Context: Despite many obvious advantages (radical) constructivism has over other philosophies it has failed to become a mainstream philosophy that is widely taught and discussed. Problem: What are the reasons for this failure? Can we identify issues that make it difficult for scholars to accept and even embrace radical constructivist ideas? What is the best way to characterize, explain, and eventually refute objections? Method: By collecting articles from both proponents and opponents of radical constructivism the editors of the special issue (...) tried to present a range of answers to these questions. Results: Some problems are due to known objections to radical constructivism, in particular the idea that being responsible for one’s own constructions opens doors to a “whatever” attitude. Another important insight is that constructivism seems to resemble a river delta with ever branching new sub-disciplines that become increasingly incompatible with each other. Implications: The insights gained from the contributions may lead to a re-orientation of (radical) constructivism that will include less misunderstandings among its critics and to a higher acceptance in the academic community. (shrink)

Il saggio tratta della critica di Popper al concetto di utopia e dei limiti di tale critica. Le opere politiche del filosofo viennese rivelano come l’utopia costituisca una pericolosa modalità di ritorno a forme di società chiusa e di totalitarismo. Sennonché non è chiaro quale utopia venga criticata da Popper, l’utopia dei grandi movimenti totalitari del Novecento, oppure ogni forma di costruzione ideale di una società diversa e migliore. Il non aver chiarito a sufficienza tali aspetti indebolisce la portata (...) delle critiche di Popper e comporta, paradossalmente, che molti dei concetti filosofici da lui utilizzati ricadano in quelle forme di utopia che egli condanna.The paper deals with Popper’s criticism of the concept of utopia and the limits of such a criticism. The political works of Viennese philosopher reveal as utopia is a dangerous way of returning to forms of closed societies and totalitarianism. But it’s not clear which utopia is criticized by Popper whether the utopia of the big totalitarian movements of 20th century, or any form of any ideal construction of a different and better society. The lack of further explanations for such aspects weakens the range of Popper’s criticisms and involves, paradoxically, that many of his philosophical concepts fall upon those forms of utopia which he sentences. (shrink)

RESUMEN Pocas polémicas en el ámbito de la filosofía de la biología han llevado tanto espacio como la que existen alrededor de la explicación funcional y del lenguaje funcional. Varios de los enfoques principales que han tratado de reconstruir este tipo de explicación y elucidar tal lenguaje, aunque fuertemente heterogéneos, comparten la idea de que el lenguaje funcional no es más que un modo de hablar del cual puede prescindirse, pues, asumen que el lenguaje funcional puede ser definido a partir (...) de (o reducido a) lenguaje no funcional. En consecuencia, la explicación funcional sería reducible a (o equivalente a) explicaciones no funcionales. En este trabajo repasaremos tales enfoques, y trataremos de defender que no funcionan en el siguiente sentido: no pueden dar cuenta de la totalidad de las atribuciones funcionales. En consecuencia, aunque pudieran ser útiles para elucidar o reconstruir algunas áreas de la biología, no cumplen con el objetivo de mostrar que el lenguaje funcional es eliminable. -/- RESUMO Poucas polêmicas no âmbito da filosofia da biologia tiveram tanto espaço como a que existe acerca da explicação funcional e da linguagem funcional. Vários dos principais enfoques que trataram de reconstruir este tipo de explicação e elucidar tal linguagem, ainda que fortemente heterogêneos, compartilham a ideia de que a linguagem funcional não é mais que um modo de falar do qual pode prescindir-se, pois, assumem que a linguagem funcional pode ser definida a partir de (ou reduzida a) linguagem não funcional. Em consequência, a explicação funcional seria reduzível a (ou equivalente a) explicações não funcionais. Neste trabalho repassaremos tais enfoques e trataremos de defender que não funcionam, no seguinte sentido: não podem dar conta da totalidade das atribuições funcionais. Em consequência, ainda que pudessem ser úteis para elucidar ou reconstruir algumas áreas da biologia, não alcançam o objetivo de mostrar que a linguagem funcional é eliminável. (shrink)

