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BY 4.0 license Open Access Published by De Gruyter (A) June 8, 2021

La battaglia di Pidna. Aspetti topografici e strategici

  • Davide Morelli EMAIL logo
From the journal Klio

Riassunto

Sulla base di nuove considerazioni, si propone la ricostruzione della battaglia di Pidna (168 a.C.) sotto l’aspetto topografico, tattico e strategico. Il luogo dello scontro individuato da N.G.L. Hammond viene confermato, ma vi sono dettagli delle fonti che fanno pensare a una diversa disposizione delle truppe. La battaglia sembra essere stata accuratamente preparata dai Romani.

Summary

With new arguments based on topography, tactics and strategy, a reconstruction of the battle of Pydna (168 BC) is proposed. The place of battle proposed by N.G.L. Hammond is confirmed, but in the sources there are details that suggest a different troop disposition. The battle seems to have been accurately planned by the Romans.

L. Emilio Paolo Macedonico è stato una delle maggiori figure della Roma mediorepubblicana.[1] La sua preminenza è determinata anche dalla vittoria su Perseo a Pidna, che fu di capitale importanza per gli equilibri politici del Mediterraneo antico. Nelle fonti, Paolo è descritto in maniera unanimemente positiva, tanto che la sua biografia plutarchea è stata equiparata a un’ “agiografia”[2]. A tale immagine ha contribuito proprio la vittoria di Pidna.[3] Alcuni dettagli relativi a questa battaglia, tuttavia, non sono del tutto chiari. Scopo di questo studio sarà tentare di definire alcuni dei maggiori problemi che interessano la ricostruzione dello scontro.

L’arrivo in Macedonia

Dopo alcune settimane di preparativi, Paolo giunge in Macedonia.[4] L’esercito romano contava poco più di 35‘000 uomini, l’armata macedone circa 40‘000 effettivi. I numeri si ricavano da Livio, che elenca anno per anno i rimpiazzi dell’esercito romano e descrive il raduno dell’esercito macedone a Cizio all’inizio della guerra.[5]

Da Philae, dove avevano trascorso l’inverno, i Romani si spostano alle falde del monte Olimpo, sulle rive del fiume Elpeo, dove Perseo si era accampato.[6] Il fiume scorreva cinque miglia a sud dell’antica Dion.[7] Qui si trova il paese di Litochoro, attraversato da un fiumiciattolo chiamato Enipeo. L’evoluzione da Ἔλπευς a Ἐνιπέα, nome neogreco del fiume, non è inverosimile.[8] Alcuni punti della riva nord dell’Enipeo sono scoscesi, e il suo alto corso presenta cascatelle e solchi scavati nella roccia. Il fiume risponde perfettamente alla descrizione che ne fa Livio:

“scorre dalla valle del monte Olimpo, esiguo d’estate e gonfiato dalle piogge in inverno; crea sopra le rocce grandi gorghi, e sotto, trascinando giù verso il mare la terra, altissime voragini, e scavato in mezzo il suo alveo, ripide rive da entrambi i lati”[9].

Il nome e la descrizione portano a posizionare i campi, all’inizio della campagna, sulle rive del medio corso dell’Enipeo, dove avviene uno scontro fra alcuni reparti leggeri (fig. 1).[10]

Fig. 1: Affrontamento dei campi romano e macedone sull’Elpeus-Ἐνιπέα (base Google, elab. Morelli).
Fig. 1:

Affrontamento dei campi romano e macedone sull’Elpeus-Ἐνιπέα (base Google, elab. Morelli).

Fig. 2: Percorso ipotizzato per il contingente di Scipione Nasica e Fabio Massimo Emiliano (base Google, elab. Morelli).
Fig. 2:

Percorso ipotizzato per il contingente di Scipione Nasica e Fabio Massimo Emiliano (base Google, elab. Morelli).

La scoperta di un passaggio attraverso la Perrebia permette a Paolo di inviare un distaccamento romano, guidato da Scipione Nasica e Fabio Massimo Emiliano, ad accerchiare l’Olimpo, per prendere Perseo alle spalle. Il distaccamento avrebbe dovuto bloccare da nord l’esercito macedone (fig. 2).[11] Perseo, tuttavia, ne viene a conoscenza. Nonostante il distaccamento romano riesca a prendere possesso della cittadina di Pythion[12] e annientarne la guarnigione, l’espediente fallisce. Il resto dell’esercito macedone si ritira dunque verso nord.[13]

La piana di Pidna e il luogo dello scontro

I due eserciti si incontrano vicino a Pidna.[14] Il luogo dell’insediamento, molto dibattuto, è oggi individuabile con certezza nell’area dell’attuale Archaia Pydna.[15] Secondo Plutarco, la scelta di Perseo è dettata da più fattori: la vicinanza di una città, che permetteva un rifugio sicuro; il fatto che i soldati macedoni sarebbero stati pronti a tutto pur di difendere le donne e i bambini nelle vicinanze; la presenza dei due fiumi Leuco ed Esone, che avrebbero ostacolato l’avanzata dei Romani.[16]

L’individuazione del luogo d’arrivo degli eserciti e della battaglia è la chiave per comprendere e contestualizzare la descrizione delle fonti. Kromayer pone lo scontro nella pianura a sud di Katerini.[17] I fiumi del luogo, il Mavroneri e il suo affluente Pelikas, vengono identificati con il Leuco e l’Esone, che per Plutarco scorrevano al centro della piana.[18] Le alture prospicienti la piana di Pidna, chiamate da Plutarco “monte Olocro”, sarebbero le pendici settentrionali dell’Olimpo, a sud-ovest di Katerini (fig. 3).

Quanto ha sostenuto Kromayer non è verisimile per più motivi. Anzitutto, è difficile che il fronte di battaglia fosse parallelo al fiume: i due eserciti si sarebbero affrontati in acqua o avrebbero dovuto attraversare il fiume in armi per combattere. La cosa sarebbe complessa sia per i legionari sia per gli opliti della falange, specialmente nel momento dell’inizio della battaglia. Se per uno schieramento attraversare un fiume non è una difficoltà insormontabile, far muovere lo scontro su di esso non è possibile.[19] Soprattutto, le fonti ci avrebbero riferito questo dettaglio: tanto Livio quanto Plutarco parlano dei fiumi descrivendo la piana, sia all’inizio sia alla fine della battaglia.[20]

La scelta del terreno di scontro doveva riguardare un luogo vicino a Pidna, e non una piana a 20 km dalla città. Si è già detto che la presenza della città doveva infondere coraggio ai Macedoni, e il re corse verso la città con il pretesto di sacrificare ad Eracle.[21] Per quanto questi dettagli possano far parte di una tradizione che mirava a ridicolizzare Perseo, se Pidna fosse stata così lontana questi pretesti non sarebbero stati verisimili.

