – l’attenzione è necessaria per la consapevolezza cosciente e la nostra impressione che ciò che abbracciamo consciamente della scena visiva sia molto più di ciò a cui prestiamo attenzione è falsa. L’esperienza visiva è molto meno di ciò che incontra i nostri occhi, ma c’è ancora un’opportunità per l’informazione che viene ignorata – e per l’informazione incosciente – di avere un effetto sulla nostra riflessione cosciente circa la scena visiva, conducendoci quindi all’idea che ciò che esperiamo della scena visiva sia molto più dettagliato di ciò a cui prestiamo attenzione21.

20I sostenitori di questa concezione sottile dell’esperienza percettiva cosciente hanno anche una spiegazione pronta per le supposte intuizioni del senso comune dei loro avversari, che accusano di commettere il cosiddetto “Errore della Luce del Frigorifero”. L’errore che compiono nel modo di concepire l’esperienza cosciente è analogo a quello che commetteremmo se pensassimo che la luce del frigorifero è sempre accesa solo perché, tutte le volte che apriamo il frigo per vedere se la luce è accesa, effettivamente lo è. In altre parole, indipendentemente da come le cose ci possono apparire, noi siamo consapevoli della periferia delle nostre esperienze visive soltanto nella misura in cui stiamo rivolgendo loro un po’ di attenzione. Secondo questa teoria noi non abbiamo costantemente le esperienze periferiche che pensiamo di avere. Piuttosto, ogni volta che pensiamo o facciamo introspezione riguardo a esse, necessariamente vi prestiamo attenzione, e dunque otteniamo l’illusione che tali esperienze siano sempre là, indipendentemente dal fatto che noi vi facciamo attenzione oppure no.

  • 22  O’Shaughnessy 2003.

21Vorrei sottolineare che non è mia intenzione decidere in questa sede chi abbia ragione nella disputa riguardo alla natura della consapevolezza cosciente. Semplicemente vorrei notare che è una questione controversa se si possa dare un’esperienza percettiva senza che noi vi prestiamo attenzione, e dunque se si possa dare un’indipendenza della percezione dall’attenzione nel senso in cui la intende McGinn, che proprio rispetto a questa caratteristica traccia la distinzione tra percetti e immagini. Perché, se la concezione sottile dell’esperienza cosciente è corretta, allora non c’è alcuna differenza rilevante tra percetti e immagini: entrambi richiedono l’attenzione. L’attenzione può essere plausibilmente considerata come una risorsa cognitiva, uno “spazio” cosciente che si dà in diversi gradi e che può essere popolato e consumato dagli oggetti della consapevolezza, come sostiene O’Shaughnessy22. Così, come il conducente distratto deve prestare almeno un po’ di attenzione alla strada, in misura sufficiente per evitare un incidente, allo stesso modo anche gli oggetti presenti nella nostra consapevolezza visiva periferica richiedono che sia prestata loro un po’ di attenzione, per quanto minima e soffusa.

22Si noti che, affinché le tesi di McGinn riguardo all’immaginazione sensoriale siano vere, è necessario che una mancanza di attenzione, anche in minimo grado, verso un’immagine annienti l’immagine stessa. Tuttavia, tutto quello che mostrano gli esempi che abbiamo considerato sopra è che tanto le immagini quanto i percetti coinvolgono un po’ di attenzione, e forse anche che le immagini, in generale, richiedono più attenzione, dal momento che non ricevono, come giustamente nota McGinn, alcun input dagli stimoli esterni. In realtà è più plausibile interpretare gli esempi di McGinn non come illustrazioni di ciò a cui presumibilmente possiamo o non possiamo prestare simultaneamente attenzione – con lo scopo di distinguere l’immaginazione dalla percezione – ma come situazioni che coinvolgono una distribuzione delle risorse attentive e diversi gradi di coinvolgimento delle stesse, proprio come avviene anche nel caso della percezione.

23Le tesi di McGinn richiedono almeno un argomento indipendente, che sia in grado di fondare una concezione spessa dell’esperienza percettiva e una sottile di quella immaginativa, ma McGinn non lo fornisce. In assenza di questo argomento, i suoi esempi certamente non sono in grado di corroborare la tesi forte secondo cui le immagini non sarebbero sorrette da nient’altro che dall’attenzione, ossia l’idea che non ci possano essere parti dell’immagine a cui non si presta attenzione.

24Inoltre, come osservazione fenomenologica, mi pare sia semplicemente falso che qualunque grado di inattenzione elimini necessariamente l’immagine. Consideriamo di nuovo il richiamo ai supposti “dati” fenomenologici. L’argomento centrale di McGinn può essere costruito nel modo seguente:

L’attenzione non può essere impiegata senza che vi sia un campo attentivo; non esiste un campo di questo genere nell’immaginazione; dunque, non è possibile prestare attenzione alle proprie immagini mentali.

