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Publicly Available Published by De Gruyter (A) September 9, 2018

Una polemica cruciale: Celso e Origene in tema di corporeità

  • Giorgio Camassa EMAIL logo
From the journal Klio

Riassunto

Attraverso le pagine di Celso e di Origene vediamo delinearsi due Weltanschauungen contrapposte. La prima esclude un intervento attivo di Dio nel mondo, ipostatizza l’ordine di cose esistente, privilegia rigorosamente la cura dell’anima, nega che l’uomo possa far affidamento sul corpo (e sulla carne) per raggiungere la meta cui deve tendere, irride come irragionevoli e blasfeme sia la credenza nell’incarnazione sia quella nella resurrezione. La seconda è decisamente più sfaccettata. Il corpo per un verso sembra costituire un gravame, se è vero che le creature razionali cadono in un soma a seguito della trasgressione originaria cui le conduce l’esercizio del libero arbitrio; per l’altro è anch’esso un portato della creazione divina (come tale preordinata a fin di bene) e dall’inizio il Figlio pervade il mondo nella sua consistenza materiale, sino a che si produce il decisivo evento dell’incarnazione; alla fine dei tempi avrà luogo senza dubbio la resurrezione che chiama in causa una volta di più il corpo (o comunque un corpo), in quanto l’esistere creaturale sembra inseparabile da una dotazione corporea. A partire da questo quadro complesso e almeno in parte aporetico si profila – all’interno della seconda Weltanschauung qui considerata attraverso la lente di Origene – una linea di tendenza, che cerca di sciogliere i nodi problematici persistenti negando essere la materia causa del male e rivendicando al corpo nato dalla vergine la capacità di salvare l’umanità.

Summary

By means of Celsus’ and Origen’s works, two opposing worldviews take shape. The former excludes any active intervention by God in the world, hypostatizing the existing state of things, while rigorously focusing on the care of the soul. It also rejects the possibility that humankind may rely on the body (or the flesh) in order to attain the goal towards which it strives, and mocks belief in both the incarnation and the resurrection as irrational and blasphemous. By contrast, the latter worldview is multifaceted. On the one hand, the body is seen as a burden, to the extent that rational beings may fall into a soma as a consequence of the original infringement that the exercise of free will led them to; while on the other, the body is also a result of the divine creation (and as such pre-ordained to produce good). However, from the beginning the Son has pervaded the world in its material consistency, until the crucial event of the incarnation intervenes; at the end of times, resurrection will undoubtedly occur, by means of which the body (or in any case a body) once again takes centre stage, because creaturely existence may not be dissociated from bodily endowment. Starting from this complex and at least partially aporetic picture, a tendency emerges – within the second worldview considered here from the point of view of Origen – to solve any persistent problems by denying that matter is the cause of evil and claiming on behalf of this body born of the Virgin the capacity to save humankind.

1) Il mondo di Celso

Solo attraverso le pagine del Contro Celso di Origene che compongono un’imponente confutazione riusciamo a farci un’idea, non di rado precisa e circostanziata, dell’Alethes Logos di Celso. Si è molto dibattuto sulla fisionomia intellettuale di questo autore e sulla cronologia del suo scritto, il cui titolo sarà da intendere preferibilmente come Dottrina veritiera o come Discorso di verità. In ogni caso, il Celso dell’Alethes Logos si colloca all’interno della corrente di pensiero complessa e versicolore, che spicca per il profondo intreccio di filosofia e religione, ormai comunemente definita „medioplatonismo“;[1] quanto alla datazione della Dottrina veritiera (o Discorso di verità), dobbiamo accontentarci di fornire coordinate temporali piuttosto vaghe – l’ultima parte del II secolo d. C.? –, di modo che l’articolata replica di Origene si collocherebbe qualche decennio dopo l’opera in cui erano state poste le basi dello scontro: il Contro Celso sembra infatti da porre negli anni ’40 del III secolo.[2]