Kromayer è inoltre costretto a una supposizione: Scipione Nasica – contrariamente a quanto specificato da Plutarco[22] – non sarebbe passato per Petra, e anzi sarebbe sceso dall’Olimpo direttamente verso Dion, prendendo la strada più diretta per questa pianura. Un’eventualità possibile, ma contraria alle fonti.

Un altro problema è che fra il corso del Mavroneri e le propaggini delle colline non c’è abbastanza spazio per far marciare un esercito, e i Romani avrebbero esposto il fianco all’armata macedone. Il resoconto delle fonti, invece, fa capire chiaramente che i Romani arrivarono di fronte a Perseo e si ritirarono a partire dalla retroguardia (dunque, già schierati).[23]

Infine la battaglia, vicina a Dion e lontana da Pidna, non sarebbe stata ambientata nella seconda città, ma a Dion, mentre le fonti antiche sono concordi nell’individuarla a Pidna – celebre quasi solo per la battaglia, mentre Dion resta una città di un certo rilievo fino all’età imperiale.[24]

La ricostruzione di Kromayer, in definitiva, non risponde alle fonti se non per la presenza dei fiumi e delle alture. All’epoca, gli studi sull’ubicazione dell’insediamento di Pidna non erano sviluppati, ed esistevano solo ipotesi. Quasi tutti si sono allineati a Kromayer o se ne sono discostati pochissimo.[25]

Fig. 3: Battaglia di Pidna secondo Kromayer 1907, carta 9 (elab. grafica Morelli; originale Universitätsbibliothek Heidelberg, http://digi.ub.uni-heidelberg.de/diglit/kromayer1907bd2/0475).
Fig. 3:

Battaglia di Pidna secondo Kromayer 1907, carta 9 (elab. grafica Morelli; originale Universitätsbibliothek Heidelberg, http://digi.ub.uni-heidelberg.de/diglit/kromayer1907bd2/0475).

Nicholas Hammond ha riconsiderato la questione in maniera convincente, tanto da essere stato seguito dalla maggior parte della critica successiva. Si deve a lui lo ‘spostamento’ della battaglia nella piana a sud di Archaia Pydna / est di Kitros, ubicazione molto più probabile.[26] In zona ci sono alcune alture e parecchi fiumiciattoli. Le alture discendono verso est, e questo risponde alla descrizione delle fonti: Paolo, il giorno della battaglia, fa attendere i soldati fino a mezzogiorno per non trovarsi il sole negli occhi.[27] Il luogo, infine, si trova a una distanza da Pidna compatibile con le fonti (fig. 4).

Si può integrare anche questa ricostruzione. Anzitutto, Hammond ritiene che i fiumi Leuco ed Esone siano gli attuali Agios Dimitrios e Agios Georgios; quest’ultimo costituirebbe il confine settentrionale del teatro di scontro. Perché gli eserciti possano essere schierati nella piana tra i fiumi, come le fonti suggeriscono, è però costretto a supporre una deviazione dell’Agios Dimitrios verso sud rispetto al suo corso corrente. La sistemazione agricola e stradale moderna della piana mostra come i confini dei campi presentino linee corrispondenti al percorso dei torrenti che vi scorrono (fig. 5). I torrenti hanno assunto i loro percorsi in base alla direzione presa scendendo dalle alture di Kitros; i canali nei quali i fiumi scorrono sono alluvionali, e l’orografia riflette il corso dei fiumiciattoli. La situazione attuale può non rispecchiare quella antica: sarebbe futile cercare quale, fra questi canali, possa essere stato in passato un corso d’acqua vero e proprio.[28] Tuttavia, l’orografia non può essere stata del tutto rivoluzionata, e uno qualsiasi di questi ‘canali di scolo’, ventidue secoli fa, poteva costituire un fiume dal corso più o meno stabile. Va dunque presa in considerazione anche l’ipotesi che la battaglia si sia svolta pochi chilometri più a sud o più a nord. L’ipotesi di Hammond resta valida per quanto riguarda la zona dello scontro, ma l’Esone e il Leuco possono essere anche altri due dei fiumi presenti nella piana.

Lo scontro comincia senza che gli eserciti siano schierati, nella zona che sarà dell’ala destra romana. Due contingenti, uno di Italici e l’altro di Traci, avrebbero iniziato a combattere a causa del furto di un cavallo presso il fiume dove attingevano acqua.[29] L’esercito romano, come si è detto, guarda verso est: la sua ala destra e il fiume sono dunque all’estremità meridionale del fronte. Poiché i campi erano vicini al fiume,[30] e dato che Livio ricorda solo questo corso d’acqua, anche il posizionamento dei campi dovrebbe essere diverso da quello supposto da Hammond (se ne parlerà infra). Il fronte si sarà sviluppato verso nord, arrivando al secondo fiume citato da Plutarco.[31]

Fig. 4: Battaglia di Pidna secondo, Hammond 1984, p. 40, fig. 3 (Cortesia Cambridge University Press).
Fig. 4:

Battaglia di Pidna secondo, Hammond 1984, p. 40, fig. 3 (Cortesia Cambridge University Press).

Fig. 5: Veduta aerea della pianura a Sud di Pidna (foto Google Earth).
Fig. 5:

Veduta aerea della pianura a Sud di Pidna (foto Google Earth).