25Questa conclusione contiene varie implicazioni. Chiaramente implica che non si possa prestare attenzione selettivamente e simultaneamente a un insieme di immagini diverse e anche che non si possa prestare attenzione soltanto alle parti di una data immagine (senza che l’immagine stessa finisca per essere sostituita dalle sue parti), perché l’idea è che nell’immaginazione non ci sono né focus né periferia. Inoltre implica che non sia possibile “scansionare” le proprie immagini per ottenere nuove informazioni, e ancora, che nel prestare attenzione alle proprie immagini non si scopre niente di nuovo riguardo a ciò di cui l’immagine è immagine, ossia ciò che l’immagine rappresenta. Potrebbe anche implicare che, nel prestare attenzione alle nostre immagini mentali, noi siamo consapevoli soltanto di ciò di cui l’immagine è immagine, ciò che l’immagine rappresenta, e non di una qualche proprietà intrinseca, non-rappresentazionale, dell’immagine stessa. Questa è la tesi della trasparenza, su cui torneremo più avanti. McGinn sembra sottoscrivere tutte queste conclusioni, ma il suo argomento sembra fallace, perché ciascuna premessa è dubbia.

26Per iniziare con la seconda premessa, è proprio vero che nella visualizzazione non c’è un equivalente del campo visivo, che invece troviamo nella percezione? Da un lato, è tutt’altro che ovvio, dal punto di vista fenomenologico, che non sia possibile “scansionare” le proprie immagini in modo da poter prestare attenzione a esse. D’altro lato, questa idea sembra essere in tensione con alcune altre tesi di McGinn stesso, che sembrano invece plausibili. Innanzitutto, dal momento che le immagini possono rappresentare oggetti estesi nello spazio (ciò che McGinn chiama la “spazialità dell’immagine”), perché non dovremmo essere in grado di scansionare l’estensione rappresentata e quindi focalizzarci su una parte dell’immagine a spese delle altre? Dopo tutto, un’estensione spaziale è semplicemente un tipo di campo attentivo; in caso contrario, come dovremmo concepire la capacità di rappresentare tale estensione mediante la visualizzazione? In secondo luogo, se le immagini sono trasparenti nello stesso modo in cui si ritiene lo siano le esperienze percettive, allora dovrebbero ovviamente consentirci di prestare loro attenzione, dal momento che la nostra attenzione si concentrerà proprio sugli oggetti rappresentati in modo trasparente nell’immaginazione sensoriale. Come detto, torneremo più sotto sulla questione della trasparenza.

27Consideriamo alcuni esempi. Sembrerebbe che io sia capace di visualizzare un paesaggio concentrandomi su certe parti, mentre altre sono visualizzate solo in modo periferico. Ora, immaginate una tigre con le strisce. Concentratevi sulle sue strisce e cercate di contarle. Non è vero che le altre strisce – quelle che non state contando nell’istante presente – cessano di essere al centro della vostra attenzione? Non possiamo forse immaginare che esse cessino di essere al centro dell’attenzione? Oppure immaginate una giostra di immagini confuse in veloce movimento – come la giostra che ruota al luna park – su cui cercate di concentrare la vostra attenzione rallentandola: vedete le immagini entrare e uscire continuamente dal vostro focus attenzionale. Questi esempi non mi sembrano osservazioni fenomenologiche meno plausibili di quelle proposte da McGinn. Inoltre, non servirà obiettare che essi coinvolgono solo le controparti immaginative della distinzione focus/periferia che abbiamo nell’esperienza visiva reale, perché questo sarebbe comunque sufficiente per concedere che l’attenzione – anche semplicemente un’attenzione immaginata – abbia un qualche ruolo nella visualizzazione. E naturalmente il modo o la fenomenologia del prestare attenzione nell’immaginazione sarà differente da quelli dell’attenzione percettiva, data la differenza assiomatica tra percepire e immaginare; ma non si tratta di una differenza filosofica davvero interessante, né si tratta del tipo di differenza presupposta da McGinn.

28A seconda di come viene intesa, la prima premessa può apparire o un truismo, oppure come una petizione di principio riguardo alla natura dell’attenzione, dal momento che assume che il “campo attentivo” non significhi altro che “campo visivo”. In quest’ultimo caso, se si identifica il fare attenzione con il ricevere nuove informazioni attraverso l’osservazione, allora potrebbe essere vero che, nella misura in cui l’analisi delle immagini non consente la ricezione di nuove informazioni, allora non è possibile prestare attenzione a esse. Ma perché dovremmo porre questo vincolo sull’attenzione in quanto tale? È vero che la percezione sembra consentire questa rivelazione di nuove informazioni e che il prestare attenzione durante la percezione può rivelare nuovi aspetti, ma di nuovo, si tratta soltanto di un’osservazione triviale riguardo all’ovvia differenza che intercorre tra la natura del campo visivo percettivo e quella del campo immaginativo, che certamente non è sufficiente a minare l’applicabilità dell’attenzione all’immaginazione. Dunque l’idea che nell’immaginazione sensoriale non ci sia nulla che passa inosservato, anche se vera, non è sufficiente a escludere che noi siamo capaci di prestare attenzione ad alcune parti di un’immagine, mentre altre parti rimangono alla periferia della nostra attenzione. Nell’immaginazione troviamo quantomeno qualcosa di equivalente a un focus e una periferia dell’attenzione.