Poiché Origene in varie occasioni ha cura di riprodurre, come abbiamo accennato, gli ipsissima verba dell’avversario, siamo in grado di ricostruire per grandi linee il sistema di pensiero di quest’ultimo.[3] Così per Celso, Dio è buono, bello, felice e si trova nello stato più bello e più perfetto; se Dio discende fra gli uomini, deve subire un mutamento dal bene al male, dal bello al brutto, dalla felicità all’infelicità, dalla somma perfezione alla somma imperfezione: una degradazione palesemente assurda, che ripugnerebbe alla divinità. Cambiare e trasformarsi pertengono alla sola natura mortale, laddove quella immortale rimane nella stessa e identica condizione.[4] Dio è caratterizzato emblematicamente attraverso la teologia negativa o apofatica: non ha né bocca, né voce, non ha nessun’altra delle qualità che conosciamo;[5] egli non ha creato l’uomo a sua immagine: infatti non è come l’uomo e non è simile ad alcun’altra forma;[6] a differenza di quanto sostenuto dai cristiani – argomenta l’autore dell’Alethes Logos, che Origene perciò accusa di mendacio –, Dio non partecipa della figura, del colore, del movimento e dell’essere;[7] egli è inaccessibile attraverso il linguaggio[8] e non può esser nominato: non subisce nulla che sia suscettibile di esser compreso in un nome, è al di fuori di ogni determinazione[9].

Ancora, la genesi del male non è facile da conoscere per colui il quale non si sia dedicato alla filosofia, asserisce Celso, che aggiunge: „basti dire, a uso della folla, che non da Dio proviene il male, ma è insito nella materia e convive con quanto è mortale […]“.[10] Si prospetta dunque, in ordine al rapporto fra Dio e mondo, una forma di dualismo che è abbastanza usuale per i medioplatonici[11] e non appare facilmente conciliabile con alcune istanze[12] del cristianesimo – quanto meno con quelle di una parte della Grande Chiesa.

Comprendiamo agevolmente sulla scorta di una ricognizione anche così sommaria come, secondo l’Alethes Logos, Dio non possa assumere un corpo mortale: la dissimmetria, anzi l’abisso che si apre fra le due entità (l’una superna e inalterabile, l’altra mutevole e caduca) è incolmabile. L’assunto dell’incarnazione si converte pertanto in uno dei principali capi d’accusa che Celso muove al cristianesimo, al quale viene contestualmente quanto prevedibilmente imputata la fede nella resurrezione. L’incarnazione come la resurrezione esprimono, per l’autore dell’Alethes Logos, uno smodato attaccamento al corpo e, attraverso il corpo, alla realtà deperibile che circonda l’uomo e di cui egli stesso è in parte composto.

Trasceglieremo solo qualcuna delle proposizioni pertinenti di Celso,[13] da considerare congiuntamente a quelle parafrasate o riportate in precedenza. I cristiani – leggiamo – credono che Gesù, pur dotato di un corpo mortale (ἐκ ϑνητοῦ σώματος), sia Dio e così facendo ritengono di agire in modo pio (ὅσια δρᾶν).[14] Ci si sentirebbe autorizzati a inferire da questo pur minuscolo lacerto che la fede in un Dio fattosi uomo sia, per l’autore dell’Alethes Logos, irragionevole e che vada bollata come empia.[15] Ma entriamo, attraverso un cospicuo excerptum riportato come sempre da Origene, in più riposte stanze del laboratorio teorico di Celso: „E ancora, come non considerare assurdo da parte vostra l’anelare al corpo (τὸ μὲν σῶμα ποϑεῖν), lo sperare che risorgerà identico a sé stesso, come se per noi non esistesse nulla di più importante o di più prezioso e poi viceversa l’abbandonarlo ai supplizi come cosa spregevole? Ma non vale la pena di discutere con chi ha simili convincimenti ed è avvinto al corpo […]“.[16] Il discorso si fa altrove più disteso, nelle sue prime movenze quasi godibile, salvo poi utilizzare l’effetto determinato nel lettore dal sarcasmo per la riaffermazione di un indiscutibile verbo filosofico:

„Ed è stolto da parte loro anche il credere che, quando Dio come un cuoco avrà acceso la fiamma, tutto il resto del genere umano sarà abbrustolito e sopravvivranno unicamente loro: non solo i vivi, ma anche quelli morti da tempo, che risorgeranno dalla terra con la loro carne di prima – speranza semplicemente da vermi! Quale anima umana, infatti, anelerebbe ancora a un corpo putrefatto? […] E quale corpo completamente corrotto sarebbe in grado di tornare alla sua natura originaria e a quella composizione primigenia a partire da cui si è dissolto? Non sapendo fornire altra risposta, essi ricorrono all’assurda scappatoia secondo cui a Dio tutto è possibile. Ma certo Dio non può compiere cose vergognose, né vuole farne contro natura […]. Perché Dio non fonda impulsi oltraggiosi né disordini aberranti, ma una natura retta e giusta. All’anima egli potrebbe offrire una vita eterna […]. Quanto alla carne, piena di ciò che è meglio non nominare (σάρκα δὴ μεστήν, ὧν οὐδὲ εἰπεῖν καλόν), Dio non vorrà né potrà, irragionevolmente (παραλόγως), renderla eterna. Egli infatti è la ragione (λόγος) di tutto quel che esiste e quindi non può fare nulla né contro la ragione (παράλογον) né contro sé stesso.“[17]

Merita di essere riproposto, infine, un brano in cui la „Stimmung“ di Celso si fa meditata e riflessiva: giungiamo così alla sezione che contiene il nucleo propositivo dell’Alethes Logos.[18] „Ma essi [i cristiani] torneranno a chiedere: ‚Come conoscere Dio, se non cogliendolo attraverso i sensi? Che cosa si può apprendere senza l’uso dei sensi?‘. Questa non è la voce dell’uomo né dell’anima, ma della carne.[19] E tuttavia mi prestino ascolto, posto che da razza vile e amante del corpo quali sono[20] riescano a comprendere qualcosa (εἴ τι καὶ ἐπαΐειν δύνανται ὡς δειλὸν καὶ φιλοσώματον[21] γένος). Se chiusi gli occhi ai sensi guarderete in alto con l’intelletto, se volte le spalle alla carne desterete gli occhi dell’anima, solo allora vedrete Dio. E ove cerchiate chi possa guidarvi su questa strada dovete evitare gli impostori, i ciarlatani e i corteggiatori di idoli fantastici (εἴδωλα)[22] – per non coprirvi completamente di ridicolo, oltraggiando come idoli gli altri dèi che si manifestano e venerando invece quello che è ancor più miserabile degli autentici idoli, anzi, non è nemmeno un idolo, ma in effetti un morto, a cui cercate un padre che gli assomigli“[23].

Quando è in questione il fine cui deve tendere l’uomo, il corpo e la carne[24] non sono minimamente affidabili per Celso. Il quale traguarda l’universo munito del verbo di Platone[25] e dell’esegesi che attorno ai suoi insegnamenti si è lungamente esercitata. Il deprezzamento della materia, del mondo sensibile, secondo questa lettura esclude ogni propensione a far leva su di essi – e dunque sul corpo, sulla carne – per indicare all’uomo la meta suprema. L’incarnazione di Dio, la resurrezione della sarx sono vaneggiamenti irragionevoli e blasfemi di chi non sa sottrarsi alla fascinazione del soma, di chi si perde nei meandri della sensorialità, di chi nulla ha inteso del vero discorso su Dio e sul divino. Corpo e mondo sensibile vengono compressi in un ‚al di qua‘ che non lascia adito a prospettive ulteriori.

Il termine e il concetto di soteria possiedono nell’Alethes Logos un significato, un valore in linea con la tradizione filosofica greca di ascendenza platonica – un significato, un valore, va da sé, ben diversi da quelli che ci sono familiari attraverso il pensiero e gli scritti degli avversari di Celso, i cristiani (fra i quali egli annovera gruppi che saranno poi condannati come eretici dalla Grande Chiesa). Attingendo la formulazione seguente quanto meno in parte al decimo libro delle Leggi platoniche,[26] l’autore dell’Alethes Logos afferma che „ogni cosa nasce e perisce in vista della salvezza del tutto (τῆς τοῦ ὅλου σωτηρίας ἕνεκα)“; i beni e i mali esistenti fra i mortali non potrebbero diminuire o aumentare di numero: Dio non agisce come fa un uomo quando ha costruito in modo impreciso e dunque non apporta (né deve apportare) una correzione al cosmo.[27] È insomma inammissibile qualsiasi nuovo intervento della divinità rispetto al tutto, che vive in una regolarità costante e inalterabile. Questa immagine di un universo in sé concluso, nei cui ritmi la divinità non interferisce – né avrebbe senso interferisca –, riflette un’idea della soteria, come (auto)preservazione di ciò che è nel suo insieme perfetto,[28] remota da quella cristiana.[29]