L’ampiezza dello schieramento macedone è stata calcolata con buona approssimazione da Hammond: circa 3,5 km. Altrettanto, all’incirca, doveva svilupparsi la linea romana, sulla composizione della quale abbiamo pochi dettagli.[32] Guardando al territorio e alle tracce lasciate dai torrenti, non vi è una pianura ininterrotta abbastanza estesa che risponda a queste caratteristiche. Piuttosto che ‘crearla’ deviando il corso del fiume Agios Dimitrios, sembra però opportuno cercare la soluzione nell’intermittenza di questi corsi d’acqua: almeno uno di essi, il 22 giugno 168,[33] poteva essere in secca. Un fiume di portata limitata ma abbastanza consistente è l’Alkovitsa, che sfocia nell’Egeo ad Alykè, meno di 2 km a sud di Pidna. Se questo fosse il secondo fiume raggiunto dal fronte, si frapporrebbe fra l’esercito romano e la città e risponderebbe alla descrizione plutarchea. Che abbia ancora oggi una portata non considerevole depone anzi a suo favore perché lo si individui con il Leuco. Circa 3 km più a sud si trova l’Agios Dimitrios, un fiume consistente.[34] Mantenendone il corso all’incirca diritto verso il mare, seguendo la direzione data dalla gola da cui proviene, la distanza con l’Alkovitsa coincide con il fronte stimato: 3,5 km. Rimane in mezzo l’Agios Georgios, oggi quasi prosciugato; è possibile che fosse in secca anche all’epoca della battaglia, che secondo Livio e Plutarco avviene in un’estate afosa.

In definitiva, la battaglia si svolge nella piana a sud di Archaia Pydna, ha come confini i fiumi Alkovitsa a nord e Agios Dimitrios a Sud, e i due fronti erano schierati in direzione sud-nord, con l’esercito romano a ovest e quello macedone a est.

L’arrivo degli eserciti e la battaglia: due diversi terreni di scontro

Al loro arrivo dopo la riunione con il contingente di Nasica, i soldati hanno fretta di attaccare l’esercito macedone, già schierato. Paolo deve ricorrere a degli espedienti per frenarli: pacifica l’animo dei suoi luogotenenti e fa stancare i soldati al sole finché la costruzione del campo non sembri loro un sollievo. L’accampamento viene eretto su un’altura vicino al luogo d’arrivo mentre l’esercito di Perseo era schierato.[35] Paolo fa entrare nell’accampamento prima le file di retroguardia e poi, mano a mano, le linee frontali, affinché rimanesse fino alla fine una forza pronta a reagire a un eventuale attacco macedone. Gli ultimi a entrare sono cavalleria e fanteria leggera, i reparti più mobili. Questo modo di procedere riflette l’esperienza di Paolo, che non vuole attaccare battaglia ma, se costretto, sa come rallentare l’attacco nemico con i combattenti più veloci per schierare nuovamente l’esercito.[36]

Perseo usa il fiume come difesa: i Romani, per attaccare al loro arrivo, avrebbero dovuto attraversare l’Esone, perdendo slancio e compattezza. Lo stesso sarebbe successo ai Macedoni se avessero tentato un attacco durante la costruzione dell’accampamento romano. La pianura regolare (il dislivello ovest-est prima dell’inizio delle alture è di circa 15 m distribuiti in quasi 2 km) era un terreno ideale per la fanteria pesante macedone. Da ciò si capisce che la posizione di Perseo è favorevole al suo esercito, ma comunque difensiva. Anche per questa ragione Paolo decide di non attaccare, dando la precedenza alla costruzione del campo (fig. 6).[37]

Proprio i motivi per i quali Paolo rimanda lo scontro meritano attenzione. Plutarco glissa sul discorso di Paolo, limitandolo a una γνώμη sull’età e l’esperienza.[38] In Livio si leggono invece motivazioni circostanziate: la mancanza di una parte dell’esercito romano, in arrivo con le salmerie, a fronte della superiorità numerica dei nemici; la stanchezza dei soldati dopo la marcia; la protezione che il campo fornisce all’esercito; il fatto che Perseo, schierandosi a battaglia, aveva già dimostrato di non voler rimandare lo scontro risolutivo (uno dei maggiori timori dello stato maggiore).[39] Va sottolineato che Paolo, pronto a sacrificare soldati per far riuscire lo stratagemma dell’aggiramento dell’Olimpo,[40] evita ora uno scontro che non ha buone probabilità di vittoria. L’intenzione di Paolo, insomma, è quella di decidere il momento giusto per lo scontro. Non possiamo dire se la battaglia sia avvenuta quando lo ha scelto Paolo; di certo non è avvenuta quando non lo voleva.[41]

Fig. 6: L’arrivo degli eserciti (carta da Hammond 1984, p. 40; rielab. grafica Morelli. Cortesia Cambridge University Press).
Fig. 6:

L’arrivo degli eserciti (carta da Hammond 1984, p. 40; rielab. grafica Morelli. Cortesia Cambridge University Press).

A questo momento, secondo Hammond, si riferisce un passo di Frontino in cui i Romani arretrano e i Macedoni, pur se in assetto difensivo, si azzardano ad attaccare, ma vengono respinti dai cavalieri romani.[42] Non sappiamo da dove Frontino attinga queste informazioni: in Livio c’è una lacuna fra i capitoli 35 e 36 del XLIV libro (l’arrivo di Macedoni e Romani nella pianura). Un’altra lacuna, fra i capitoli 40 e 41, riguarda le prime fasi della battaglia, ma non la fine. Non ci sono corrispondenze fra le descrizioni liviana e plutarchea dello scontro e il passo di Frontino. È probabile che il passo integri la prima delle due lacune liviane, e che gli avvenimenti vadano posti all’arrivo dei due eserciti nella piana di Pidna. Perseo fece un tentativo di attaccare i Romani durante la loro ritirata, ma la sua posizione difensiva non lo rendeva desideroso di combattere: così emerge anche da Livio e Plutarco. Paolo schierò l’esercito in questa disposizione, che costituiva un deterrente per l’attacco frontale dei Macedoni. La ritirata romana alla quale Frontino allude, molto probabilmente, è una manovra di verifica delle intenzioni di Perseo, che infatti attacca debolmente. Paolo, in sostanza, ‘tenta’ i Macedoni per verificare che il loro assetto sia difensivo, poi ritira l’esercito. Perseo effettua un debole tentativo di disturbo, ma la cavalleria romana si dimostra sufficiente a fermarlo.