29È importante ricordare che parte delle mie critiche a McGinn derivano dal fatto che egli abbraccia la (controversa) concezione “spessa” dell’esperienza cosciente, e sembra anche che la sua teoria implichi o presupponga una concezione “sottile” dell’immaginazione, dal momento che, in un certo senso, è essenzialmente attenzione-dipendente. Anche se questa posizione fosse corretta, McGinn tuttavia non riesce a dimostrare le sue tesi forti, ossia l’idea secondo cui la dipendenza dall’attenzione implica che non ci possano essere parti di un’immagine a cui non si presta attenzione, l’idea che nell’immaginazione non ci sia un equivalente dell’attenzione spaziale e l’idea che non si possa prestare attenzione, in senso stretto, alle immagini. In realtà, una concezione sottile dell’esperienza percettiva cosciente può spiegare, ovviamente, anche il ruolo dell’attenzione nel fornire nuove informazioni, i cambiamenti dell’attenzione, e il fatto che l’attenzione si dia in diversi gradi. Dunque si può avere una concezione spessa o una sottile dell’esperienza cosciente, e una concezione spessa o una sottile dell’esperienza immaginativa, ma in ogni caso sembra che l’attenzione – o il suo equivalente immaginativo – possa svolgere sempre un qualche ruolo in queste esperienze. Infine, ho cercato di mostrare che i cosiddetti “dati fenomenologici” circa questo fenomeno sono quantomeno poco chiari, se non addirittura falsi.

3. La trasparenza e la fenomenologia non-attributiva

30Come abbiamo già detto sopra, una delle tesi chiave di McGinn è che le immagini, così come le esperienze percettive, sono trasparenti. La tesi della trasparenza è da intendersi nel seguente modo:

Tesi della trasparenza: quando presto attenzione alle mie immagini (alle mie esperienze percettive), tutto quello di cui sono consapevole sono le cose che l’immagine (l’esperienza percettiva) rappresenta, ossia il suo contenuto, la cosa di cui l’immagine è immagine.

  • 23  Cfr. per esempio Martin 2002 e Hopkins 2010.

31Anche altri filosofi hanno sostenuto che la visualizzazione, non meno della percezione, sia trasparente23 e l’idea sorge spontaneamente dal desiderio di evitare di pensare le immagini come “cose che stanno davanti alla mente”. Se è vero che le immagini sono trasparenti, avremmo una ragione per ritenere che non si possa prestare attenzione alle immagini come tali, dal momento che noi guardiamo direttamente attraverso di esse e dunque è corretto dire che stiamo prestando attenzione agli oggetti di cui esse sono immagini. Il «realismo ingenuo» di McGinn riguardo alle immagini può essere illustrato da questi due passi:

  • 24  McGinn 2004: 4.

Io sostengo che le supposte operazioni mentali di analizzare e indagare le immagini abbiano come loro oggetto non l’immagine stessa, intesa come una fotografia interna, ma la cosa di cui l’immagine è immagine, che tipicamente è un oggetto concreto (esistente oppure no). Le immagini e i percetti sono dunque simili per il fatto che entrambi sono diretti verso gli oggetti esterni (“realismo ingenuo”): noi vediamo gli stessi tipi di entità tanto con l’occhio della mente quanto con gli occhi del corpo24.

  • 25Ivi: 27.

Per potermi formare e mantenere un’immagine di mia madre, io devo prestare attenzione a mia madre […] Prestare attenzione alla mia immagine di lei sarebbe ancora un altro atto di attenzione, un atto che non devo necessariamente compiere per formarmi l’immagine desiderata25.

32È sufficiente questo per stabilire la dipendenza dall’attenzione e allo stesso tempo l’immunità dall’attenzione, come vorrebbe McGinn? È difficile che possa essere così, dal momento che, se l’immaginazione è trasparente come la percezione, allora perché non potrebbe essere disponibile anche all’osservazione? L’osservazione dell’immagine sarebbe semplicemente l’osservazione dell’oggetto dell’immagine, ma dunque dovrebbe consentire l’osservazione, visto che l’immaginazione sensoriale può avere senza dubbio gli stessi oggetti della percezione. In altre parole, se le immagini sono trasparenti, allora deve poter esistere uno spazio attentivo, proprio come nella percezione. Non ci dovrebbe essere ragione, insomma, di non poter prestare attenzione a una scena visualizzata quando prestiamo attenzione agli oggetti rappresentati dalla scena stessa.