2) Origene: il trattato su I princìpi

Il regime della corporeità costituisce un nodo molto complesso del pensiero di Origene,[30] ragion per cui la nostra analisi si rivelerà inevitabilmente parziale.[31] Il punto di partenza sarà rappresentato dal trattato su I princìpi del periodo alessandrino e quello di approdo da opere composte a Cesarea nella tarda maturità, come il Commento alla Lettera ai Romani e il Contro Celso.[32]

Le creature razionali sono state create da Dio tutte eguali e sembrano preesistere al corpo,[33] che assumono per aver deviato dal bene:[34] infatti, se alcune restano in qualche misura aderenti all’atto di bontà di chi le aveva tratte all’essere, altre ne prendono le distanze in modo ora più ora meno marcato;[35] ne consegue la caduta nel mondo materiale,[36] mondo che Dio ha voluto (la materia non è dunque coeterna a Dio, ma egli l’ha creata ex nihilo) vario e distinto, conforme alla diversità di condizioni nelle quali il peccato ha posto le creature medesime. La caduta è determinata dall’esercizio del libero arbitrio di cui la divinità le ha dotate. Del resto il bene inerisce loro per accidente – soltanto la divinità che le ha create possiede l’essere [= il bene] sostanzialmente:[37] ciò significa che esse possono compiere scelte diverse, in ragione delle quali sono spinte in varie direzioni. Sono insomma le creature razionali a orientarsi verso il bene o il male, dopo di che si produce l’abbinamento di ognuna a un corpo corrispondente alle sue tendenze. La materia verso cui cadono è segnata, in un tutt’uno con la corporeità,[38] da imperfezione mutevolezza diversità.[39] Per contro perfezione immutabilità identità inalterabile costituiscono un requisito essenziale delle tre persone della Trinità, totalmente incorporee.[40] Nel trattato su I princìpi sembra pertanto stabilirsi una corrispondenza da un lato fra corporeità e imperfezione mutevolezza diversità, dall’altro fra incorporeità e perfezione immutabilità identità inalterabile.[41] Corrispondenza emblematica, ma che si inscrive entro una categorizzazione a blocchi contrapposti, entro una contrapposizione in termini assoluti.[42]

Comunque il mondo non viene lasciato a sé stesso, né è svalutato radicalmente. Vediamo per quale motivo. A parte il fatto che la stessa materia è creazione divina (e così non può coincidere col male), sin dall’inizio il diuturno collegamento fra Dio Padre e il mondo è assicurato dal Figlio unigenito, che pur nella sua trascendenza pervade ogni cosa.[43] Strumento dell’azione provvidenziale divina, nella pienezza dei tempi egli si è fatto uomo, composto – come tale – di corpo e anima. Ebbene, fra tutte le creature razionali un’anima dall’inizio „ha aderito inseparabilmente e indissolubilmente a lui [il Figlio] in quanto sapienza parola di Dio verità luce e, accogliendolo tutta tutto, lasciandosi penetrare dalla sua luce e dal suo splendore, è entrata a formare un unico soffio (unus spiritus) con lui […]“. Era indispensabile che la sostanza di quest’anima svolgesse una funzione intermediaria: non enim possibile erat dei naturam corpori sine mediatore misceri;[44] detto altrimenti, la sapienza divina non avrebbe potuto trasfondersi direttamente in un corpo. Realizzatasi tale unione, è intervenuta l’incarnazione attraverso il ventre di una donna.[45]