Per chiarire la situazione occorre tornare allo scontro. La zuffa nata attorno al cavallo, alla quale si è già accennato, ne segna l’inizio; Paolo e Perseo schierano gli eserciti l’uno di fronte all’altro. Il fronte, all’arrivo di Paolo nella piana di Pidna, era parallelo all’Agios Dimitrios, mentre nello schieramento del 22 giugno l’esercito romano aveva oltrepassato il fiume. Questo non è un problema: il corso d’acqua era alto circa mezzo metro[43] e costituiva una difficoltà notevole durante uno scontro, ma non per schierare con calma l’esercito. Scampato il rischio iniziale e con i Romani ormai al sicuro, Paolo, per combattere, porta l’esercito più a nord, sulle alture a est di Kitros, guardando verso oriente (dove si trovava, a valle, il campo di Perseo: vd. fig. 7).

Fig. 7: La linea del fronte iniziale della battaglia (carta da Hammond 1984, p. 40; rielab. grafica Morelli. Cortesia Cambridge University Press).
Fig. 7:

La linea del fronte iniziale della battaglia (carta da Hammond 1984, p. 40; rielab. grafica Morelli. Cortesia Cambridge University Press).

Livio ritiene il terreno della battaglia sfavorevole ai Macedoni, Plutarco sembra sostenere il contrario.[44] Le due indicazioni, tuttavia, non sono in contrasto, e anzi forniscono un’ulteriore prova a favore dell’interpretazione qui proposta: Plutarco si riferisce alle intenzioni di Perseo di combattere in pianura, Livio all’attraversamento del fiume, che i Macedoni avrebbero dovuto effettuare per attaccare i Romani mentre costruivano il campo. Paolo non poteva accettare di combattere appena giunto davanti alla pianura di Pidna; dopo aver rifiutato la battaglia sceglie dunque un luogo diverso, più congeniale ai Romani. Così si spiegano le parole di Livio: Perseo era biasimato

“non solo perché il nemico, in precedenza, aveva riportato le truppe nell’accampamento rifiutando apertamente il combattimento, ma anche perché aveva posto le insegne in quel luogo in cui la falange, che persino una posizione lievemente sfavorevole rendeva inutile, non poteva avanzare”[45].

Perseo aveva scelto bene il primo terreno e la prima angolazione di un eventuale scontro, Paolo aveva deciso dove schierare l’esercito i giorni successivi. I signa macedoni, in questo caso, non erano stati ‘posti’ da Perseo, bensì adeguati alla posizione di Paolo. Da ciò il biasimo su Perseo, che si era dovuto adattare alle scelte di Paolo.

La posizione in cui gli si eserciti si affrontano all’arrivo dei Romani è del tutto diversa dalla sistemazione delle armate durante la battaglia. Le scelte di Paolo, in questo senso, sono evidenti dal testo e dalle descrizioni degli eserciti. Anche in questo caso, dunque, Paolo agisce come generale esperto, riuscendo a rimandare il combattimento e posizionarlo secondo un orientamento più favorevole.

Gli accampamenti

Un elemento dirimente è la posizione degli accampamenti. In base a quanto visto, si possono definire alcuni punti certi. Il campo romano era lievemente in altura, quello macedone in pianura. Entrambi erano ragionevolmente vicini al fiume e, almeno apparentemente, fra loro. Si trovavano su rive opposte del fiume.[46] A fronte formato, l’esercito macedone si trovò a due stadi dal campo romano.[47] La sistemazione ipotizzata, con l’Alkovitsa e l’Agios Dimitrios come ‘estremi’ della piana della battaglia, è preferibile rispetto all’ipotesi di Hammond (fig. 4), che pone il campo romano vicino a Kitros.

Fig. 8: L’ubicazione degli accampamenti (carta da Hammond 1984, p. 40; rielab. grafica Morelli. Cortesia Cambridge University Press).
Fig. 8:

L’ubicazione degli accampamenti (carta da Hammond 1984, p. 40; rielab. grafica Morelli. Cortesia Cambridge University Press).

Il campo macedone doveva trovarsi più a nord di quello romano: i Romani si erano ricongiunti con il distaccamento guidato da Nasica nella piana a nord di Katerini (dove discende la valle sotto Petra) e avevano inseguito l’esercito di Perseo. Se Paolo riesce ad arrivare di fronte ai Macedoni e a costruire il campo, bisogna supporre che l’esercito romano non abbia esposto al nemico il fianco, ma solo il fronte, dunque la direzione di marcia doveva essere sud-nord. Nell’ipotesi di Hammond il campo romano dista 2 km dal fiume dove i reparti andavano ad attingere acqua, e l’accampamento macedone sarebbe stato più vicino all’Agios Georgios che all’Agios Dimitrios: non si spiega dunque il motivo della convergenza di Romani e Macedoni su quest’ultimo. Entrambi gli accampamenti, piuttosto, dovranno essere individuati vicini all’Agios Dimitrios, quello romano più a sud di quello macedone.

La proposta di Hammond di porre le prime linee dei due eserciti al lato delle saline di Kitros, con Perseo quasi sull’Alkovitsa, la linea difensiva di Paolo a fianco delle saline e il corpo maggiore dell’esercito più a sud, può aver portato al posizionamento del campo lì dove Hammond sostiene, ma si è visto che la posizione non è del tutto compatibile con le fonti. L’idea, però, è giusta, almeno nelle distanze e nell’orientamento degli eserciti. Anziché porre l’Agios Georgios fra i due eserciti, occorrerà guardare proprio all’Agios Dimitrios: i Romani pongono il campo sulle alture prospicienti il fiume, e in particolare sulla lieve altura a sud di esso. I Macedoni si trovavano già oltre il fiume e avevano posto il campo fra le alture e la palude, sbarrando il passo ai Romani in una posizione tale da non poter essere accerchiati.[48] Entrambi i campi si troverebbero in una posizione che risponde alle caratteristiche sottolineate da Plutarco e Livio (fig. 8). Si spiegherebbe il fatto che entrambi gli eserciti andassero ad attingere acqua all’Agios Dimitrios, e non ci sarebbe bisogno di supporre che i Macedoni abbiano spostato il campo fra il loro arrivo e il giorno della battaglia.

Il campo romano, al momento dello scontro, si trova dunque oltre l’ala destra dell’esercito di Paolo, al di là del fiume; il campo macedone è dietro l’ala sinistra dell’armata di Perseo. I “primi morti”, per Plutarco, cadono nella scaramuccia iniziale presso il fiume, e la zona è vicina al campo romano. Questa scaramuccia, dunque, può ben arrivare ad appena due stadi dal campo romano.