33La posizione di McGinn, tuttavia, deve affrontare un problema ancora più grande, ossia il fatto che le immagini non sembrano essere trasparenti – almeno non nello stesso modo in cui lo è la percezione. L’immaginazione sembra possedere, infatti, due caratteristiche che sono più o meno evidenti nella sua fenomenologia e che sono difficili da riconciliare con la trasparenza: la volontarietà e la non-attributività (non-attributiveness).

  • 26Ivi: 167, n. 19-

34La subordinazione dell’immaginazione alla volontà è, almeno in linea di principio, una tesi familiare e solitamente è considerata come una delle caratteristiche essenziali dell’immaginazione. La volontarietà si riflette e si manifesta nel carattere fenomenico dell’immaginazione, nell’attività del formarsi immagini? Si tratta di domande difficili, più difficili di quanto ritenga, in generale, la maggioranza dei filosofi, e McGinn stesso sembra avere un atteggiamento ambivalente rispetto a esse. Per esempio dice: «è difficile spiegarlo con una certa precisione, ma la labilità e la fugacità delle immagini sono indicative del loro carattere volontario; la loro “leggerezza” si accompagna ai capricci della volontà»26. Tuttavia, McGinn suggerisce anche che la volontarietà possa non essere parte del carattere fenomenico dell’immaginazione sensoriale per sé, quanto piuttosto della consapevolezza generale che deriva dalla riflessione sui nostri stati mentali di prim’ordine. Questa, almeno, sembra essere l’interpretazione della seguente affermazione:

  • 27Ivi: 16-17.

C’è un senso in cui la fenomenologia delle immagini è influenzata dalla loro volontarietà: l’effetto che fa avere delle immagini sembra essere influenzato dal fatto che esse sono il prodotto della volontà; la loro causa è in qualche modo impressa nella loro fenomenologia […] Dunque l’effetto che fa avere un’immagine incorpora il fatto che le immagini sono soggette alla volontà, ma questo carattere di consapevolezza non si impone sulle proprietà intenzionali dell’immagine27.

  • 28  La difficoltà è ancora maggiore quando si prenda in considerazione la possibilità di penetrazione (...)

35La difficoltà qui sta nel decidere che cosa significhi “registrare” nella fenomenologia di un particolare stato, in contrapposizione alla fenomenologia generale dell’essere in quello stato e forse, allo stesso tempo, anche in altri stati. Per esempio, come possiamo separare chiaramente il carattere fenomenico caratteristico della percezione visiva dalla fenomenologia generale di quello stato quando include anche altri pensieri e sensazioni riguardo agli oggetti percepiti28? Non credo che le risposte a queste domande siano così facili da trovare, ma per fortuna non è necessario che cerchiamo di rispondere ora, perché la seconda proprietà dell’immaginazione che oscura la sua trasparenza si manifesta in modo più chiaro, a mio avviso, nel carattere fenomenico dell’immaginazione in quanto tale. Si tratta della sua caratteristica “fenomenologia non-attributiva”.

  • 29  Speaks 2010; Byrne 2001.
  • 30  Macpherson 2006; Speaks 2010; Block 2010.
  • 31  Cfr. Nanay 2010 per una linea di risposta aperta alla posizione intenzionalista. Per le critiche a (...)

36Recentemente si è discusso molto a proposito del ruolo dell’attenzione nella percezione e di una serie di problemi che essa pone per le posizioni intenzionaliste forti riguardo alla percezione, che negano che le esperienze abbiano delle proprietà fenomeniche intrinseche che non siano proprietà rappresentazionali, e sostengono che l’intera fenomenologia sopravvenga sul contenuto rappresentazionale nel seguente modo: necessariamente, se due eventi mentali differiscono nella loro fenomenologia, allora differiscono nel loro contenuto29. Alcuni filosofi, tuttavia, hanno offerto diversi esempi che sembrano mostrare che l’attenzione può fare la differenza nella fenomenologia percettiva di due esperienze visive senza che ci sia alcuna differenza a livello del contenuto rappresentazionale, minando dunque la posizione intenzionalista forte30. Gli intenzionalisti, a loro volta, possono replicare in vario modo, ma il mio intento qui non è di decidere chi abbia ragione; quello che vorrei fare è semplicemente prendere a prestito alcune caratteristiche della fenomenologia dell’attenzione che emergono da questa disputa al fine di chiarire la natura del contenuto emotivo valutativo31.

  • 32  Block 2010.

