Abstract
Il Commentario III di Lorenzo Ghiberti (1381-1455), conosciuto attraverso un manoscritto non autografo del Quattrocento (Firenze, B.N.C. II.I.33), è stato oggetto di numerose edizioni e studi critici. Dopo lo primo studio di Schlosser, la ricerca delle fonti ha fatto notevoli progressi. L’edizione di Bergdolt costituisce oggi lo studio più accurato delle fonti: sembra che Lorenzo Ghiberti si sia servito soltanto dei testi di Vitruvio, Alhazen, Avicenna, Averroè, Bacone, Peckham et Witelo. Benché la maggior parte del testo sia dedicata all’ottica, l’authorship del Ghiberti è ormai ridotto a un centinaio di righe in cui non si trata mai d’ottica. Questo trattato è cosparso de irregolarità che danno piuttosto la sensazione di una “concatenazione” di testi. Varie ipotesi sono state avanzate per spiegare queste irregolarità lessicali e sintattiche (disordini legati all’afasia, redazione condotta sotta dettatura di un traduttore, effetto di un desiderio di mobilità sociale). Queste ipotesi spiegherebbero congiuntamente sia l’interesse palese di Ghiberti per l’ottica che le strane imperfezioni del Commentario III.