Gli schieramenti

Da una prima lettura emerge che i Romani hanno a destra l’ala sociorum e i reparti di elefanti; al centro le legioni; a sinistra, si presume che ci fosse un’altra ala assieme alla cavalleria. Per i Macedoni, l’ala sinistra non doveva essere molto estesa: i Peligni, i primi socii ad affrontare i Macedoni, furono trucidati dalle sarisse.[49] La fanteria pesante macedone, che costituiva il centro dello schieramento, doveva pertanto spingersi di fronte all’ala destra romana. Sempre nella sinistra macedone vanno posti gli elephantomachae citati da Livio.[50] I Traci con i quali avviene la prima scaramuccia erano posti a guardia della riva, e rimangono nell’ala sinistra macedone.[51] Non erano però armati alla leggera: nella descrizione di Plutarco, che rimonta a Nasica, i Traci hanno tunica, corazza, schinieri, scudo alto e spada, quindi sono fanti pesanti.[52] Seguono, secondo Plutarco, i mercenari, i Peoni e l’agema. Si è talvolta ritenuto che i reparti dell’ala sinistra macedone fossero per lo più armati alla leggera.[53] Tuttavia, all’ala sinistra macedone appartenevano come minimo i Traci ad armamento pesante. Vale dunque la pena di ripercorrere la composizione dell’esercito macedone, per capire nel dettaglio da quali reparti fosse formato.

Occorre tenere presente che l’esercito macedone, dal raduno di Cizio (171)[54] a Pidna, aveva di certo subìto qualche perdita, ma non risultano modifiche alla sua composizione. Si manterranno le cifre originali, che dunque sono approssimate per eccesso. L’elenco include: circa 21‘000 falangiti; un agema di 2‘000 uomini; caetrati per 3‘000 unità; mercenari[55] peoni, agriani e traci per altre 3‘000 unità; 2‘000 Galli; 3‘000 Traci indipendenti; 3‘000 Cretesi; 1‘000 Greci; 1‘000 fanti odrisi. A questi si aggiungono 3‘000 cavalieri macedoni e altri 1‘000 cavalieri odrisi. La somma, riportata anche da Livio, è di 39‘000 fanti e 4‘000 cavalieri.[56] Escludendo dal conto falangiti, agema (reparti certamente pesanti e al centro dello schieramento) e cavalieri, rimangono 16‘000 soldati: caetrati, mercenari, Galli, Traci liberi, Cretesi, Greci, Traci odrisi.

Fra i Traci liberi (3‘000) e i Traci odrisi (1‘000) è difficile capire chi abbia combattuto al fiume con i Romani. L’ipotesi che siano stati i Traci indipendenti, però, è più probabile.[57] Questi, dunque, erano armati in maniera pesante nell’ala sinistra macedone, mentre gli Odrisi erano tutti insieme nell’ala destra macedone. Nemmeno i Galli e i Greci, in tutta probabilità, erano fanti leggeri. Dal totale vengono dunque a mancare altri 6‘000 uomini. I rimanenti (caetrati, mercenari, Cretesi e fanti odrisi), ossia 10‘000 unità, sono il massimo numero di leggeri disponibili per Perseo, sempre che tutti questi reparti fossero armati alla leggera.[58]

Una chiave di lettura fondamentale per comprendere al meglio la disposizione macedone è l’uso del termine latino caetrati, traduzione latina di πελτασταί.[59] I ‘peltasti’ non erano solo gli ‘armati alla leggera’: negli eserciti del tardo regno antigonide, anche altri soldati erano chiamati ‘peltasti’, in particolare i componenti dell’agema e, in qualche caso, i mercenari. La natura di questi reparti resta dibattuta, e lo stesso agema è stato più volte discusso.[60] Miltiades Hatzopoulos ha messo un punto sulla natura dei caetrati: è probabile che questi ‘peltasti’, una sorta di guardia scelta, contassero 3‘000 unità, alle quali aggiungere l’agema vero e proprio di 2‘000 uomini, per un totale di 5‘000 soldati d’élite attorno al re.[61] Livio, in definitiva, poteva usare il termine caetrati riferendosi a truppe pesanti, all’agema e a fanti leggeri, specialmente se usava il termine come traduzione di πελτασταί. I caetrati contro i quali si scontrano i Peligni dovevano essere i tremila fanti della guardia reale, oppure l’agema; armati con le sarisse, potevano usarle per respingere i socii italici. In riferimento all’ala destra macedone,[62] invece, il termine doveva significare, come in origine, ‘armati alla leggera’.[63]

Questa lettura, con l’ala destra macedone armata alla leggera, è compatibile anche con l’orientamento generale degli eserciti: era l’ala più vicina alle alture prospicienti l’Alkovitsa, che potevano costituire un vantaggio per un eventuale accerchiamento condotto dai peltasti (leggeri).[64] Inoltre, fanti leggeri e cavalieri sono i reparti più veloci: avrebbero potuto raggiungere rapidamente l’estremità settentrionale del terreno di scontro. Viene naturale pensare che gran parte delle truppe più mobili siano state spedite a nord dai comandanti, consapevoli che lo scontro all’Esone-Agios Dimitrios si sarebbe trasformato in una battaglia e che i fronti si sarebbero espansi rapidamente. Poiché lo scontro avvenne anche sulle ali collocate a nord (sinistra romana e destra macedone), si può supporre che entrambi i comandanti siano stati veloci nello schierare l’esercito, confermando l’esperienza di Paolo e l’abilità di Perseo.