37A mio avviso l’esempio più convincente tra questi, a mio avviso, e anche il più pertinente rispetto al nostro problema, è quello che ha proposto recentemente Ned Block32. Block ha esaminato un caso in cui si percepiscono due Gabor patch: uno, sulla sinistra, con un contrasto del 22%, l’altro, sulla destra, con un contrasto del 28%. In questo caso la differenza di contrasto del 6% è facilmente percepibile semplicemente guardando ai due patch con il focus dell’attenzione posizionato al centro, tra i due patch, o addirittura, sui due patch contemporaneamente. Tuttavia, quando l’attenzione è concentrata sul patch al 22%, il suo contrasto risulta aumentato, tanto da sembrare identico a quello con contrasto al 28%. Il punto è che l’attenzione focale cambia certe qualità percettive, come il contrasto percettivo, così che nei due casi (quando l’attenzione è spostata a sinistra e quando è diretta al centro) abbiamo due diverse esperienze fenomeniche dello stesso oggetto, che istanzia la stessa proprietà (per esempio un contrasto del 22%).

  • 33  Burge 2010: 53.

38Nel descrivere il ruolo dell’attenzione in questo esempio Block sostiene in maniera convincente che il guardare con maggiore o minore attenzione la stessa cosa – il patch con contrasto al 22% – sono esperienze che differiscono dal punto di vista fenomenico, ma non rispetto alla cosa osservata o alle proprietà che istanzia. Prendendo a prestito un’espressione di Tyler Burge, egli sostiene che l’attenzione manca della «fenomenologia dell’obiettività»: «Il cambiamento provocato dal cambiamento dell’attenzione non sembra essere un cambiamento che avviene nel mondo. C’è qualcosa di fenomenicamente diverso tra il modo in cui appare il patch al 22% quando gli si presta attenzione e il modo in cui appare il patch al 28% quando non gli si presta attenzione, anche se sono identici relativamente al contrasto percepito»33.

  • 34  Watzl 2011.
  • 35Ivi: 153.

39Certamente mi sembra che il tipo di rilevanza o salienza che viene aggiunto dall’attenzione all’esperienza percettiva sia in realtà – o così almeno sembra, a pensarci bene – una proprietà dell’esperienza, piuttosto che una dell’oggetto percepito. Utilizzando un esempio analogo, Sebastian Watzl34 ha anche sostenuto, recentemente, che la rilevanza caratteristica di un oggetto a cui prestiamo attenzione non è, a differenza del colore, esperita come una proprietà dell’oggetto, che esso possiede indipendentemente dal fatto che vi prestiamo attenzione. Watzl caratterizza la natura dell’attenzione nel seguente modo: «Prestare coscientemente attenzione a qualcosa non consiste semplicemente nell’essere coscienti di un certo modo in cui il mondo ci appare (possiede cioè una fenomenologia parzialmente non-attributiva)»35.

  • 36  Cfr. Speaks 2010.

40Una conseguenza che potrebbe essere tratta da queste osservazioni è che l’attenzione ha una fenomenologia parzialmente non-attributiva sui generis. Uno degli aspetti salienti di questa fenomenologia, vorrei suggerire, è il fatto di essere in qualche misura soggetta, come l’immaginazione, alla volontà36. In realtà, questa volontarietà è probabilmente un aspetto naturalmente concomitante della natura parzialmente non-attributiva della fenomenologia dell’attenzione, dal momento che quest’ultima è resa manifesta anche in virtù del fatto che noi stessi contribuiamo, con spostamenti volontari dell’attenzione, alla salienza, rilevanza o determinatezza che gli oggetti del mondo “acquisiscono” quando diventano il focus della nostra attenzione. Tuttavia è importante notare che questa volontarietà è – e può apparirci oppure no come – una questione di grado. Talvolta possiamo deliberatamente focalizzarci su un aspetto a scapito di un altro, oppure possiamo fare attenzione a due cose simultaneamente; possiamo spostare l’attenzione e farla oscillare da un oggetto all’altro, ma possiamo anche focalizzare l’attenzione, accidentalmente o deliberatamente, su proprietà che prima non avevamo notato.

41È a questa idea – l’idea che l’attenzione implichi la volontarietà e che abbia una “fenomenologia parzialmente non-attributiva” – che possiamo far riferimento, vorrei suggerire, per comprendere la fenomenologia e il contenuto intenzionale dell’immaginazione, ivi compresa l’immaginazione sensoriale. Quando visualizziamo qualcosa, noi siamo consapevoli del fatto che questo oggetto e le sue proprietà non sono parte del “tessuto della realtà”, e dunque esse non vengono attribuite a qualcosa di indipendente dalla nostra mente; piuttosto, quando ci troviamo in questo stato, ci è fenomenologicamente evidente che l’immaginazione manca di ciò che Rob Hopkins definisce come «direttezza»:

Direttezza (Hopkins) = Uno stato mentale è diretto se e solo se la sua fenomenologia è la seguente: (1) si ha l’impressione di relazionarsi a cose che esistono indipendentemente dal proprio stato mentale; (2) queste cose sembrano essere i costituenti del proprio stato mentale; (3) la natura di questo stato sembra essere quasi interamente costituita dalla natura di queste cose.