Una tesi che è stata ultimamente discussa dai filosofi analitici del linguaggio è la tesi della normatività del significato linguistico (TNS). Secondo TNS, i significati delle espressioni delle lingue naturali hanno una componente normativa: essi fissano uno standard di correttezza per l’applicazione o l’uso (da parte dei parlanti) delle espressioni stesse e, in conseguenza di ciò, impegnano i parlanti a determinati obblighi semantici nell’applicazione o nell’uso delle espressioni. In questo articolo, ricostruisco e difendo alcune riflessioni di Wilfrid Sellars a favore (...) di questa tesi. In particolare, mi concentro sulle riflessioni contenute in “Empiricism and the Philosophy of Mind” (1956) e sviluppate in “Language as Thought and as Communication” (1969) e “Meaning as Functional Classification. A Perspective on the Relation of Syntax to Semantics” (1974). La struttura dell’articolo è la seguente. Nella prima sezione, presento TNS nella sua versione più generale. Nella seconda sezione, mostro alcuni casi di enunciati descrittivi che sono in grado di trasmettere, in determinati contesti di proferimento, una forza normativa: sostengo che un fenomeno simile sia caratteristico anche degli enunciati semantici – enunciati della forma “L’espressione linguistica e significa M”. Questo è il cuore della versione di TNS che vado a discutere. Nella terza, quarta e quinta sezione, discuto l’analisi di Sellars degli enunciati semantici. La conclusione della sua analisi è che un enunciato semantico predica l’identità dei ruoli funzionali di due parole. Mostro come Sellars arrivi a questa analisi, dedicando ampio spazio alla critica ad un’analisi alternativa, secondo la quale gli enunciati semantici sono enunciati descrittivi che predicano una relazione di associazione tra un’espressione linguistica e un oggetto o proprietà. Mi soffermo sulle ragioni teoriche che giustificano il rifiuto di Sellars di questa analisi, concentrandomi su alcune tematiche classiche del progetto epistemologico sellarsiano. Nella sesta sezione, dopo aver argomentato che la nozione di pragmema proposta da Capone (2005, 2018) può aiutare a comprendere e ampliare la nozione sellarsiana di ruolo funzionale, mostro come tale analisi possa essere sfruttata per sostenere che gli enunciati semantici sono enunciati metalinguistici che hanno delle conseguenze normative sui comportamenti linguistici dei parlanti. Accenno infine al dibattito contemporaneo e alla formulazione di un argomento oggi discusso a favore di TNS, a partire da una rivisitazione della nozione di ruolo funzionale. (shrink)

La circolazione dell’Arte della guerra di Machiavelli ha dato un fondamentale contributo allo sviluppo della cultura militare europea in volgare del Cinquecento. Questo saggio analizza alcuni specifici aspetti della ricezione di quest’opera nella produzione scrittoria militare del tempo e in particolare si concentra su quegli elementi di pensiero legati al tema delle “armi proprie” fortemente propagandato dal libro machiavelliano. A questo proposito, si è qui deliberatamente scelto di offrire l’esempio di due opere diverse per natura ideologica e altezza cronologica: l’una (...) risalente alla prima metà del Cinquecento, l’altra originatasi nell’ambito delle guerre di religione e della diaspora dei protestanti francesi in area elvetica. Si tratta, in effetti, di due libri che permettono di comprendere sfumature poco note del processo di riuso di certi concetti machiavelliani che all’epoca potevano essere considerati politicamente controversi. Al tempo stesso, le due opere sono capaci di far risaltare le difficoltà che emergono ogni volta che si prova ad applicare il moderno concetto di autore a testi nati in un contesto caratterizzato da un continuo riutilizzo e dalla rielaborazione di temi ed elementi ascrivibili a una lunga e articolata tradizione di scrittura militare che si sviluppò lungo il corso del secolo, la quale, tuttavia, aveva trovato un momento di passaggio cruciale nel contributo di Machiavelli. (shrink)

1. Quale estetica? Aisthesis come koinè Perché scegliere di affrontare qui le ragioni di un possibile dialogo della neuroestetica con l’estetica psicologica e fenomenologica, e non, poniamo, con quella ermeneutica di ascendenza heideggeriano-gadameriana o quella “critica” francofortese o quella neoidealistica crociana? Per una duplice motivazione, di carattere genealogico e insieme tematico. Sotto il profilo della loro genealogia, le recenti ricerche neuroscientifiche sull’esperienza artistic...

Qual è il rapporto tra la mente cosciente e la natura? A tale questione fondamentale si può rispondere in modi molto diversi, a seconda di come si concepiscono sia la mente che la natura. Questo lavoro offre una risposta originale, integrando la fenomenologia husserliana e la concezione enattiva all’interno di una prospettiva unitaria chiamata fenomenologia enattiva. Nel percorso qui sviluppato, il lettore troverà un’analisi ricca e aggiornata di alcune tra le questioni più dibattute nella filosofia della mente e nelle scienze (...) cognitive contemporanee: il “problema difficile” della coscienza e il suo rapporto con l’intenzionalità, lo statuto epistemologico e ontologico delle qualità sensibili, la filosofia del colore, il dibattito sulla cognizione incorporata (embodiment) e l’approccio fenomenologico allo studio del mentale. L’autore sviluppa infine una proposta generale che si articola in una metafisica monistico-neutrale, processuale e relazionale della natura e della coscienza. (shrink)