Alla luce di questo, si può proporre una ricostruzione dello schieramento all’inizio dello scontro (fig. 9a), sempre tenendo conto che i numeri (per la parte macedone) sono presi dalla rassegna di Cizio, pertanto approssimati per eccesso. Partendo dall’Agios Dimitrios, le truppe dell’ala sinistra macedone si succedono in quest’ordine: Traci, mercenari, Galli, Greci, peltasti pesanti d’élite, agema vero e proprio, per un totale di 14‘000 uomini.[65] Gli elefantomachi costituivano probabilmente una seconda linea o un reparto fra questi corpi d’armata. I Peligni, un contingente dei quali era a raccogliere acqua con Marrucini e Sanniti,[66] affrontano i peltasti pesanti o l’agema, davanti all’ala destra romana. Quest’ultima era costituita dai socii, e si estendeva fino all’agema o ai caetrati pesanti. Il centro degli schieramenti sarebbe stato costituito (da sinistra a destra) per i Macedoni dai leucaspidi e dai calcaspidi (falangiti),[67] per i Romani dalle due legioni. Livio dice che quella leucaspide era media acies hostium,[68] e con circa 14‘000 soldati nell’ala sinistra i leucaspidi sarebbero al centro dello schieramento macedone. L’ala sinistra romana era costituita da altri socii armati alla leggera e dai cavalieri. L’ala destra macedone, di fronte alla sinistra romana, era costituita dai peltasti leggeri (caetrati anch’essi) e dai cavalieri, per un totale di circa 8‘000 unità: rimangono infatti solo 1‘000 fanti odrisi, 3‘000 Cretesi, 4‘000 cavalieri. Le ali settentrionali dei due eserciti arrivavano quasi al Leuco-Alkovitsa: secondo Plutarco, al passaggio romano del fiume, questo stava ancora trasportando sangue, segno che una parte considerevole dello scontro si era svolta non solo fra legionari e falangiti, ma anche fra ala destra macedone e ala sinistra romana, vicino al Leuco-Alkovitsa.[69]

Anche la profondità degli schieramenti è un elemento importante. Anzitutto, l’estensione frontale di calcaspidi-leucaspidi e legioni doveva essere molto simile, il che porta a supporre da un lato una profondità di 16 uomini per la falange (con un fronte di circa 1‘300 uomini), dall’altro una di otto uomini per le legioni (con un fronte totale di circa 1‘500 uomini).[70] Avere una linea profonda la metà di quella macedone era rischioso, ma la mobilità romana permetteva di affrontare un combattimento anche in queste condizioni e, all’occorrenza, serrare improvvisamente i ranghi.[71] La scarsa manovrabilità della falange, per contro, sarebbe stata accentuata dalla lunghezza del fronte e dalla profondità della linea, che con 16 uomini era meno agile dei legionari. La stima di Hammond per gli altri reparti (una profondità media di dieci uomini) è verosimile; porta la loro estensione a circa 2 km.[72]

Rimane un dubbio sull’ala destra romana: Plutarco concorda con Livio sul fatto che l’attacco peligno viene respinto da caetrati armati di sarisse, ma il contingente era vicino al fiume, mentre i caetrati erano nella parte interna dell’ala macedone. Non c’è una soluzione certa: i Peligni, nello schierarsi a battaglia, potrebbero essere scorsi a nord, di fronte ai falangiti; oppure c’erano due unità di Peligni. Nell’ala destra romana e nell’ala sinistra macedone dovevano comunque essere presenti anche alcuni cavalieri, sebbene in numero inferiore rispetto alla parte settentrionale del fronte.

In linea generale, i centri degli schieramenti sono costituiti da ‘falangi’ (macedone e romana, ovviamente). Le ali settentrionali (sinistra romana, destra macedone) sono costituite per lo più da armati alla leggera e cavalieri.[73] Nelle ali meridionali (destra romana, sinistra macedone) si trovano armati in maniera pesante a schieramento non falangitico, elefanti ed elefantomachi. Probabilmente, nella destra romana c’era un’ala di socii con qualche coorte di rinforzo, mentre le rimanenti coorti si saranno schierate sull’ala sinistra romana assieme a velites[74] ed equites; ma questo rimane ipotetico.

La dinamica dello scontro

Si può dunque proporre una ricostruzione più precisa. Perseo e Paolo avevano gli eserciti a riposo, forse solo in parte schierati, dopo mezza giornata di attesa.[75] Entrambi i comandanti, schierando il grosso dell’esercito dopo la zuffa al fiume, si affrettano a rinforzare la propria ala meridionale: Paolo invia alcuni socii e gli elefanti, Perseo i Traci, i mercenari, i Peoni, infine i caetrati pesanti e l’agema. I Macedoni partono in vantaggio: le sarisse tengono lontani i Romani, che non riescono a penetrare nel muro di lance. Salvio, un centurione peligno, getta l’insegna al di là della linea nemica per incitare i suoi soldati a non perderla.[76] Paolo, lì vicino,[77] assiste impotente all’annientamento del reparto, falciato rapidamente dalle sarisse.[78] Dopo un primo momento di panico, vede che il fronte macedone è spezzato in più punti a causa dell’irregolarità del terreno. Invia dei contingenti perché forzino quei punti e disgreghino la linea nemica. L’espediente funziona e i soldati si insinuano nella falange, i cui soldati non sono equipaggiati per il corpo a corpo come i legionari. Al contempo, l’ala destra romana riesce a sfondare la linea dell’ala sinistra di Perseo grazie agli elefanti. Perseo, infine, fugge.[79]

Per Livio, la legione sinistra romana si insinua fra peltasti e falangiti;[80] sottolinea inoltre che gli elefanti, scombinando gli elefantomachi macedoni e le truppe dell’ala sinistra di Perseo, causano la fuga dei soldati nemici.[81] Inizialmente sono gli elefanti a scompigliare l’ala sinistra macedone, primo punto in cui lo schieramento di Perseo cede. Le legioni, nel frattempo, indietreggiano su un terreno sconnesso, causando con questa ritirata il distacco tra falangiti calcaspidi e caetrati leggeri macedoni (ala destra) e la frammentazione del fronte falangitico (centro). Con una carica, i legionari si inseriscono in questi spazi mentre l’ala sinistra macedone viene volta in fuga dagli elefanti. L’ala sinistra romana isola l’ala destra macedone e causa la fuga dei cavalieri;[82] qui avviene la strage che tinge di rosso le rive del Leuco (fig. 9b). L’ala destra romana, con la rotta dell’ala sinistra macedone, si rivolge contro i corpi scelti (agema e caetrati), gli ultimi a cadere.[83] Le legioni e l’ala destra romana, con uno scorrimento, circondano a fronte, a lateribus, ab tergo i falangiti, rimasti sul campo ma con un fronte spezzato, uccidendoli quasi tutti.[84] I cavalieri romani avranno dato manforte, posizionandosi sul retro dei calcaspidi – ma questa è una supposizione, per quanto probabile (fig. 9c).

Figure 9 a–c: Schema tattico della battaglia di Pidna

Legenda:

MACEDONI

         Ι: cavalieri

         Πl: caetrati/πελτασταί leggeri (Cretesi? Odrisi?)