Che cosa si produrrà alla fine dei tempi? Senza dubbio la resurrezione dei corpi[46] avrà luogo e l’identità di ciascuno verrà assicurata dall’eidos, dalla forma che segna il corpo e lo rende unico, lo rende non permutabile (inconfondibile) nonostante tutte le vicende cui il soma va naturalmente soggetto.[47] In fatto di resurrezione la concezione prevalente di Origene – ha osservato un suo interprete – è pertanto quella di un corpo di per sé inerente a ogni creatura razionale, „formato di materia capace di modificarsi continuamente cui una forma immutabile assicura continuità e unità attraverso […] successive trasformazioni. In tal modo Origene può ammettere una condizione finale del corpo di tale sottigliezza lucentezza e perfezione da […] fungere da rivestimento dell’anima tornata nella primitiva condizione di perfezione e perciò alla contemplazione di Dio […]“.[48] Sia pure ammettendo una serie di indispensabili passaggi la vicenda del corpo, come si vede, non è connotata negativamente. D’altra parte Origene propone anche l’eventualità della completa incorporeità quale condizione finale delle creature razionali:[49] esse recupererebbero allora l’incorporeità che le caratterizzava al momento della creazione, in una prossimità a Dio da allora non più attinta. Insomma, per esprimersi in termini più chiari anche se necessariamente approssimativi vista la complessità dell’argomento e la plurivocità delle posizioni origeniane, è la corporeità un dato da cui le creature razionali non possono prescindere, oppure si deve ipotizzare un loro finale (e rinnovato) approssimarsi a quell’incorporeità che qualifica naturaliter solo le tre persone della Trinità? Ma in quest’ultimo caso come rappresentarsi un esistere, un esistere creaturale (delle creature razionali), senza corpo? Origene sembra lasciare la questione aperta.[50] Comunque – si noti –, egli ha cura di precisare più volte che questo mondo non è l’unico: altri ve ne sono stati e altri ancora verranno, di modo che la vicenda della salvazione e della reintegrazione si perpetua (si perpetuerà) a lungo.[51]

3) Origene: i frammenti del Commento a Genesi

Nello stesso periodo in cui attende a I princìpi e li conclude (anteriormente al definitivo spostamento a Cesarea nel 232), Origene produce almeno i primi otto libri del Commento a Genesi, che è per noi purtroppo perduto e di cui possiamo tentar di ricostruire la sostanza concettuale solo attraverso la tradizione indiretta o altre opere origeniane.[52] Ai nostri fini è rilevante comprendere attraverso quale strategia interpretativa fossero posti in relazione fra loro tre brani fondamentali del I libro del Pentateuco, da sempre al centro del dibattito esegetico: 1, 26–27 (l’uomo viene creato da Dio a sua immagine); 2, 7 (Dio plasma l’uomo dal fango); 3, 21 (i protoplasti vengono muniti da Dio di tuniche di pelle). Poiché per Origene Genesi 1, 26–27 delineava la creazione da parte di Dio dell’uomo interiore, dell’anima razionale, c’è da chiedersi in che modo avvenisse o si sviluppasse agli occhi dell’autore del Commento a Genesi la creazione del corpo. Restavano infatti sul tappeto ancora due passi (appunto Genesi 2, 7; 3, 21) per spiegare come l’uomo fosse dotato della struttura composita che lo caratterizza agli occhi di Origene.[53] Questi ha prospettato una successione in base alla quale prima veniva plasmato (nell’Eden, che per Origene non parrebbe avere consistenza reale, bensì figurale) un corpo sottile, etereo e poi un corpo terreno, pesante?[54] Oppure per Origene „entrambi i passi [Genesi 2, 7 e 3, 21] simbolizzavano lo stesso evento, la dotazione di un corpo a un’anima precedentemente incorporea che lasciava il paradiso per questa terra“?[55] Come che sia, sembra profilarsi un collegamento fra l’ermeneutica – di cui abbiamo schizzato qualche tratto – prospettata nel Commento a Genesi e la preesistenza delle creature razionali, alla quale faceva seguito la loro caduta in un corpo, teorizzata ne I princìpi.[56]

Volendo stilare un bilancio intermedio (con specifico riguardo al periodo alessandrino) e adottare ancora una volta un linguaggio certo più corrivo di quello origeniano, ci si sentirebbe autorizzati a dire che il regime della corporeità – alla luce del trattato su I princìpi e forse del Commento a Genesi – è solo entro certi limiti un regime di minorità, peraltro necessario all’esistere fisico. Comunque la corporeità in un tutt’uno con la materia, creazione divina (ciò che non andrebbe dimenticato), è permeata anch’essa ab ovo dal continuo effondersi nel mondo del Figlio unigenito sino all’apice mirabolante dell’incarnazione.