Il lavoro consiste in una particolare rilettura del testo cusaniano, nella quale si cerca di evidenziare, tra le altre fonti, soprattutto la presenza di Meister Eckhart. La “discesa” nel fondo dell'anima è presentata come il culmine teoretico di quel cammino di visione a cui e-duca l'aegnima dell'icona. Per queste ragioni l'articolo punta sull'influsso della mistica speculativa in campo teoretico e di quella dottrina che M. Eckhart chiama “Generazione del Logos nell'anima”. Tale trattazione apre poi il senso dell'ampia sezione dedicata (...) alla filosofia negativa e ai “nomi divini” del Deus Trinitas, stavolta sulla scia di Dionigi: Infinito, Non-Aliud e Padre. Centrale è la figura del Cristo, unica vera condizione di possibilità della visione “di” Dio in quanto unico mediatore tra il finito e l'infinito; in Cristo si realizza quella paradossale unione delle due nature ed offre così all'umanità la chiave tanto desiderata per avvicinare l'Infinito. (shrink)

Nel presente testo si propone un approccio alla neuroetica che si prefigge di attribuirle uno specifico ambito d’indagine in quanto esplorazione di ciò che apprendiamo su noi stessi e sul nostro “funzionamento”, grazie principalmente alle neuroscienze. In altre parole, si tratta di un nuovo genere di antropologia che si occupa dell’intersezione di diverse discipline la quale acquista sempre maggiore centralità nel dibattito contemporaneo a motivo della forte naturalizzazione delle indagini sugli esseri umani. L’oggetto di studio – alla luce di (...) questa particolare caratterizzazione della neuroetica – non sarà quindi ciò che possiamo fare, bensì ciò che sappiamo o riteniamo di sapere in modo affidabile. (shrink)

O artigo sugere que o Estado se diferencia de uma máfia sofisticada por sua pretensão de possuir autoridade legítima. Procedemos à análise do significado de tal pretensão, o que nos leva ao paradoxo denunciado pelo “anarquismo filosófico”, segundo o qual autoridade nenhuma poderia ser legítima, já que a obediência a qualquer autoridade implicaria, necessariamente, no abandono da racionalidade prática. Então, apresentamos uma teoria formal da razão prática destinada a resolver o paradoxo anarquista. Por fim, analisamos se, concretamente, poderia haver um (...) argumento em prol da legitimidade da autoridade política que preenchesse as condições formais de legitimidade expostas naquela teoria. (shrink)

Este trabalho propõe-se atingir dois objetivos: o primeiro é o de reportar para a cultura brasileira uma recente contribuição historiográfica sobre a “ambígua visão” da matéria em Galileu; o segundo é o de desenvolver algumas reflexões filosóficas a partir das sugestões presentes no imaginário do grande cientista italiano. Por um lado iremos abrir uma brecha na interpretação convencional do mecanicismo do Galileu; por outro lado, iremos propor uma operação hermenêutica que visa atualizar o imaginário especulativo de um dos pais da (...) revolução científica do século XVII através da sua comparação com a filosofia do organismo do Alfred North Whitehead - o qual propôs a sua doutrina em alternativa ao mecanicismo materialista -, e com a “física eurítmica”, ou “física do devir”, defendida por José N. R. Croca e o seu grupo de investigação. De facto Galileu, na sua reforma da imagem escolástica do mundo, enfrentou o paradoxo da conciliação do continuo matemático com o atomismo físico, esboçando uma invulgar “solução emergentista”. Desvendar o horizonte metafisico do pensamento do Galileu facultará-nos um acesso histórico filosófico original as questões mais controversas da filosofia da ciência moderna e da mecânica quântica. (shrink)

Pretende-se analisar neste artigo a distinção, feita por Hume, entre convenção e contrato, bem como suas consequências para sua teoria da justiça. Além disso, partindo da discussão quanto ao caráter histórico e artificial da justiça, na filosofia humeana, pretende-se investigar qual o tipo de racionalidade recusada como fundamento das distinções morais e em que medida isso atinge as teorias contratualistas. Nesse sentido, o texto procura apontar como Hume fundamenta o princípio pacta sunt servanda na constituição de um sistema geral de (...) referência, ou seja, numa pressuposição implícita de cumprimento mútuo de acordos. Para tanto, indaga a distinção entre o interesse envolvido na origem da justiça e as paixões naturais da benevolência e do amor próprio, ou seja, dedica-se a compreender o sentido específico da artificialidade da justiça, em sua conexão com a composição do juízo de aprovação dos atos justos. (shrink)