         Χ: calcaspidi

         Λ: leucaspidi

         Πp:caetrati/πελτασταί pesanti (guardia reale)

         Α: agema (guardia reale)

         Μ: mercenari (Ε: Greci; Γ: Galli; Π/Θ: Peoni-Agriani-Traci)

         Θ: Traci liberi

ROMANI

         Eq: equites

         Vel: velites/fanteria leggera (con aggiunta di coorti dai socii?)

         L. II: II legione

         L. I: I legione

         Ala: ala destra (coorti di socii, inclusi i Peligni di Salvio)

         El.: elefanti numidi

Fig. 9a: Fase iniziale. Linea del fronte a schieramento completo (elab. grafica Elisa Menini).
Fig. 9a:

Fase iniziale. Linea del fronte a schieramento completo (elab. grafica Elisa Menini).

Fig. 9b: Fase centrale. I calcaspidi e i caetrati macedoni si separano, gli elefanti romana mettono in fuga l’ala sinistra macedone (elab. grafica Elisa Menini).
Fig. 9b:

Fase centrale. I calcaspidi e i caetrati macedoni si separano, gli elefanti romana mettono in fuga l’ala sinistra macedone (elab. grafica Elisa Menini).

Fig. 9c: Fase finale. I leggeri romani isolano contro il fiume i leggeri macedoni; la cavalleria macedone fugge. Il centro e l’ala destra romani (con la cavalleria?) circondano i falangiti (elab. grafica Elisa Menini).
Fig. 9c:

Fase finale. I leggeri romani isolano contro il fiume i leggeri macedoni; la cavalleria macedone fugge. Il centro e l’ala destra romani (con la cavalleria?) circondano i falangiti (elab. grafica Elisa Menini).

Le scelte strategiche e tattiche di L. Emilio Paolo

La battaglia dura meno di un’ora.[85] Il motivo della vittoria romana è lo scompaginamento della falange, determinato dal terreno sconnesso che mina la continuità dello schieramento macedone.[86] Si passa così da uno scontro fra reparti a uno fra singoli soldati, favorito dall’inserimento della I Legione fra falangiti e peltasti. La separazione di calcaspidi e peltasti favorisce l’isolamento dei peltasti, la fuga dei cavalieri e l’accerchiamento dei falangiti. La chiave di volta è il terreno sconnesso: scelto da Paolo, indebolisce la compattezza della falange e rende insostenibile la pressione dei Romani sui Macedoni. La velocità di reazione del comandante nel comprendere sia l’avvio dello scontro che il punto debole dello schieramento nemico, considerando il risultato, non è da mettere in dubbio. L’inizio dello scontro, il posizionamento del fronte e la scelta del terreno rappresentano aspetti differenti e molto importanti.

Livio riferisce la versione della zuffa con i Traci presso il fiume a causa della fuga del cavallo.[87] Plutarco riporta versioni differenti: nella prima versione si trova il cavallo, nella seconda i Traci, entrambi presenti in Livio. Plutarco adombra l’ipotesi che il cavallo sia stato rilasciato su ordine di Paolo; l’animale sarebbe entrato nel campo macedone e sarebbe stato inseguito fino a fuori dalla costruzione.[88] Nella variante, lo scontro nasce a causa dei Traci, che attaccherebbero un convoglio romano carico di foraggio.[89] Quest’ultima versione è stata talvolta attribuita a Posidonio;[90] tuttavia, un attacco dei Traci attribuirebbe ai Macedoni l’inizio dello scontro e legittimerebbe il contrattacco romano. Non è verisimile che Posidonio abbia scelto una versione ‘filoromana’: è più probabile che questa rimonti a una fonte annalistica non individuabile, o forse a Nasica, ma è impossibile dirlo. L’idea che il rilascio del cavallo sia stato uno strategema di Paolo è altrettanto sospetta: attribuirebbe al generale molta previdenza o, all’inverso, un inganno nei confronti dei Macedoni. Non si può comunque capire quale sia la sua provenienza. La versione liviana, ad ogni modo, sembra la più equilibrata: gli elementi portanti (il cavallo e i Traci) si ritrovano anche in Plutarco. Se la versione di Livio fosse quella originale (polibiana?), si spiegherebbero anche le versioni plutarchee, mentre non accade il contrario. L’inizio della battaglia, dunque, è probabilmente casuale.[91]

È innegabile che la scelta del terreno di scontro venne operata da Paolo. Se quanto detto finora è vero, Perseo aveva optato per una pianura protetta dall’Agios Dimitrios (Esone), tanto da costringere Paolo a porre il campo a sud del fiume e a ritirare l’esercito. Il diverso orientamento del fronte di battaglia e l’attesa del pomeriggio testimoniano che Paolo scelse di schierare l’esercito sulle alture a est di Kitros. Perseo non attacca per un ottimo motivo, lo stesso che gli costerà la sconfitta: il terreno sconnesso.[92] Un’altura irregolare non è un problema per il mobile schieramento romano, che può anche fare buon uso di uno slancio determinato dalla discesa. In più, l’inclinazione del terreno costringeva i falangiti a tenere più alte le sarisse e ad avanzare con più fatica, aumentando la probabilità di spezzare la linea. La scelta dello scontro frontale, in definitiva, non è un “mistery”, né l’improvviso scoppio della battaglia è determinato da un “conflict between the ancestral Roman value of virtus – and the impatient aggressiveness which grew from it – and the opposed tradition of cerebral generalship, which disciplina made possible”[93]. Paolo posiziona il suo esercito con cautela, osserva Perseo, ne conosce le mosse, e prima di prendere l’iniziativa è sicuro di avere il terreno adatto e i reparti al posto giusto. Sa già, in sostanza, cosa accadrà. Tutto porta a supporre che, anche escludendo uno strategema all’avvio della battaglia, la dinamica dello scontro sia stata quella che Paolo voleva: un dispiegamento veloce, una ritirata strategica, l’avanzamento dei falangiti, lo scompaginamento del loro fronte, l’allontanamento delle ali nemiche, l’accerchiamento dei Macedoni.

