Abstract
Se dovessi scegliere un unico libro di Maurizio Ferraris da portarmi sulla proverbiale isola deserta sceglierei Una ikea di università. Lo farei per tre ragioni differenti. La prima è autobiografica: è il libro per merito – o per colpa – del quale ho finito per occuparmi di filosofia. La seconda è estetica: c’è in questo libro una felicità di scrittura che è raro trovare non solo in filosofia ma anche in letteratura; forse mi lascio condizionare da fattori idiosincratici, ma per me Una ikea è uno dei testi italiani più belli degli ultimi vent’anni. Infine c’è una terza ragione che è propriamente filosofica. Per come vedo io le cose, è in Una ikea che si compie la svolta decisiva nel percorso filosofico di Ferraris; è in questo libro – a partire dalla riflessione su natura e funzione di un peculiare oggetto sociale, l’università – che si gettano le basi delle dottrine a venire: la documentalità e il nuovo realismo. Nel mio saggio mi propongo dunque di rileggere Una ikea con il senno di poi, mostrando che i principi fondamentali della documentalità e del nuovo realismo erano già all’opera, in forma di vivide intuizioni, ben prima che queste teorie ricevessero un nome proprio e una trattazione sistematica. In particolare, è in Una ikea che Ferraris mette a punto il principio critico-metodico che da lì in poi guiderà l’intera sua ricerca: «Uno potrebbe opporre che qui si ha a che fare con una classica confusione tra ontologia e qualcosa che non è ontologia (e può essere tante altre cose: ermeneutica, filosofia della storia, psicologia delle visioni del mondo, storia delle mentalità, teoria della scienza, o al limite animismo, come ai tempi dei druidi). Come a dire che si confonde il fatto – del tutto indipendente dall’iniziativa umana – per cui c’è qualcosa, con il fatto che si possa descrivere quel qualcosa in tanti modi, e che in questa descrizione siamo relativamente liberi» (Una ikea di università: 42).