È una credenza diffusa che i marchi di origine (DOCG, DOC, DOP, IGT, IGP e PAT, rispettivamente: di origine controllata e garantita; di origine controllata; di origine protetta; indicazione geografica tipica; indicazione geografica protetta; prodotti agroalimentari tradizionali) siano di grande utilità sia per i consumatori che per i produttori: certificando l’origine e il metodo di produzione di un prodotto, essi ne garantiscono una certa qualità di fronte al consumatore. Ma è proprio così? Che cosa giustifica l’introduzione di un marchio di (...) origine? Quanto sostengo qui di seguito è che, sebbene non credo si possa negare che i marchi di origine segnalino anche una certa qualità di un prodotto, forse non sono il modo migliore per farlo. Di fatto, per il consumatore, i marchi non garantiscono niente che vada oltre alla qualità richiesta affinché la certificazione venga rilasciata; ma, al contempo, in quanto forme di protezionismo, favoriscono certi produttori, prevenendo l’utilizzo della denominazione a chi offre un prodotto di qualità analoga o superiore, ma provienente da una zona priva di tradizioni. In altre parole: se vi sono prodotti equiparabili per qualità e gusto ad un dato prodotto di origine, e possibilmente più economicamente vantaggiosi, il consumatore non avrà modo di accorgersene dalla sola nomenclatura. Quindi: i marchi di origine sono (talvolta) un ostacolo all’acquisto e al godimento dei prodotti migliori al miglior prezzo. Talvolta: questo deve essere ben sottolineato, poiché in certi casi (per esempio quello dei PAT) il prodotto certificato dal marchio ha un mercato talmente di nicchia da costituire un tuttuno tra qualità e origine. (Si potrebbe aggiungere che le certificazioni dei marchi non sono sempre ottenute attraverso procedure affidabili. Non insisterò oltre su questo punto, per il quale si rimanda a: Paolo Conti, La leggenda del buon cibo italiano e altri miti alimentari contemporanei, Fazi Editore, 2006; Peter Singer e Jim Mason: The Way We Eat.. (shrink)

Quasi al termine della seconda guerra mondiale, alcuni ufficiali tedeschi diedero l’ordine di abbattere le storiche torri di San Gimignano; tutto pareva ormai deciso, quando un gruppo di civili riuscì con successo a ritardare l’esecuzione fino all’arrivo delle truppe alleate. Grazie a quei civili, le torri di San Gimignano sono ancora ben visibili a tutti, meta ogni anno di numerosi turisti; ma che cosa dire della possibilità che oggi esistessero soltanto le loro macerie? Esse rientrano in quella classe di cose (...) che chiamerò oggetti possibili, ovvero sono oggetti che avrebbero potuto esistere, ma per un qualche motivo non sono esistiti. Proprio di essi parlerò nelle prossime pagine, cercando di capire quale sia il loro statuto ontologico e in quale modo possiamo parlarne usando le espressioni del nostro linguaggio.1 Come vedremo, ci sono varie teorie che spiegano cos’è un oggetto possibile, tra loro anche molto diverse. Compito di ciascuna è quello di motivare e, se necessario, rendere plausibile una scelta filosofica. Quindi, ogni teoria degli oggetti possibili, attribuirà loro un preciso statuto ontologico e provvederà una semantica delle espressioni del linguaggio naturale sulla possibilità. Nelle poche pagine che seguono però, non scenderò nei dettagli di tutte le teorie della possibilità; piuttosto, ne considererò una particolarmente controversa e singolare: quella sostenuta da David K. Lewis. (shrink)

Che gli esseri umani esperiscano e rappresentino il mondo come un dominio ricco di confini è piuttosto ovvio. Tuttavia, Achille Varzi ha sottolineato a più riprese nelle sue opere che, dal punto di vista metafisico, è interessante chiedersi se i confini siano tutti dello stesso tipo. Tale domanda ci permette, infatti, di affrontare con un registro intuitivo una serie di questioni classiche circa la natura del mondo. In queste poche pagine vorrei considerare il tema dei confini da un’angolatura specifica, quella (...) della macelleria. Dapprima introduco una triplice distinzione tra tipologie di confini (§1). Questa risulta utile per inquadrare il successivo esempio tratto dalla pratica della macelleria kosher (§2), che suggerisce una quarta tipologia di confine, dalla quale traggo spunto per alcune considerazioni circa la relazione tra confini, convenzioni e realtà (§3). (shrink)