La dinamica è molto simile a quella della battaglia di Cinoscefale, dove l’ala destra romana riuscì vittoriosa e l’ala sinistra, inizialmente in difficoltà, si impose sull’esercito macedone ostacolato dalle asperità del terreno. Secondo Polibio e Livio, l’inizio della battaglia di Cinoscefale fu quasi casuale, non voluto da Filippo né da Flaminino;[94] eppure, non si può fare a meno di notare che i movimenti delle truppe e le motivazioni della vittoria romana sono estremamente simili a quanto avviene a Pidna. Senza entrare nella discussione sulla battaglia di Cinoscefale,[95] occorre ammettere che il comportamento di Paolo a Pidna non poteva che essere ben congegnato, basato probabilmente proprio sull’esperienza di Flaminino. Pidna, in sostanza, è un’imitazione della battaglia di Cinoscefale, ma organizzata in maniera certosina – almeno da parte romana.

A fronte di queste considerazioni, si può forse rispondere all’interrogativo che Piero Meloni pone sull’incongruenza espressa da Plutarco, che rimarca come Paolo non volesse combattere ma finì per farlo.[96] Appare chiaro che una tattica dilatoria di Paolo costituisce la spiegazione a tutto. Paolo voleva combattere, ma con il sole alle spalle e non in pianura. Non sarebbe un’ipotesi ardita ritenere che Paolo osservò lo schieramento macedone prima della battaglia per decidere come posizionare i suoi reparti. Per contro, che Paolo “si stracciò la veste” (καταρρήξασθαι τὸν χιτῶνα)[97] non è un particolare da prendere in seria considerazione. Non c’è bisogno di sottolineare come lo stracciarsi le vesti sia un topos per esprimere la disperazione, il che aumenta il sospetto su questa testimonianza posidoniana, scelta da Plutarco per la sua drammaticità.[98] Le testimonianze di Livio e Polibio sono più equilibrate: Paolo parlò, a Roma, di quanto la falange macedone fosse impressionante e spaventosa da vedere, una considerazione molto più credibile.[99]

A rafforzare questa interpretazione vengono anche i numeri dei morti. Plutarco riporta da parte romana due cifre, rispettivamente 80 (per Nasica) e 100 morti (per Posidonio). Livio conferma i 100 morti, specifica che la maggior parte di essi furono Peligni e che i feriti furono molti di più.[100] Queste cifre possono far nascere sospetti,[101] ma la durata e la dinamica dello scontro portano a credere che le vittime romane siano state poche: la tattica di Paolo aveva avuto successo immediato. Peraltro, poiché due fonti di provenienza diversa[102] riportano cifre simili, non c’è motivo di metterle in dubbio, se non supponendo una falsificazione contemporanea alla battaglia (comunque possibile).[103]

L’ultimo appunto va fatto proprio sullo schema tattico: è difficile che il distacco di falange e caetrati sia avvenuto per caso. Soprattutto, è impossibile che ogni reparto dell’esercito romano fosse nella posizione adatta a questa strategia, anche se la disposizione delle truppe non era quella canonica né per Perseo né per Paolo; specialmente se, come si è visto, la scelta del luogo di battaglia era stata operata proprio dai Romani. Al momento dello schieramento, Emilio Paolo fa in modo di rimanere indietro (rischiando anche il suo campo); costringe così i Macedoni ad avanzare, con la conseguenza di staccare gli armati alla leggera, agili e su un terreno a loro congeniale, dai lenti falangiti. Questo era il nucleo del suo piano,[104] questo è ciò che le fonti mettono in luce, assieme all’invio degli elefanti per diminuire la pressione macedone sull’ala destra romana e sui Peligni – questo sì, probabilmente, un adattamento alla situazione perché il piano non subisse modifiche. L’ora di battaglia si risolve in questi due comandi, uno per liberare una parte dell’esercito romano, l’altro per isolare i falangiti. L’esito della battaglia non era stato casuale, come non lo erano il terreno e lo schieramento.

Conclusioni

La battaglia di Pidna è uno dei capolavori tattici romani. Le doti di Paolo come stratega, nel reagire alle (competenti) scelte di Perseo, sono notevoli. Pur scoppiando in un momento che Paolo non aveva previsto, la battaglia si svolge esattamente come il generale voleva.

Paolo riesce a evitare lo scontro al suo arrivo presso il fiume Agios Dimitrios (Esone) e ripiegare nell’accampamento. Decide dove dare battaglia, con un altro orientamento, e posiziona l’esercito sulle alture a est di Kitros. La disposizione delle truppe è ben congegnata, atta a respingere le ali dell’esercito macedone e scompaginare l’assetto della falange, secondo una strategia che prendeva a modello la battaglia di Cinoscefale. La ritirata dell’esercito romano è studiata proprio per permettere l’applicazione di questa strategia, e la riuscita è veloce e dirompente: in meno di un’ora, i Romani riescono a mettere in fuga le ali dell’armata macedone e circondare il fronte falangitico, ponendo fine al regno di Macedonia. Nonostante i dubbi sull’inizio della battaglia, non si può che ammettere che L. Emilio Paolo abbia perfettamente orchestrato questo scontro, con un’esperienza e una competenza che lo rendono fra i migliori generali romani di epoca medio-repubblicana.

Una verità che i Greci avevano capito subito: secondo Diodoro, Paolo “durante la guerra, architettò molte cose straordinarie e inspiegabili per gli altri, e grazie alla propria prontezza di spirito e all’audacia vinse i Macedoni”[105]. Altrettanto eloquente è l’opinione di Plutarco:

“per quanto riguarda la guerra e il suo comando, vedendo l’accaduto, attribuisco il merito del suo agire luminoso e distinto all’acume della sua audacia, alle buone decisioni, all’appoggio ardente dei suoi amici, all’osare oltre il credibile e all’ordire macchinazioni precise, non alla cosiddetta buona sorte dell’uomo, come farei con altri comandanti”[106].

Ringraziamenti

Ringrazio la professoressa Manuela Mari, alla quale devo molti commenti attenti e puntuali a questo testo, e il professor John Thornton, sempre disponibile ad aiutarmi e a rileggere quanto scrivo. Ogni errore resta, ovviamente, mia responsabilità.

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Published Online: 2021-06-08
Published in Print: 2021-06-26

© 2021 Davide Morelli, published by De Gruyter

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Downloaded on 26.5.2024 from https://www.degruyter.com/document/doi/10.1515/klio-2020-0304/html
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