4) Origene: Dialogo con Eraclide, Commento alla Lettera ai Romani e Contro Celso

L’Origene della tarda maturità ha modificato o comunque in qualche misura delucidato la propria concezione della materia e della corporeità?[57] E soprattutto, ciò che sarebbe assai importante ai nostri fini, egli tende a stabilire un rapporto più stretto fra corpo – quel corpo che nel trattato su „I princìpi“ era ontologicamente inferiore all’anima, per così dire suo strumento[58] – e salvezza? Non si tratta qui di chiamar semplicemente in causa affermazioni come quella contenuta nel Dialogo con Eraclide, databile fra il 244 e il 249, dove si rimarca che il Cristo „volendo salvare l’uomo nel modo in cui volle salvarlo (ϑέλων ἄνϑρωπον σῶσαι ὥσπερ ἐϑέλησεν σῶσαι), volle pertanto salvare così il corpo (σῶμα), come volle del pari salvare l’anima (ψυχὴν) e volle salvare il resto dell’uomo, il soffio divino (πνεῦμα); l’uomo non sarebbe stato salvato nella sua interezza se egli [il Cristo] non avesse rivestito l’uomo nella sua interezza“.[59] L’affermazione secondo cui attraverso il sacrificio del Cristo viene salvato tutto l’uomo, l’uomo nella sua completezza tricotomica, che nella fattispecie include in primo luogo il corpo, è certo importante, ma non nuova:[60] in ogni caso, essa non ci permette di fornire una risposta ai quesiti posti dianzi (ricordiamo: l’Origene della tarda maturità ha mutato o quanto meno chiarito la concezione della materia e della corporeità esposta nel trattato su I princìpi? In particolare, ha delineato un rapporto più stretto fra corpo – un corpo rinnovato – e salvezza?).

Conviene senz’altro allargare l’analisi a scritti come il Commento alla Lettera ai Romani (pervenutoci ancora una volta nella traduzione latina di Rufino, a parte i frammenti conservati dalle catene, i passi della Filocalia, gli estratti trasmessi dal papiro di Tura) e il Contro Celso. Nell’accingerci a farlo, bisogna tuttavia tener presente che diverso è il pubblico cui le due opere si rivolgono.[61] Il Commento alla Lettera ai Romani, composto fra il 244 e il 248, ha un obiettivo polemico dichiarato: la denigrazione dell’esistenza materiale e in particolare del corpo umano da parte degli ‚gnostici‘.[62] La bontà del corpo è per Origene fuori discussione, in quanto svolge la funzione essenziale di unirci a Dio. Nessuno deve vergognarsi della natura del proprio corpo;[63] non solo: il corpo, naturalmente incontaminato, è un sacrificio vivente e santo e gradito a Dio.[64] Tuttavia, il discorso sulla corporeità si rivela più ampio di quello che concerne il solo corpo. Ed ecco allora articolarsi la relazione fra soma e sarx, del resto preminente nel pensiero paolino. Bisogna evitare di farsi servi della carne, tendenzialmente correlata al peccato. Solo nel Cristo sia la carne sia il corpo sono entità indiscutibilmente positive, proprio in quanto egli è mondo da ogni peccato. In ogni caso l’evento straordinario dell’incarnazione conferma la bontà della creazione divina e la dignità della corporeità umana.

Il Contro Celso si segnala per una molteplicità di spunti del massimo interesse. L’autore della Dottrina veritiera aveva fra l’altro affermato che il male è presente nella realtà in una misura stabilmente definita e la sua origine sempre la stessa,[65] aggiungendo con qualche dose di nonchalance che esso è immanente nel mondo, costitutivo della sua consistenza materiale („basti dire, a uso della folla, che non da Dio proviene il male, ma è insito nella materia e convive con quanto è mortale […]“).[66] La replica di Origene è serrata: non corrisponde a verità l’affermazione secondo cui il male nel mondo rimane in una quantità sempre eguale e la sua genesi si rivela ogni volta la stessa; inoltre (e soprattutto) viene specificato: „per noi non è affatto vero che la materia, la quale ‚convive con quanto è mortale‘, sia causa del male“.[67] Queste parole sono stringate ma cristalline e il „per noi“ aggiunge una specificazione essenziale. Del resto, nella prospettiva origeniana come potrebbero i cristiani riconoscere a ciò che è stato creato da Dio il carattere della negatività intrinseca? Il male per Origene non nasce dalla materia[68] – il ‚principio direttivo‘ di ciascuno è responsabile della malvagità di lui e il male coincide con le azioni derivanti da essa.[69]