Ponto de partida do artigo é a consideração de que o problema da relação entre Filosofia e Espiritualidade, ainda que problemático, é filosoficamente pensável e pode ser historicamente reconstruído. Com efeito, o artigo mostra de que modo o problema foi objecto de uma sistematização paradoxal, ainda que coerente e exemplar, por parte de S. Boaventura, cuja reflexão, tematizando a espiritualidade minorítica, radica em S. Francisco de Assis, ainda que também através da mediação de Santo António de Lisboa. Segundo S. Boaventura, (...) Deus manifesta-se de forma natural no livro da natureza mediante o Verbo incriado, cognoscível mediante a razão natural na ciência natural, que é a Filosofia; e revela-se sobrenaturalmente no livro da Escritura mediante o Verbo incarnado, cognoscível mediante a razão iluminada pela fé na ciência sobrenatural, que é a Teologia; mas também se comunica pessoalmente e concretamente no coração dos crentes mediante o Verbo inspirado, ou seja, o Cristo feito presente pelo Espírito Santo na "vida espiritual", num processo ascético-místico, cujo primeiro estádio é, paradoxalmente, a própria Filosofia, aqui entendida como a busca da sabedoria através das virtudes cardeais. Por outro lado, o artigo mostra também como o próprio paradigma da reedificação interior através das virtudes parece estabelecer um vínculo entre S. Francisco de Assis e Santo António de Lisboa, bem como entre os dois e S. Boaventura, o qual, hipotiza o autor do artigo, não só leu alguma coisa dos Sermões de Santo António, como deles retirou elementos para as suas reflexões mais maduras. /// The starting point of this article is the consideration that the problem of the relation between Philosophy and Spirituality, even if problematic, can be philosophically thought and historically reconstructed. In effect, the article shows how this problem was object of a paradoxical systematization, coherent and exemplar, on the part of Saint Bonaventure, whose reflection, typical of the Franciscan spirituality, is rooted in Saint Francis of Assisi, even if also through the mediation of Saint Anthony of Lisbon. According to Saint Bonaventure, God reveals Godself naturally in the Book of nature by means of the uncreated Logos, knowable through natural reason in the natural science, which is Philosophy; and God reveals Godself supernaturally in the Book of Scripture by means of the incarnated Logos knowable by means of reason illuminated by faith in the supernatural science, which is Theology; but God also communicates Godself personally and concretely in the hearts of the believers by means of the inspired Logos, i.e., the Christ made present through the Holy Spirit in the "spiritual life", in an ascetic-mystical process, whose first stage is, paradoxically, Philosophy itself, here understood as the search for Wisdom through the cardinal virtues. On the other hand, the article also shows how the paradigm of the interior edification through the virtues seems to establish a link between Saint Francis of Assisi and Saint Anthony of Lisbon, as well as between the two and Saint Bonaventure, who, according to the article, not only has read something of Saint Anthony's Sermons, but also has taken something from them for his mature reflexions. (shrink)

Achille Varzi è uno dei maggiori metafisici viventi. Nel corso degli anni ha scritto testi fondamentali di logica, metafisica, mereologia, filosofia del linguaggio. Ha sconfinato nella topologia, nella geografia, nella matematica, ha ragionato di mostri e confini, percezione e buchi, viaggi nel tempo, nicchie, eventi e ciambelle; e non ha disdegnato di dialogare con gli abitanti di Flatlandia, con Neo e con Terminator. Tra le sue opere principali: Holes and Other Superficialities e Parts and Places. The Structures of Spatial Representation, (...) entrambi scritti insieme a R. Casati per MIT Press; Il mondo messo a fuoco, Laterza; e il suo libro più recente: Le tribolazioni del filosofare, con C. Calosi, per Laterza. -/- Da una giornata all’Università di Urbino nasce questa conversazione a molte voci sulla e con la filosofia di Achille C. Varzi. In un dialogo critico al quale l’Autore si presta con generosità e onestà intellettuale, Andrea Borghini, Francesco Calemi, Claudio Calosi, Elena Casetta, Valeria Giardino, Pierluigi Graziani, Patrizia Pedrini, Daniele Santoro e Giuliano Torrengo lo interrogano e mettono alla prova sui temi affrontati, nel corso degli anni, in campi diversi. Il risultato è un percorso che si snoda attraverso molti mondi, dalla logica alla metafisica, dalla filosofia del linguaggio alla filosofia della matematica, dalla mereologia alla filosofia del tempo, spingendosi in qualche caso oltre i confini del saggio filosofico. (shrink)

O objetivo deste artigo é compreender a ação da escola na qual se faz necessária a formação de lideranças que pressupõe a luta pela democratização da educação. Estas lideranças irão desempenhar funções diversificadas na sociedade, como afirma Gramsci, intelectuais, contribuindo para transformar uma concepção de mundo, de forma a assegurar a hegemonia social e o domínio estatal da classe que representam. The aim if this paper is to understand the action of the school that is required in leadership training that (...) involves the struggle for democratization of education. These leaders will play diverse roles in society, as Gramsci says, intellectuals, helping to transform a world view in order to ensure the social hegemony and dominance of the state class they represent. (shrink)