42Se, come sostengo, questa mancanza di direttezza è impressa nella fenomenologia dell’immaginazione, se l’immaginazione sensoriale ha una fenomenologia essenzialmente (e non soltanto parzialmente) non-attributiva, è per lo meno tutt’altro che ovvio che l’immaginazione possa essere trasparente in un modo simile a quello in cui McGinn ritiene che sia, dal momento che, quando portiamo l’attenzione sulle nostre immagini, abbiamo una qualche consapevolezza di questa proprietà.

43Una possibile obiezione a questa linea di pensiero potrebbe consistere nel sostenere che non possiamo davvero prestare attenzione a questa mancanza di direttezza, e quindi che non ne siamo attenzionalmente consapevoli. In altre parole, si potrebbe sostenere che non possiamo prestare attenzione alle proprietà non-rappresentazionali delle immagini, anche se la loro mancanza di direttezza e volontarietà è in qualche modo impressa nella loro fenomenologia. Le proprietà fenomenologicamente rilevanti non sono esse stesse oggetti intenzionali della coscienza, non sono proprietà intrinseche dell’esperienza, a cui si può prestare attenzione. Piuttosto, la consapevolezza di esse è periferica o cognitiva – un po’ come nella percezione.

44Di nuovo, come accade per tutte le affermazioni riguardo a ciò che si riflette o non si riflette nella fenomenologia di un certo stato, è difficile individuare un modo persuasivo di risolvere la questione che non consista in altre affermazioni di tipo fenomenologico. Tuttavia, penso che una concezione più plausibile tanto dell’immaginazione sensoriale quanto della percezione sia ciò che Amy Kind chiama «trasparenza debole», ossia la tesi secondo cui è difficile, ma non impossibile, prestare attenzione alle proprietà fenomeniche rilevanti. Secondo questa teoria è plausibile che l’immaginazione sensoriale presente nella visualizzazione sia più debole, dal punto di vista della trasparenza, rispetto ai corrispondenti stati percettivi, dal momento che gli attributi della volontarietà e della non-attributività sembrano essere il genere di proprietà che distinguono uno stato di immaginazione da una percezione, e dunque sono caratteristiche che possono essere fenomenologicamente presenti e a cui noi possiamo prestare attenzione.

45Naturalmente, per dimostrare questo in modo convincente, avremmo bisogno di essere sicuri della nostra capacità di distinguere la caratteristica fenomenica propria di questo stato da quelle caratteristiche che sono proprie soltanto della fenomenologia globale e che potrebbero non appartenere allo stato in questione. Una parte importante di questo compito consisterebbe nel distinguere l’attenzione percettiva da quella non-percettiva, dal momento che quest’ultima potrebbe essere vista verosimilmente come un tipo di consapevolezza meramente cognitiva della natura non-attributiva dell’immaginazione, per così dire, e non come una proprietà intrinseca del carattere fenomenico dell’immaginazione per sé. In questo articolo, tuttavia, possiamo lasciare da parte questioni così complesse. Per finire, vorrei invece concentrarmi su alcune implicazioni che derivano dalla discussione svolta sinora e che sembrano cruciali per comprendere la natura della raffigurazione.

4. Raffigurazione

46Vorrei iniziare ricordando la tesi di McGinn secondo cui l’immaginazione è non-occlusiva rispetto alla percezione, nel senso che non compete (per l’attenzione) con il nucleo forte percettivo, ma compete invece, fino al punto di essere esclusa, con altre immagini o atti dell’immaginazione. Quello che McGinn ha da dire riguardo alla raffigurazione (depiction) può essere riassunto in quanto segue:

  • 37  McGinn 2004: 53.

Non c’è […] competizione tra il vedere una tela e il vedere la stessa come ritratto di X. Le proprietà visibili di un oggetto non sono occluse dall’immaginare di vederlo [imaginatively seeing it] in un certo modo, ma sono semplicemente integrate in questa attività. L’aspetto che viene immaginato compete con altri atti dell’immaginazione, come ho osservato prima, ma non compete con il nucleo del percetto; al contrario questo nucleo è la conditio sine qua non del vedere-come immaginativo [imaginative seeing-as]37.

47Qui McGinn sembra essere in linea con quelle spiegazioni dell’esperienza pittorica che si richiamano all’immaginazione per spiegare come-che-cosa l’immagine sia vista (what the picture is seen-as), o che cosa sia visto nell’immagine (what is seen-in the picture). Naturalmente questa concezione dell’esperienza pittorica è controversa e non è mia intenzione qui tornare su questo dibattito; piuttosto, vorrei concentrarmi su un problema che si presenta per questo tipo di posizione, un problema che la discussione svolta sino a ora ha contribuito a mettere a fuoco.

