Napoli-Salerno: Orthotes Editrice (
2024)
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Abstract
Nel dibattito filosofico recente si è iniziato a guardare con sempre più interesse al potenziale giustificatorio delle spiegazioni genealogiche. Se la tradizione continentale da ha infatti messo l’accento sulle implicazioni critiche e destabilizzanti del metodo genealogico, la tradizione analitica ha mostrato che esso può anche offrire supporto ai propri oggetti d’indagine: norme di comportamento, pratiche, concetti e via dicendo.2 Secondo Matthieu Queloz, un resoconto genealogico ha un carattere giustificatorio quando riesce a identificare un rapporto strumentale necessario tra il concetto o la pratica presa in oggetto e bisogni umani abbastanza fondamentali da poter essere riconosciuti come tali da tutti. Si pensi, ad esempio, al resoconto funzionalista con cui Williams spiega la virtù della veridicità in quanto indispensabile al soddisfacimento del basilare bisogno umano di raccolta e messa in comune di informazioni attendibili. La domanda che voglio affrontare riguarda le supposte capacità giustificatorie di questo tipo di spiegazioni. Fino a che punto esse modificano davvero – per usare un’espressione di Sellars – lo spazio delle ragioni? Sono del parere che la loro portata normativa e valutativa sia variabile e che prendere in esame alcuni casi limite aiuti a dimostrarlo. Più nello specifico, ritengo che in alcuni casi le ragioni offerte attraverso queste spiegazioni siano ragioni non tanto per giustificare il ricorso a certi concetti o pratiche, ma ragioni per scusare coloro che vi ricorrono.