Christoph Andreas Leonhard Creuzer (1768-1844), che dedicherà la propria vita alIa carriera ecclesiastica e aIle attività benefiche, pubblica nel 1793 - ancora giovane ed entusiasta della filosofia - un'opera che suscita un certo scalpore, le Considerazioni scettiche sulla libertà del volere, sulla quale prendono posizione, polernicamente, anche Fichte e Schelling. Pur accogliendo i princlpi della filosofia critica, Creuzer sostiene che l'idea di libertà come autonornia della volontà, quale Kant l'ha definita, conduca nienterneno che alio spinozismo, ossia alia (...) negazione dei concetti di imputazione, merito e colpa. Mascherandosi dietro uno scetticismo di comodo, Creuzer mostra corne tale conclusione spinoziana, a cui Kant ha tentato inutilmente di sottrarsi, sia l'esito obbligato tanto della sua filosofia teoretica quanto di quella pratica, che pure mirava in prima istanza a salvaguardare la responsabilità morale. (shrink)

Open peer commentary on the article “Religion: A Radical-Constructivist Perspective” by Andreas Quale. Upshot: Quale argues that radical constructivism and religion are incompatible: a believer must necessarily be a realist, while radical constructivism, with its fundamental relativistic epistemology, can neither confirm nor deny religious beliefs. In the commentary, I first question Quale’s distinction between cognitive and non-cognitive knowledge, especially from the point of view of the discussion of religious beliefs. Later on, I follow his argumentation of (...) the epistemic position associated with religious belief and point out that Quale’s conclusions could be extrapolated, presenting a basis for an interesting and relevant discussion about the split between the everyday and the constructivist epistemic positions. (shrink)

Open peer commentary on the article “Religion: A Radical-Constructivist Perspective” by Andreas Quale. Upshot: The first of my three main goals in this commentary is to demonstrate that Quale’s radical separation between cognitive and non-cognitive knowledge is not viable. The second is to establish Quale’s assertion that a radical constructivist cannot be genuinely religious is a result of taking radical constructivism and religion as abstracted first-order models and is a result of comparing and contrasting elements of (...) these models. The third goal is to establish how religious radical constructivists establish relations between their religious beliefs and their radical constructivist beliefs. To accomplish the first goal, I appeal to the work of Damasio to establish that what Quale refers to as “non-cognitive knowledge” is inextricably cognitive. I also appeal to the work of both Damasio and von Glasersfeld to demonstrate that the Cartesian duality between mind and body is not viable. To accomplish the last two goals, I make a distinction between first- and second-order knowledge and contrast Quale’s argument that a radical constructivist cannot be religious with the relation between religious beliefs and radical constructivism from the perspective of actual religious radical constructivists. (shrink)

Open peer commentary on the article “Religion: A Radical-Constructivist Perspective” by Andreas Quale. Upshot: An essential feature of Quale’s point of view is the strict distinction between the cognitive and the non-cognitive. I argue that this position is untenable and hence that a radical constructivist can discuss religious matters.

Open peer commentary on the article “Religion: A Radical-Constructivist Perspective” by Andreas Quale. Upshot: I address two topics that I consider particularly problematic in Quale’s target article. First, I question the purported distinction between cognition and non-cognition, and second, I inquire into a rather vague construal of “mystical philosophies.” Given that both topics play important roles in the overall argumentative chain, their unfoundedness threatens to have serious consequences for the main conclusions of the article.

Open peer commentary on the article “Ethics: A Radical-constructivist Approach” by Andreas Quale. Upshot: The first of my two main goals in this commentary is to establish thinking of ethics as concepts rather than as non-cognitive knowledge. The second is to argue that establishing models of individuals’ ethical concepts is a scientific enterprise that is quite similar to establishing models of individuals’ mathematical concepts. To accomplish these two primary goals, I draw from my experience of working scientifically with (...) von Glasersfeld for 25 years while he was developing radical constructivism as a coherent model of knowing, and appeal to several of his basic insights to establish constructing models of ethical concepts as a scientific enterprise. (shrink)

Open peer commentary on the article “Ethics: A Radical-constructivist Approach” by Andreas Quale. Upshot: This comment deals primarily with Quale’s attempt to distinguish between cognitive knowledge and non-cognitive knowledge. Considering that he uses this distinction as a basis for discussing ethical issues, I thought it important to assess the validity of this position and its potential usefulness for radical constructivism. In the following section, I sketch out my understanding of von Glasersfeld’s conception of cognition; so doing, I (...) set the stage for throwing into question, in the second section, a suspension that Quale proposes regarding both cognition and communication. (shrink)

Open peer commentary on the article “Ethics: A Radical-constructivist Approach” by Andreas Quale. Upshot: The sharp distinction between cognitive and non-cognitive knowledge provided by Andreas Quale prevents the author from finding well-founded reasons for constructivist ethics.