Spostiamoci adesso al libro sesto dell’opera. Nel controbattere l’accusa di Celso, per il quale era inconcepibile che Dio, volendo inviare sulla terra il soffio (πνεῦμα) proveniente da sé, lo insufflasse nel ventre di una donna – „poiché sapeva già plasmare gli uomini, avrebbe potuto modellargli intorno un corpo (σῶμα) ed evitar di gettare il proprio soffio in tanta sozzura; così, generato direttamente dall’alto, non sarebbe stato misconosciuto“ –,[70] Origene osserva anzitutto: „Dice questo per non aver compreso la nascita verginale,[71] pura ed esente da ogni corruzione, del corpo che doveva servire alla salvezza[72] degli uomini (τοῦ μέλλοντος ὑπερετήσασϑαι τῇ ἀνϑρώπων σωτηρίᾳ σώματος).“. Quindi Origene procede a riformulare l’accusa di Celso – „egli pensa […] che la natura divina sia stata gettata in una lordura e sia contaminata tanto per aver trovato ricetto in un corpo di donna […] quanto per aver assunto un corpo“ –, contestando all’antagonista di ragionare alla maniera di coloro i quali ritengono che i raggi del sole si contaminino penetrando nei pantani o nei corpi putridi e non rimangano puri persino colà.[73] Nella fattispecie Origene utilizza a fini polemici un argomento (anche nei recessi più squallidi i raggi del sole restano immuni da qualsivoglia contaminazione) senza dubbio assai celebre:[74] ciò che gli interessa è mostrare quanto fosse vieto il modo di procedere dell’avversario e certo mai si sarebbe riconosciuto nella qualificazione dell’utero (di Maria) come luogo infimo, qualificazione che in linea puramente teorica si sarebbe potuta desumere da quell’argomentare. Chiarito il complesso del ragionamento svolto nel Contro Celso, conviene ritornare alla frase di prima in cui emerge, con un ardore insieme concentrato e controllato, la dichiarazione di fede dell’autore: „Dice questo per non aver compreso la nascita verginale, pura ed esente da ogni corruzione, del corpo che doveva servire alla salvezza degli uomini“. Si noti come Origene, là dove Celso si faceva gioco della modalità attraverso cui Dio aveva effuso il proprio soffio, non si conceda nessuna diversione rispetto alla verità che gli preme asserire e vada dritto al punto; è naturalmente possibile che proprio l’esigenza di incalzare Celso, su un terreno su cui l’esprit beffardo e iconoclasta dell’autore dell’Alethes Logos era ben munito o comunque pronto a colpi d’incontro capaci di lasciare il segno, inducesse l’avversario a comprimere lo sviluppo del proprio pensiero; resta il fatto che Origene, il quale scrivendo I princìpi si era limitato a sottolineare il portentoso ingresso della sapienza divina in vulvam feminae, nel Contro Celso si attiene a un ben preciso ordine del discorso – a una gerarchia valoriale? – focalizzando l’attenzione sul „corpo che doveva servire alla salvezza degli uomini“ e facendo intervenire la nascita verginale da Maria.[75] Il caso in esame è senza dubbio notevole, ma non isolato: il nesso diretto fra il soma colmo del soffio divino e la soteria segna altre pagine di quest’opera.[76] Dunque, il Contro Celso ci trasmette un’idea della relazione corpo (divino)-salvezza che è di strettissima vicinanza, in quanto l’uno si fa strumento dell’altra. Ciò avviene, lo ribadiremo, nello stesso scritto in cui l’autore nega a chiare lettere essere la materia causa del male.

Il tema dell’assunzione del soma (corpus nella versione di Gerolamo), da parte di Gesù, ai fini della soteria (salus sempre nella traduzione ieronimiana) si ripresenta in un quadro segnato dalla costante presenza della verginità di Maria nelle Omelie su Luca[77] e ulteriore luce sul rapporto corpo (divino)-salvezza getta la formula σωτήριον σῶμα, „corpo salvifico“, che Origene utilizza quando traspone il racconto matteano dell’ingresso messianico di Gesù a Gerusalemme (21, 6–11) nell’ascensione al cielo – la vera Gerusalemme – del Cristo, circonfuso dall’ammirazione delle potenze angeliche.[78] Rispondendo ai quesiti posti all’inizio di questa sezione, sembra di poter dire dunque che nella tarda maturità Origene abbia rimodulato il proprio pensiero sia sullo statuto della materia e della corporeità, sia sulla costellazione soma (divino)-soteria.