  • 38  Stock 2008.
  • 39Ivi: 378.

48Il problema è stato posto originariamente da Malcolm Budd, anche se la sua formulazione corrente è presa a prestito da un’interpretazione dell’obiezione di Budd data da Kathleen Stock38. L’obiezione si fonda sul presupposto – necessario, come abbiamo visto, per McGinn – che immaginare una cosa – avere un’immagine – escluda la possibilità di averne un’altra. Come spiega Stock: «se una persona è impegnata in un atto di immaginazione con un particolare contenuto (per esempio, immaginare che p), non può allo stesso tempo essere impegnata in un atto di immaginazione con un altro contenuto (per esempio, immaginare che q), a meno che non sia impegnata in un atto di immaginazione che unisce questi contenuti (immaginare che [p e q])»39. Ora, supponendo che questo ragionamento sia corretto, Budd sostiene che, qualsiasi cosa una persona stia immaginando durante il vedere-in (seeing-in), apparentemente non c’è un cambiamento nel contenuto di quell’esperienza, neppure se immagina qualcosa di letteralmente irrilevante per il contenuto della raffigurazione. Dunque, nel caso in cui l’osservatore de Il carro da fieno di Constable stia immaginando, per esempio, una navicella spaziale, non sarebbe in grado, secondo questa teoria, di vedere il carro da fieno raffigurato – una conclusione che sembra eccessivamente controintuitiva.

  • 40Ibidem.

49Questo pone una grande sfida a coloro che, come McGinn, sostengono che il vedere-in implichi l’immaginazione. Riconoscendo questo problema, Stock risponde che esso cessa di essere tale se «si scopre che, mentre “si guarda” un dipinto, il fatto che si sia genuinamente concentrati nell’immaginare qualcosa di diverso da ciò che è raffigurato fa sì che noi non siamo più consapevoli – in misura significativa – di quel dipinto, indipendentemente dal fatto che il nostro sguardo sia diretto verso di esso oppure no, o se, quando ci si concentra completamente sul contenuto del dipinto, non è possibile in quel momento immaginare qualcos’altro»40.

50Che cosa dovremmo rispondere? Certamente, trattandosi di una questione di attenzione, si tratta in parte di una questione empirica e psicologica contingente; e certamente ci sono occasioni in cui ciò non avviene, esattamente come un lucido sogno a occhi aperti può distrarci talvolta anche da problemi relativamente pressanti che abbiamo nel mondo reale. Ma si noti, innanzitutto, che se Stock ha ragione, allora la tesi forte di McGinn riguardo alla dipendenza dell’immaginazione dall’attenzione è falsa; si tratterebbe, infatti, piuttosto di una questione di gradi di attenzione, ma la percezione, non meno dell’immaginazione, ammette diversi gradi di attenzione. Dunque, ancora una volta, il tentativo di differenziare la percezione dall’immaginazione facendo appello alla dipendenza della seconda dall’attenzione si rivelerebbe fallimentare. In secondo luogo, se quello che dice Stock è vero, questo mina anche la tesi di McGinn riguardo alla non-occlusività dell’immaginazione nei casi di vedere-in, dal momento che in questi casi una parte dell’attenzione sarebbe distolta dal nucleo percettivo. Effettivamente, tutti i casi di visione contemporanea all’immaginazione pongono un problema per McGinn rispetto alla questione della relazione di immagini e percetti con l’attenzione. In terzo luogo, sembra che la posizione di McGinn riguardo al vedere-in sia in tensione con la sua tesi secondo cui le immagini mancano di saturazione dal momento che, se l’immaginazione si integra con il nucleo percettivo di un’esperienza pittorica, allora non avremmo forse un caso di immaginazione (almeno parziale) che è saturata, visto che si identifica completamente con le proprietà pittoriche della tela, in virtù delle quali l’oggetto raffigurato è raffigurato?

  • 41  Questo articolo si inserisce nel progetto “Immaginazione, emozione e valore”, finanziato dalla Swi (...)