Open peer commentary on the article “Ethics: A Radical-constructivist Approach” by Andreas Quale. Upshot: While Quale’s radical constructivist intervention into ethics is novel and insightful, I advance four counterpoints that underscore the social as opposed to personal nature of ethics. I argue that (1) the social nature of being always integrates individual knowers into a moral order; (2) that cognitive and non-cognitive knowledge are mutually reinforcing rather than mutually exclusive; (3) that non-cognitive knowledge can be communicated just (...) as cognitive knowledge can be; (4) and that ethical standards develop from and ossify as cognitive knowledge all the time. I argue that because ethics are rooted in language, symbols and culture, they are capable of being debated and agreed upon just as cognitive understandings are. (shrink)

Open peer commentary on the article “Ethics: A Radical-constructivist Approach” by Andreas Quale. Upshot: Radical constructivism views ethics as an individual responsibility. What are the limits of that responsibility? I pose some questions but do not accept the responsibility to answer them. Radical constructivism may be neutral but it need not be indifferent. An ethically neutral constructivism need not construct an ethically neutral constructivist.

Open peer commentary on the article “Ethics: A Radical-constructivist Approach” by Andreas Quale. Upshot: Andreas Quale in his article defends radical constructivism (RC) from the accusation of being guilty of being ethically neutral. His defence is based on a distinction between clearly communicable cognitive knowledge and less easily communicable value-laden non-cognitive knowledge. The position taken in this commentary is that RC is a process and provides a way of understanding values. To condemn RC for ethical neutrality (...) is to confuse process and product. (shrink)

Open peer commentary on the article “Ethics: A Radical-constructivist Approach” by Andreas Quale. Upshot: I agree with Quale’s argument for the ethical neutrality of constructivism. However, I want to point out that radical constructivism does not proclaim itself to be ethically neutral. Additionally, I want to criticize the somewhat ambivalent use of the term “personal responsibility” and argue that constructivists need to rethink and ultimately drop the claim of responsibility following from constructivism.

Open peer commentary on the article “Ethics: A Radical-constructivist Approach” by Andreas Quale. Upshot: I agree with some of Quale’s general conclusions, in particular that each individual knower is responsible for choosing among alternatives and the pragmatic consequences that are related to this choice. However, in adopting implicitly the premise according which individual human existence precedes coexistence or social existence, and in focusing on the cognitive operations of a “generic subject” (that is, a disembodied subject coming from (...) nowhere and deprived of any historicity and sociality), Quale’s argumentation becomes questionable. I illustrate this point of view by analysing his discourse concerning the role of language in the conceptualization of cognition and his attempt to ground the source of ethics in the individual construction of the world. (shrink)

Open peer commentary on the article “Religion: A Radical-Constructivist Perspective” by Andreas Quale. Upshot: Quale offers a way of categorizing religious discourse based on radical constructivism. This commentary raises questions about the inter-relation of cognitive and non-cognitive knowledge, the role of testimony in learning about religion, and whether knowledge and belief have different roles in cognitive and non-cognitive knowledge, and suggests that Quale’s analysis opens a tolerant perspective on religious discourse.

Open peer commentary on the article “Religion: A Radical-Constructivist Perspective” by Andreas Quale. Upshot: The aim of this commentary is to examine whether religious belief is a cognitive activity. It is proposed that religious belief can be the result of cognitive processes individually construed and constructed upon layers of prior experience, thus adhering to the fundamental tenets of radical constructivism. However, a distinction should be made between cognizing religious beliefs and religious experience. The use of the science versus (...) religion dichotomy is explored and relegated to the status of a “phoney war.”. (shrink)

Originally presented as the author's thesis (doctoral--Gregorian University).

It is often assumed that we are only blameworthy for that over which we have control. In recent years, however, several philosophers have argued that we can be blameworthy for occurrences that appear to be outside our control, such as attitudes, beliefs and omissions. This has prompted the question of why control should be a condition on blameworthiness. This paper aims at defending the control condition by developing a new conception of blameworthiness: To be blameworthy, I argue, is most fundamentally (...) to deserve to feel guilty. Being blamed by someone else is not necessarily harmful to the wrongdoer. The blame might not be expressed, or the wrongdoer might not care. But to blame oneself necessarily involves suffering. This conception of blameworthiness explains why the control condition should obtain: We are morally blameworthy for A only if A was under our control because to be blameworthy is to deserve to feel guilty, to feel guilty is to suffer, and one deserves to suffer for A only if A was under one’s control. (shrink)

We aim to devise a Ramsey test analysis of actual causation. Our method is to define a strengthened Ramsey test for causal models. Unlike the accounts of Halpern and Pearl ([2005]) and Halpern ([2015]), the resulting analysis deals satisfactorily with both over- determination and conjunctive scenarios.