Costante era stato d’altra parte nell’arco di tutta l’opera di questo pensatore il ricorso all’immagine, che si andava consolidando durante il II secolo d. C., della divinità come terapeuta d’elezione.[79]L’abbondanza con cui si affaccia nelle pagine origeniane tale immagine ci restituisce il persistente interesse per una corporeità non sacrificata: di qui la necessità di ripristinarne la salute, a sua volta sentita come il naturale contraltare, o meglio l’ovvio prolungamento, di una salvezza[80] che abbraccia e deve abbracciare la globalità dell’esistenza umana, non senza che si instauri continuamente uno scambio simbolico fra salvezza, appunto, e salute.

5) Per un confronto di posizioni

Attraverso le pagine di Celso e di Origene vediamo delinearsi due „Weltanschauungen“ contrapposte. La prima, in stile „ancien régime“,[81] esclude qualunque intervento attivo di Dio nel mondo, ipostatizza l’ordine di cose esistente, privilegia rigorosamente la cura dell’anima, nega che l’uomo possa far affidamento sul corpo (e sulla carne) per raggiungere la meta cui deve tendere, irride come irragionevoli e blasfeme sia la credenza nell’incarnazione sia quella nella resurrezione. La seconda è decisamente più sfaccettata. Il corpo per un verso sembra costituire un gravame – soltanto le persone della trinità del resto sono assolutamente incorporee –, se è vero che le creature razionali cadono in un soma a seguito della trasgressione originaria cui le conduce l’esercizio del libero arbitrio; per l’altro è anch’esso un portato della creazione divina (come tale preordinata a fin di bene) e dall’inizio il Figlio pervade il mondo nella sua consistenza materiale, sino a che si produce il decisivo evento dell’incarnazione; alla fine dei tempi avrà luogo senza dubbio la resurrezione che chiama in causa una volta di più il corpo (o comunque un corpo), in quanto l’esistere creaturale sembra inseparabile da una dotazione corporea. A partire da questo quadro complesso e almeno in parte aporetico si profila – all’interno della seconda „Weltanschauung“ qui considerata, ripetiamo, attraverso la lente di Origene – una linea di tendenza, che cerca di sciogliere i nodi problematici persistenti negando essere la materia causa del male[82] e rivendicando al corpo nato dalla vergine[83] la capacità di salvare l’umanità. In estrema sintesi e con la dose di approssimazione ovvia per ogni tentativo di schematizzare processi inevitabilmente intricati,[84] se per la prima „Weltanschauung“, che è stata una forma di autorappresentazione diffusa nel mondo antico, la soteria coincide in fin dei conti con la perpetuazione dell’ordine ‚attuale‘ – un ordine che include il cosmo come l’umanità (nella dimensione individuale e collettiva)[85] e che nella riflessione filosofica si scandisce su due piani ben distinti,[86] – parte dei cristiani e Origene con loro mirano a investire di nuovo senso l’esistere dell’uomo, a reinsediarlo in una condizione sentita come perduta nel mondo ‚attuale‘, una reintegrazione che avviene nel momento stesso in cui (il Figlio di) Dio assume realmente un corpo umano rimarginando la ferita apertasi fra il tempo delle origini e l’oggi, restituendo all’umanità una pienezza che è salvazione e sanazione del soma. Abbiamo detto dianzi: una parte dei cristiani e Origene fra loro. Il motivo di questa delimitazione è evidente. La condizione che si intende ripristinare in quanto corrispondente al progetto della creazione divina può includere o non includere la materia e con la materia la corporeità. Per chi si riconosce nella prima opzione, la materia e con la materia la corporeità è una cosa in sé buona, dunque da non condannare; per chi si riconosce nella seconda opzione, va indicata un’origine della materia e della corporeità al di fuori del progetto originario di Dio ed è la via che percorrono, pur differenziandosi fra loro, i marcioniti o i valentiniani.

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Published Online: 2018-09-09
Published in Print: 2018-09-03

© 2018 Walter de Gruyter GmbH, Berlin/Boston

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