51Dunque, considerato ciò che ho sostenuto sinora – che l’immaginazione può essere soggetta all’attenzione ma non è così fortemente dipendente dall’attenzione – devo rifiutare la tesi su cui si regge l’obiezione di Budd, ossia che nell’immaginazione non si può assolutamente prestare attenzione a più di una cosa per volta. Anziché lasciare una porta aperta all’immaginazione, consentendole di giocare un ruolo centrale nel vedere-in, penso piuttosto che questo suggerisca che il vedere-in può essere concepito plausibilmente come un’attività che non coinvolge affatto l’immaginazione. Questo perché ci sono esempi evidenti del fatto che Stock si sbaglia, esempi in cui l’esperienza visiva di ciò che un’immagine raffigura oppone resistenza all’immaginazione sensoriale e ai diversi progetti immaginativi, indebolendo dunque la tesi secondo cui l’immaginazione sarebbe richiesta per poter avere l’esperienza della raffigurazione. In realtà la fenomenologia della raffigurazione realistica, vorrei sostenere, è attributiva e dunque non può essere un prodotto dell’immaginazione, la quale, come ho affermato prima, ha invece una fenomenologia non-attributiva. Noi semplicemente vediamo Il carro da fieno, e non sembra esserci ragione di pensare che lo immaginiamo, anche se questo vedere pittorico si fonda su certe convenzioni e una certa conoscenza di sfondo. Inoltre, se anche l’esperienza della raffigurazione pittorica coinvolgesse, malgrado ciò che sostengo, l’immaginazione, non sarebbe ovviamente trasparente nei casi di vedere-in, dal momento che, dopo tutto, questi casi sono contraddistinti dal fatto di coinvolgere una duplice esperienza (twofold experience), che tutti riconoscono essere l’aspetto caratterizzante l’esperienza pittorica (l’esperienza di x-raffigurato-in-y), che la distingue dalle normali esperienze percettive (di x). Dunque o l’immaginazione non è (sempre) trasparente nel modo in cui i filosofi hanno sostenuto, o l’esperienza pittorica non implica l’immaginazione. Questa è la problematica disgiunzione che la teoria di McGinn si trova a dover affrontare, ma ho sostenuto che abbiamo buone ragioni per respingere entrambi i disgiunti. Questo significa abbracciare un’idea dell’immaginazione percettiva che assegna all’attenzione un ruolo analogo (benché ovviamente non identico) a quello che essa ha nella normale percezione e, sostengo, una spiegazione più plausibile della raffigurazione pittorica, che evita di chiamare in causa l’immaginazione41.

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Note

1  D’ora in avanti il termine imagery sarà tradotto con “immaginazione sensoriale” o anche soltanto “immaginazione”, laddove il significato sia chiaro e non si renda necessario distinguerla da altre forme di immaginazione [N.d.T.].

2  McGinn 2004.

3  Si vedano per esempio Hopkins 2010; Martin 2002; O’Shaughnessy 2003.

4  McGinn 2004: 26.

5Ivi: 22.

6Ibidem.

7Ivi: 24.

8Ivi: 27.

9  Si veda Wright 2005 per una discussione più articolata.

10  Tye 2000: 36.

11  McGinn 2004: 27.

12Ivi: 24.

13Ivi: 28.

14  In realtà non è del tutto chiaro se la tesi della dipendenza dall’attenzione corrobori queste tesi o se ne sia piuttosto una conseguenza, ma non mi occuperò di questo problema in questa sede.

15  McGinn 2004: 32-34.

16Ivi: 27.

17Ibidem.

18Ivi: 32-33.

19  Si veda Wright 2005 per una discussione.

20  Wright 2005; Prinz 2011.

21  Wright 2005: 60.

22  O’Shaughnessy 2003.

23  Cfr. per esempio Martin 2002 e Hopkins 2010.

24  McGinn 2004: 4.

25Ivi: 27.

26Ivi: 167, n. 19-

27Ivi: 16-17.

28  La difficoltà è ancora maggiore quando si prenda in considerazione la possibilità di penetrazione cognitiva.

29  Speaks 2010; Byrne 2001.

30  Macpherson 2006; Speaks 2010; Block 2010.

31  Cfr. Nanay 2010 per una linea di risposta aperta alla posizione intenzionalista. Per le critiche ad altre possibili repliche intenzionaliste a questo genere di esempi si vedano Speaks 2010, Block 2010 e Watzl 2011.

32  Block 2010.

33  Burge 2010: 53.

34  Watzl 2011.

35Ivi: 153.

36  Cfr. Speaks 2010.

37  McGinn 2004: 53.

38  Stock 2008.

39Ivi: 378.

40Ibidem.

41  Questo articolo si inserisce nel progetto “Immaginazione, emozione e valore”, finanziato dalla Swiss National Science Foundation. Desidero ringraziare il pubblico che ho avuto a Friburgo e a Gargnano per i loro interessanti commenti su precedenti versioni di questo testo.

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Per citare questo articolo

Notizia bibliografica

Cain Todd, «Immaginazione, attenzione e raffigurazione»Rivista di estetica, 53 | 2013, 89-108.

Notizia bibliografica digitale

Cain Todd, «Immaginazione, attenzione e raffigurazione»Rivista di estetica [Online], 53 | 2013, online dal 30 novembre 2015, consultato il 16 avril 2024. URL: http://journals.openedition.org/estetica/1569; DOI: https://doi.org/10.4000/estetica.1569

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Cain Todd

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