Responsibility as accountability is normally taken to have stricter control conditions than responsibility as attributability. A common way to argue for this claim is to point to differences in the harmfulness of blame involved in these different kinds of responsibility. This paper argues that this explanation does not work once we shift our focus from other-directed blame to self-blame. To blame oneself in the accountability sense is to feel guilt and feeling guilty is to suffer. To blame oneself in the (...) attributability sense, it will be argued, is to feel shame and feeling shame is also to suffer. The different control conditions cannot be explained by a difference in the harm of blame. Instead, this paper argues that accountability and attributability are governed by different kinds of appropriateness: an agent S is accountability blameworthy for X only if S deserves to feel guilty; an agent S is attributability blameworthy for X only if it is fitting that S feels shame for X. (shrink)

In this paper, we analyse actual causation in terms of production. The latter concept is made precise by a strengthened Ramsey Test semantics of conditionals: \ iff, after suspending judgement about A and C, C is believed in the course of assuming A. This test allows us to verify or falsify that an event brings about another event. Complementing the concept of production by a weak condition of difference-making gives rise to a full-fledged analysis of causation.

An important argument against prohibiting organ sales is that it removes the best option available to individuals in dire circumstances. However, this line of reasoning fails to recognise that selling a kidney on a regulated market is only the best option in a very narrow comparison, where a regulated organ market is compared with banning organ sales. Once we acknowledge this narrowness, selling a kidney is not the best option. This paves the way for a distributive justice-based critique of the (...) ‘best option’ argument for organ markets, which illuminates that organ markets should be compared with a broader set of alternatives. If providing the option of selling a kidney is not the best option, but rather the best option we are willing to provide, and one which means that many people will remain in poverty and unjust circumstances, then this reflects poorly on those societies willing to offer only this option and not a better one. (shrink)

Self-blame is an integral part of our lives. We often blame ourselves for our failings and experience familiar unpleasant emotions such as guilt, shame, regret, or remorse. Self-blame is also what we often aim for when we blame others: we want the people we blame to recognize their wrongdoing and blame themselves for it. Moreover, self-blame is typically considered a necessary condition for forgiveness. However, until now, self-blame has not been an integral part of the theoretical debate on moral responsibility. (...) This volume presents twelve new essays by leading moral philosophers, who set out bold new theories of the nature and ethics of self-blame, and the interconnection between self-blame and moral responsibility. The essays cast new light on traditional problems in the debate on moral responsibility and open new, exciting avenues for research in moral philosophy, moral psychology and the philosophy of punishment. (shrink)

The well-known formal semantics of conditionals due to Stalnaker Studies in logical theory, Blackwell, Oxford, 1968), Lewis, and Gärdenfors The logic and 1140 epistemology of scientific change, North-Holland, Amsterdam, 1978, Knowledge in flux, MIT Press, Cambridge, 1988) all fail to distinguish between trivially and nontrivially true indicative conditionals. This problem has been addressed by Rott :345–370, 1986) in terms of a strengthened Ramsey Test. In this paper, we refine Rott’s strengthened Ramsey Test and the corresponding analysis of explanatory relations. We (...) show that our final analysis captures the presumed asymmetry between explanans and explanandum much better than Rott’s original analysis. (shrink)

According to the Strawsonian tradition, a person is responsible for an action just in case it is appropriate to hold them responsible for that action. One important way of holding people responsible for wrongdoing is by experiencing and expressing blaming emotions. This raises the questions of what blaming emotions are and in what sense they can be appropriate. In this chapter I will provide an overview of different answers to both these questions. A common thread in the chapter will be (...) a challenge for the Strawsonian tradition. Given that this tradition understands moral responsibility in terms of the appropriateness of blaming emotions, it must provide a realistic picture of these emotions and the practices in which they take part. On the other hand, it also aims to develop a normatively plausible account of the conditions of responsibility. I will try to show that it is often difficult to strike a satisfactory balance between these two aspirations. (shrink)

Do non-human animals have an interest in sociopolitical freedom? Cochrane has recently taken up this important yet largely neglected quest ion. He argues that animal freedom is not a relevant moral concern in itself, because animals have a merely instrumental but not an intrinsic interest in freedom (Cochrane 2009a, 2012). This paper will argue that even if animals have a merely instrumental interest in freedom, animal freedom should nonetheless be an important goal for our relationships with animals. Drawing on recent (...) work on the value of freedom, it will be argued that freedom is non-specifically instrumentally valuable. Accordingly, freedom is a means to other goods, but often it is not possible to identify those goods in advance or aim for them directly. Some of the reasons that make freedom non-specifically valuable for human relationships, it will be argued, also apply to relationships between humans and animals. Amongst other implications, it will be shown how this argument provides a response to those who fear that stricter animal protection policies might undermine people’s freedom: A concern for freedom actually requires stricter protection policies rather than speak against them. (shrink)

Many philosophers believe that there exist distinctive obstacles to relying on moral testimony. In this paper, I criticize previous attempts to identify these obstacles and offer a new theory. I argue that the problems associated with moral deference can't be explained in terms of the value of moral understanding, nor in terms of aretaic considerations related to subjective integration. Instead, our uneasiness with moral testimony is best explained by our attachment to an ideal of authenticity that places special demands on (...) our moral beliefs. (shrink)